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Quando recitiamo il Padre Nostro cosa vuol dire “non ci indurre in tentazione”?

Gelsomino Del Guercio - Aleteia Italia - pubblicato il 14/09/17

Non solo carne e sesso. Ma sopratutto ipocrisia, potere, controllo. E’ un’invocazione a Dio affinché ci tenga lontano da quanto vissuto da Gesù nel deserto

La frase del Padre nostro «non ci indurre in tentazione» (Mt 6,13) crea problemi: come va tradotta e interpretata?

Su Famiglia Cristiana (13 settembre) il teologo Giuseppe Pulcinelli spiega:

«Nell’originale greco c’è il verbo eisenenkes che significa “immettere”, “introdurre”. Ma si vuol forse dire che Dio spinge l’uomo verso il male (la tentazione) e quindi gli si chiede di non farlo? In realtà, alla luce di altri passi della Scrittura (cfr. Gc 1,13: “Dio non tenta nessuno”), si può e si deve dare un’altra spiegazione».

“NON LASCIARCI ENTRARE” NELLA TENTAZIONE

Il verbo greco «probabilmente traduce – in modo approssimativo – un originale semitico che va compreso in base a testi come il Salmo 140 (141),4: “Non lasciare che il mio cuore si pieghi al male e compia azioni inique con i peccatori”. Il senso dell’invocazione è dunque: “Non lasciarci entrare e soccombere nella tentazione”».



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NON SOLO SESSUALITA’

La versione ufficiale della Cei (2008), ha corretto con “non abbandonarci alla tentazione”. Come spiega Fratel Michael Davide Semeraro in “Il Padre ritrovato” (Edizioni San Paolo): «Quando supplichiamo il Padre di “non abbandonarci alla tentazione” e di liberarci “dal male”, non dobbiamo pensare subito alle tentazioni della carne e a tutto ciò che concerne l’ambito della sessualità. La grande tentazione vissuta dallo stesso Signore nel deserto, sorprendentemente, non riguarda la sfera sessuale, bensì il desiderio di potere e di controllo».

IL FALLIMENTO DELLE APPARENZE

Il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto si conclude così: “Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato” (Lc 4,13). «Il momento fissato – prosegue Semeraro – è quello della croce e, soprattutto, dell’ultima tentazione di sottrarsi al fallimento delle apparenze, per rendere possibile la rivoluzionaria presa di posizione di un amore che non si sottrae alle sue conseguenze».



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GESU’ CONTRO POTERE E CONTROLLO

Con quest’ultima invocazione del Padre Nostro, evidenzia il teologo, chiediamo con forza: “Liberaci dalla tentazione dell’apparenza”. «Non possiamo e non dobbiamo dimenticare che l’ipocrisia e il culto delle apparenze, per acquistare potere e mantenere il controllo, è ciò contro cui il Signore Gesù si è scagliato in modo forte e continuo durante la sua predicazione».

PERICOLO IPOCRISIA

Il Cristo, nel suo mistero e ministero di compassione, «è stato capace di perdonare qualunque peccato, di assumere qualunque difficile e persino inquietante realtà umana tanto da entrare in contatto con le più diverse situazioni ed emozioni. Nondimeno – conclude Semeraro – si è scagliato contro la tentazione dell’ipocrisia che ci rende prigionieri dell’ansia di prestazione e dell’angoscia di dimostrazione con una chiarezza che rasenta la violenza (Mt 23)».



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