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Basta polemiche sulla “Domenica della Parola”!

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Giovanni Marcotullio - Aleteia Italia - pubblicato il 13/09/17
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La blogosfera s’incendia nel solito derby tra “tradizionalisti” e “progressisti” quanto all’iniziativa di Paolini e di Sant’Egidio. Giova ricordare che il fine della Chiesa sarebbe ben altro che quello di organizzare simili sterili match

Uno degli aneddoti più gustosi, per quanto amaro, del (prezioso) libro di Giancarlo Pani Paolo, Agostino, Lutero: alle origini del mondo moderno, è usato nella prima pagina dell’introduzione, per strappare al lettore un sorriso e (ove possibile) l’impegno a riflettere:

Negli scritti polemici del Cinquecento, la scarsa conoscenza della Bibbia, in particolare dell’epistolario paolino, è un argomento che ricorre più volte. Così nell’Elogio della Follia (1509), Erasmo si serve proprio della nuova dea per una sferzante requisitoria contro i dottori scolastici. Parlando in prima persona, la Follia li accusa di sprecare la loro esistenza in disquisizioni teologiche e li rimprovera di non trovare il tempo per leggere, almeno una volta nella vita, il Vangelo e le Lettere di Paolo.

Mezzo secolo dopo, Melantone, con un aneddoto, stigmatizzava ancor più mordacemente non solo la diffusa ignoranza del testo paolino, ma addirittura il suo rifiuto, ove questo sembrasse non accordarsi con una teologia ortodossa. Un vescovo, ospite in una locanda, vi trovò il Nuovo Testamento e, aprendolo a caso, s’imbatté in un passo della Lettera ai Romani: «Noi riteniamo che l’uomo è giustificato dalla fede senza le opere della legge» (Rm 3, 28). Allora, preso dall’ira, gettò via il libro esclamando: «Anche tu, Paolo, sei divenuto luterano?».

G. Pani, Paolo, Agostino, Lutero 7

Probabilmente Melantone enfatizzò un po’ l’episodio, e difficilmente quel povero vescovo (che nel Corpus Reformatorum è detto essere di Salisburgo) avrà trovato l’espressione “sola fide”, in quel passo paolino (falsificazione invece attestata nel suddetto Corpus Reformatorum…); e tuttavia è difficile ipotizzare che il riformatore lo abbia inventato di sana pianta, considerando le vesti stracciate che volano in questi giorni a proposito della Domenica della Parola, in cui alcuni stanno vedendo il “ballon d’essai” della definitiva “protestantizzazione della Messa”.



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Poche idee, invero, ma confuse: i soliti noti sono partiti alla carica di Papa Francesco, come da copione, forse ignorando che l’iniziativa in corso sia partita dalla Famiglia Paolina e da Sant’Egidio – i quali a loro volta hanno corrisposto a uno spunto contenuto nella Misericordia et Misera del Santo Padre:

La Bibbia è il grande racconto che narra le meraviglie della misericordia di Dio. Ogni pagina è intrisa dell’amore del Padre che fin dalla creazione ha voluto imprimere nell’universo i segni del suo amore. Lo Spirito Santo, attraverso le parole dei profeti e gli scritti sapienziali, ha plasmato la storia di Israele nel riconoscimento della tenerezza e della vicinanza di Dio, nonostante l’infedeltà del popolo. La vita di Gesù e la sua predicazione segnano in modo determinante la storia della comunità cristiana, che ha compreso la propria missione sulla base del mandato di Cristo di essere strumento permanente della sua misericordia e del suo perdono (cfr Gv 20,23). Attraverso la Sacra Scrittura, mantenuta viva dalla fede della Chiesa, il Signore continua a parlare alla sua Sposa e le indica i sentieri da percorrere, perché il Vangelo della salvezza giunga a tutti. È mio vivo desiderio che la Parola di Dio sia sempre più celebrata, conosciuta e diffusa, perché attraverso di essa si possa comprendere meglio il mistero di amore che promana da quella sorgente di misericordia. Lo ricorda chiaramente l’Apostolo: «Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia» (2 Tm 3,16).

Sarebbe opportuno che ogni comunità, in una domenica dell’Anno liturgico, potesse rinnovare l’impegno per la diffusione, la conoscenza e l’approfondimento della Sacra Scrittura: una domenica dedicata interamente alla Parola di Dio, per comprendere l’inesauribile ricchezza che proviene da quel dialogo costante di Dio con il suo popolo. Non mancherà la creatività per arricchire questo momento con iniziative che stimolino i credenti ad essere strumenti vivi di trasmissione della Parola. Certamente, tra queste iniziative vi è la diffusione più ampia della lectio divina, affinché, attraverso la lettura orante del testo sacro, la vita spirituale trovi sostegno e crescita. La lectio divina sui temi della misericordia permetterà di toccare con mano quanta fecondità viene dal testo sacro, letto alla luce dell’intera tradizione spirituale della Chiesa, che sfocia necessariamente in gesti e opere concrete di carità.

Misericordia et Misera 7

Giustamente, in un calendario liturgico che ha spazio per la domenica della Divina Misericordia, per la giornata missionaria mondiale e per altre (degne e importanti) ricorrenze, poteva trovarsi un posto anche per l’ipostasi – che in definitiva è Cristo – mediante la quale avviene la rivelazione stessa: quella Parola ignorando la quale, avverte san Girolamo, si ignora Cristo. E proprio nella domenica a ridosso della memoria liturgica di san Girolamo, patrono dei traduttori e degli esegeti biblici, si è scelto di ricavare lo spazio per la celebrazione particolare della Parola. L’iniziativa, di per sé, mi aveva subito rimandato a diversi passaggi dell’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, di Benedetto XVI. Per esempio:

Considerando la Chiesa come «casa della Parola»,[181] si deve innanzitutto porre attenzione alla sacra liturgia. È questo infatti l’ambito privilegiato in cui Dio parla a noi nel presente della nostra vita, parla oggi al suo popolo, che ascolta e risponde. Ogni azione liturgica è per natura sua intrisa di sacra Scrittura. Come afferma la Costituzione Sacrosanctum Concilium, «nella celebrazione liturgica la sacra Scrittura ha una importanza estrema. Da essa infatti si attingono le letture che vengono poi spiegate nell’omelia e i salmi che si cantano; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preghiere, le orazioni e i carmi liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i simboli liturgici».[182] Più ancora, si deve dire che Cristo stesso «è presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura».[183] In effetti, «la celebrazione liturgica diventa una continua, piena ed efficace proclamazione della parola di Dio. Pertanto la parola di Dio, costantemente annunziata nella liturgia, è sempre viva ed efficace per la potenza dello Spirito Santo, e manifesta quell’amore operante del Padre che giammai cessa di operare verso tutti gli uomini».[184] La Chiesa, infatti, ha sempre mostrato la consapevolezza che nell’azione liturgica la Parola di Dio si accompagna all’intima azione dello Spirito Santo che la rende operante nel cuore dei fedeli. In realtà è grazie al Paraclito che «la parola di Dio diventa fondamento dell’azione liturgica, norma e sostegno di tutta la vita».

Verbum Domini 52

e ancora:

Parola ed Eucaristia si appartengono così intimamente da non poter essere comprese l’una senza l’altra: la Parola di Dio si fa carne sacramentale nell’evento eucaristico. L’Eucaristia ci apre all’intelligenza della sacra Scrittura, così come la sacra Scrittura a sua volta illumina e spiega il Mistero eucaristico. In effetti, senza il riconoscimento della presenza reale del Signore nell’Eucaristia, l’intelligenza della Scrittura rimane incompiuta. Per questo «alla parola di Dio e al mistero eucaristico la Chiesa ha tributato e sempre e dappertutto ha voluto e stabilito che si tributasse la stessa venerazione, anche se non lo stesso culto. Mossa dall’esempio del suo fondatore, essa non ha mai cessato di celebrare il mistero pasquale, riunendosi insieme per leggere ‘in tutte le Scritture ciò che a lui si riferiva’ (Lc 24,27), e attualizzare, con il memoriale del Signore e i sacramenti, l’opera della salvezza».[194]

Verbum Domini 55

e sintetizzando le istanze dell’assise sinodale, Papa Benedetto suggeriva:

[…] di solennizzare, soprattutto in ricorrenze liturgiche rilevanti, la proclamazione della Parola, specialmente il Vangelo, utilizzando l’Evangeliario, recato processionalmente durante i riti iniziali e poi portato all’ambone dal diacono o da un sacerdote per la proclamazione. In tal modo si aiuta il Popolo di Dio a riconoscere che «la lettura del Vangelo costituisce il culmine della stessa liturgia della Parola».[236] Seguendo le indicazioni contenute nell’Ordinamento delle letture della Messa, è bene valorizzare la proclamazione della Parola di Dio con il canto, in particolare il Vangelo, specie in determinate solennità. Il saluto, l’annunzio iniziale: «Dal Vangelo…» e quello finale «Parola del Signore» sarebbe bene proferirli in canto per sottolineare l’importanza di ciò che viene letto.[237]

[…]

Un’attenzione speciale va data all’ambone, come luogo liturgico da cui viene proclamata la Parola di Dio. Esso deve essere collocato in un posto ben visibile, cui spontaneamente si rivolga l’attenzione dei fedeli durante la liturgia della Parola. È bene che esso sia fisso, costituito come elemento scultoreo in armonia estetica con l’altare, così da rappresentare anche visivamente il senso teologico della duplice mensa della Parola e dell’Eucaristia. Dall’ambone si proclamano le letture, il salmo responsoriale e il Preconio pasquale; ivi inoltre si possono tenere l’omelia e proferire la preghiera dei fedeli.[239]

Verbum Domini 67.68

e ancora:

In tale linea, il Sinodo ha invitato ad un particolare impegno pastorale per far emergere il posto centrale della Parola di Dio nella vita ecclesiale, raccomandando di «incrementare la “pastorale biblica” non in giustapposizione con altre forme della pastorale, ma come animazione biblica dell’intera pastorale».[254] Non si tratta, quindi, di aggiungere qualche incontro in parrocchia o nella diocesi, ma di verificare che nelle abituali attività delle comunità cristiane, nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti, si abbia realmente a cuore l’incontro personale con Cristo che si comunica a noi nella sua Parola. In tal senso, poiché l’«ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo»,[255] l’animazione biblica di tutta la pastorale ordinaria e straordinaria porterà ad una maggiore conoscenza della persona di Cristo, Rivelatore del Padre e pienezza della Rivelazione divina.

Esorto pertanto i Pastori e i fedeli a tenere conto dell’importanza di questa animazione: sarà anche il modo migliore per far fronte ad alcuni problemi pastorali emersi durante l’Assemblea sinodale legati, ad esempio, alla proliferazione di sette, che diffondono una lettura distorta e strumentale della sacra Scrittura. Là dove non si formano i fedeli ad una conoscenza della Bibbia secondo la fede della Chiesa nell’alveo della sua Tradizione viva, di fatto si lascia un vuoto pastorale in cui realtà come le sette possono trovare terreno per mettere radici. Per questo è necessario anche provvedere ad una preparazione adeguata dei sacerdoti e dei laici che possano istruire il Popolo di Dio nel genuino approccio alle Scritture.

Verbum Domini 73



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Non più tardi di stamattina, difatti, due testimoni di Geova mi hanno fermato per darmi uno dei loro opuscoli. Ho ringraziato e glie l’ho restituito. Si è prodotto allora questo grazioso siparietto:

– Ma legge la Bibbia?

– Sono cattolico, sa: ci proviamo.

– Ma Dio comunque è uno solo.

– E difatti non è quello di cui parlate, e ciò che dite voi non c’entra niente con il Dio vivo e vero. Quanto alla Bibbia, lei come la prenderebbe se io venissi a casa sua di soppiatto, le rubassi un quadro che lei tiene in bella vista su una parete spaziosa e luminosa e un minuto dopo mi presentassi all’uscio con la cravatta del venditore porta a porta per rivenderle il suo quadro?

L’uomo ammutolì; non so se abbia capito che stava cercando di fare proprio quanto gli esemplificavo nella similitudine. Io me ne andai, ma sapevo di avere un po’ bluffato, purtroppo: se fosse vero che la Parola di Dio la teniamo “in bella vista” nella stanza della nostra pietà e della nostra riflessione teologica, mai certe sette avrebbero potuto proliferare a danno del popolo di Dio. Invece finisce che tanti cristiani “ricomprino” (purtroppo pagandolo a caro prezzo, in tutti i sensi) il quadro che avevano in casa proprio perché non lo avevano mai visto. Così anche nella turpe deformità della cornice in cui il venditore lo ricetta, l’ignaro cristiano abbocca: s’è finalmente sentito parte di una comunità, e ha sbagliato nel riversare in una setta il suo anelito ecclesiale, ma certo non nel percepire quell’anelito.

E non è un’iniziativa opportuna, la Domenica della Parola? Nessuno pretende che sia la soluzione, ma le obiezioni di quanti vi ravvisano una deriva protestante sono risibili, e penosamente, quanto il vescovo dell’apologo di Melantone. Gratta gratta, poi, si scopre che il più delle volte a lamentarsi sono persone convinte che il grande disastro sia cominciato con la riforma liturgica in sé e per sé, e in particolare con il Messale del beato Paolo VI. Se fossero persone con una qualche cognizione di cosa era il lezionario del vetus ordo, e di quanto sia stato arricchito nel novus ordo, certamente non parlerebbero così. E quindi trova ancora ragione di piovere al suolo il rimprovero della Follia erasmiana, la quale vedeva legioni di sedicenti teologi che non avevano mai consumato un’ora a conoscere Cristo nelle Scritture.

Né servirebbero tante letture, tanti studi, tante specializzazioni, per capire cose così semplici – giacché nel cristianesimo sono le cose semplici a essere raffinate negli studi, e non viceversa –: basterebbe infatti vivere docilmente il culto pubblico della Chiesa (anche nella forma straordinaria, se la si preferisce), e si vedrebbe nitidamente il libro delle Scritture, in cui la Chiesa riconosce esprimersi la Parola di Dio, onorato con inchini e baci, incensato, osteso e utilizzato per benedire il popolo. Si compiono mai questi gesti, nella liturgia cristiana, se non per una particolare presenza di Cristo espressa, significata e accolta in quel dato oggetto? Sopra quel libro e sopra ciò che vi è contenuto, il diacono, dopo la proclamazione del Vangelo, da secoli mormora la secretaper evangelica dicta deleantur nostra delicta”, e ora gli amanti del latino saltano sulla sedia perché sentono il ministro propiziare in ottativo che “la Parola del Vangelo cancelli i nostri peccati”? Quale prova migliore del fatto che spesso neanche lo capiscono, l’amato latino?

Ma la Rivelazione avviene proprio in quanto Dio è Logos, discorso e ragione, intelletto e volontà, e agire a-logicamente è contrario alla natura divina – come ci ricordò Benedetto XVI nella lectio magistralis di Ratisbona.

Dunque non si perda tempo in chiacchiere vane: ci si prepari piuttosto a dare il proprio contributo perché la Domenica della Parola sia pensata e realizzata nel migliore dei modi; e si cerchi di approfittare a piene mani di questo ulteriore mezzo che mediante il ministero ecclesiastico la Provvidenza dispone per salvarci. Perché (in definitiva sarebbe bene non perderlo troppo di vista) questo è il fine della Chiesa.



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