Gerusalemme, Tob, Nuovissima versione… In occasione della “Domenica della Parola”, in arrivo tra meno di una settimana, a ridosso della memoria di san Girolamo, diocesi, parrocchie e librerie stanno preparando occasioni particolari di riflessione sulla Sacra Scrittura. L'occasione è buona per ricordare quali sono i criteri per orientarsi nel mare magnum delle Bibbie
Lutero e Girolamo: due miti da sfatare
Un grande (falso) mito della modernità è che Lutero sia stato il primo a tradurre la Bibbia in una lingua moderna. Un aneddoto dell’agiografia protestante atto a costruire l’epopea del Riformatore: in realtà la Bibbia si traduceva correntemente nelle lingue volgari almeno a partire dal XIII secolo, e non c’è motivo di ritenere che non lo si sia fatto già prima.
Del resto si tratta della reiterazione di un altro (falso) mito, stavolta cattolico e della tardo-antichità: che Girolamo sia stato il primo traduttore latino della Bibbia. Mito un po’ meno sbandierato di quello luterano, va detto, per la conclamata insostenibilità della tesi: Girolamo intervenne, nei suoi giorni (e nelle sue lunghe notti), proprio per dire una parola nuova in un contesto che già pullulava di traduzioni.
Figuriamoci, proprio in quel secolo la Bibbia era stata tradotta perfino in gotico… E in realtà la caratteristica dominante del libro sacro dei cristiani – oltre al fatto che si tratta di un composito di molti libri scritti in diverse epoche da autori anche estremamente eterogenei – è proprio che essa è stata tradotta. Se è vero, come m’insegnava Elmar Salmann, che un libro vive una nuova vita quando viene tradotto, allora bisogna riconoscere che la Bibbia nacque mentre già viveva le prime delle sue innumerevoli vite. Prima in greco, naturalmente, e secondo diverse versioni. Poi in aramaico, in siriaco, in latino, in gotico, in etiopico, in gaelico… e piano piano in volgare italiano, in linguadoca, in mediofrancese, in mediotedesco e in tutti gli idiomi del mondo noto, perlomeno dove il cristianesimo si era affermato.
Protestare che l’innovazione di Lutero non sta, quindi, nell’aver tradotto per primo in lingua moderna (ma semmai nell’aver per primo mutilato il canone scritturistico in età moderna), non vuole ridimensionare la portata storica della Riforma, ma appunto ricollocarla nella sua dimensione propria: Lutero e Girolamo in fondo hanno in comune il rinnovato zelo filologico per i testi ebraici.
Poi succede sempre quello che è fatale, cioè che dei grandi monumenti divengano autorità in sé, più che modello da imitare: è accaduto con la Vulgata geronimiana, divenuta per lunghi secoli “la Traduzione”; è accaduto con la Luthersbibel e ancora di nuovo accade con alcune storiche traduzioni (come la Diodati).

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Le traduzioni italiane: una scelta (non troppo) vasta
La Bibbia di Wulfila resta un testo esoterico per gran parte dei cristiani del XXI secolo, come pure quella di Wyclif e quella di Lefèvre d’Étaples – anche se l’inglese e il francese del basso medioevo restano più comprensibili del gotico del IV secolo. Se poi ascoltiamo il Messiah di Händel o la Matthäuspassion di Bach dovremo per forza familiarizzare con la King James o con la versione di Lutero. Ma queste sono cose decisamente di nicchia: se invece volessimo scrutare il panorama italiano contemporaneo, cosa troveremmo?
Purtroppo non sono in molti ad avere le idee chiare in merito, e ciò risponde probabilmente a due concause: la prima è il diffuso affievolirsi di quella sensibilità filologica che, di fronte a una traduzione, ha sempre cura d’informarsi sull’identità, sulle idee e sugli scopi del traduttore (tradurre è sempre anche tradire, quindi vale sempre la pena conoscere l’uomo, o gli uomini, della cui versione scegliamo di fidarci); la seconda è che in realtà se oggi entriamo in una libreria italiana, anche di testi religiosi, non abbiamo una vastissima scelta, quanto alle traduzioni.
«Ma come?», obietterà qualcuno: vediamo che anche in occasione della Domenica della Parola sono state stampate delle “Bibbie apposite”, ben più di quei sussidi che ci si poteva ragionevolmente aspettare! Sì, questo è vero, ma intanto va detto che le “Bibbie apposite” sono tutte delle veloci ristampe con una nuova copertina in brossura, e che dunque in nulla differiscono da altri prodotti editoriali (non ci sarebbe neppure stato il tempo materiale di fare altrimenti, vista la rapidità dei tempi con cui l’iniziativa è stata imbastita e consumata). E poi si deve dire che, purtroppo, le traduzioni italiane contemporanee – dunque escludiamo non solo la Malermi e la Diodati, ma anche le più recenti Martini, Garofalo e Luzzi, nonché la “Civiltà Cattolica” – sono in fin dei conti tre in tutto, con poche altre varianti.