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Per favore, smettiamola di concentrarci su quello che indossano le donne

SUORA ABITO MODESTIA
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Theresa Aleteia Noble - pubblicato il 31/05/17
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Sì: quando ci si concentra sugli abiti delle suore, o su ciò che definisce la modestia, si sta davvero trattando le donne come degli oggettiQuando ho iniziato ad esplorare la vita religiosa, avevo a malapena sentito parlare dei tremendi dibattiti sull’uso degli abiti religiosi che circolano in alcuni ambienti cattolici. Nella mia beata ignoranza, ho visitato ogni sorta di ordine religioso, con abito e senza abito, e quasi senza eccezioni ho incontrato donne innamorate di Dio, della sua Chiesa e del suo popolo.

Alla fine, dopo aver visitato molti conventi, ho deciso che avrei davvero preferito entrare in un ordine in cui si portassero abito religioso e velo. In quanto ex atea, voglio diffondere il Vangelo e l’abito è uno strumento di evangelizzazione in un mondo sempre più secolare. Senza l’abito, almeno negli Stati Uniti, nessuno saprebbe che io sono una suora. Il velo e l’abito che indosso sono un segnale e un segno di qualcosa che si trova oltre questo mondo. L’abito è un potente promemoria di Dio, in un mondo che lo ha dimenticato.



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Ci sono molti argomenti a favore dell’abito, ma questo, per me, è il più importante.

Penso che tanti cattolici la pensino allo stesso modo. Molti si sentono sollevati nel vedere me, una giovane religiosa, nel suo abito. Non riesco a capire completamente il background delle persone che provano tale sollievo. Non ero ancora nata negli anni ’60, quando la Chiesa fu scossa dal caos e molte religiose cominciarono a fare a meno dell’abito. Ma certamente capisco il fatto che si preferisca l’abito. Così come preferisco l’abito in sé.

Quindi, come vedete, ho dei sentimenti forti sull’importanza dell’abito. Ma ho sentimenti altrettanto forti sulle inopportune e non cristiane prese in giro, giudizi e critiche nei confronti delle donne religiose che non indossano l’abito. Non posso dirvi quante volte sono stata chiamata da parte soltanto per sentirmi dire: “Sorella, sono contento che tu indossi l’abito…”, per poi aggiungere sussurrando: “…e non quei brutti pantaloni in poliestere”.

Altri invece, ed è ancora peggio, mi dicono: “Sono contento di vedere una vera suora che indossa l’abito!” Una suora che non indossa l’abito religioso mi raccontò un episodio. Una volta era entrata in un negozio quando – nello stesso momento, per caso – stava uscendo un’altra suora. Il proprietario del negozio, sapendo che la suora senza abito era una religiosa, le disse: “È appena stata qui una suora vera!” E lei rispose: “E io cosa sono, un’imitazione?” Con quell’atteggiamento, il proprietario del negozio ha frainteso completamente l’essenza della vita religiosa. A renderci religiose sono i nostri voti e il modo in cui li viviamo, non i nostri vestiti.



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Subito dopo essere entrata in convento, andammo in gruppo a parlare con il parroco di una chiesa vicina. C’erano anche alcune religiose più avanti con l’età (senza abito); erano entusiaste di accogliere le nuove postulanti. Il parroco, che i primi giorni aveva più volte ribadito quanto fosse felice che noi portassimo l’abito, guardò con sdegno le suore senza abito, ignorandone la presenza. Quando una di loro prese la parola, il parroco fece finta di non averla sentita. L’esclusione era evidente. Ero imbarazzata e sconvolta.

Quella fu la prima volta che ho sentito il dolore delle religiose che vengono trattate in modo diverso semplicemente perché non indossano l’abito.

Un’altra volta, poco dopo essere diventata suora, un giovane sacerdote ha parlato a me e ad un’altra giovane postulante – a lungo e con tono dispregiativo – riguardo agli abiti del nostro ordine (perché sono leggermente più corti e hanno uno stile più moderno). Con sua sorpresa, gli ho detto di essere pienamente d’accordo con lui. Io preferirei un abito più tradizionale. Ma poi ho chiesto: “Cosa ti aspetti che io faccia? Entrare in un altro ordine? Lasciare il carisma a cui Dio mi ha chiamata perché questo abito non mi piace molto? Scegliere l’ordine basandomi esclusivamente sul criterio degli abiti?”

Il fatto di avere a cuore la questione dell’abito è radicato in dei principi positivi: l’amore per la Chiesa, l’evangelizzazione, la bellezza e la tradizione, tra le altre cose. Ma come con qualsiasi altra cosa nella vita, a volte si finisce con l’evidenziare in modo fastidioso e sgradevole la questione dell’abito, facendola diventare una vera e propria ossessione.

Ho notato, innanzitutto, che sull’abito c’è un doppio standard abbastanza evidente. Conosco molti religiosi di sesso maschile che indossano l’abito soltanto in occasioni speciali, per le preghiere o quando sono nella comunità. Conosco invece pochissimi religiosi che indossano sempre l’abito (o portano il collarino), rispetto a quanto fa gran parte delle religiose. Ma raramente sento o vedo commenti sui religiosi. Il dito puntato e le prese in giro sono, molto chiaramente, rivolti verso le donne religiose.

C’è un argomento di conversazione – analogo e dalle dinamiche simili – che riguarda tutte le donne e si presenta ogni volta che ci si avvicina alla stagione dei costumi da bagno: la modestia. Ovviamente la modestia è un valore cristiano importante, e quando le donne vestono modestamente ricordano agli altri che il proprio corpo non è un oggetto. Ma – e questo fa riflettere – le donne vengono trattate come oggetti sia quando si vestono senza modestia che quando il loro abbigliamento diventa una fissazione. Le donne vengono considerate degli oggetti anche quando viene detto loro – esplicitamente o implicitamente – che sono inutili, impure o “poco di buono” se non vestono in un certo modo. Quando alle donne viene detto cosa indossare in una maniera talmente ossessiva da dare più valore all’esteriorità che al fatto di vivere nella virtù, il vero centro della questione è il controllo, e non la virtù.



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Per farla breve, sebbene ciò che si pensa sulla questione dell’abbigliamento femminile possa essere mosso da concetti apprezzabili e persino cristiani, può rischiare di sfociare nel sessismo e nell’oltrepassare i confini dell’altra persona.

E quindi, qual è la soluzione?

Dovremmo smetterla di parlare dell’importanza della modestia e dell’abito religioso? No, non l credo.

Ma possiamo considerare ogni donna per com’è, invece che giudicare un’intera categoria di donne basandosi su ciò che indossano o non indossano.

Possiamo maturare le nostre opinioni e preferenze senza giudicare o supporre di sapere – pienamente e senza alcun dubbio – ciò che possa essere meglio per una persona.

Possiamo parlare della questione dell’abito e della modestia, ma in un modo tale che non renda “oggetto” l’altra persona. In un modo tale che rispetti la sua dignità, la sua libera volontà e la complessità della situazione di ogni singola donna.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]