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Dio in 4 mosse può farti sentire meno invidioso e bramoso

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Antonio Guillem | Shutterstock

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 28/12/22

Seguite queste quattro "lezioni": vivrete meglio il vostro presente (e il vostro futuro), e vi sentirete meno turbati

L’invidia mi rende infelice? Il mio sguardo non è sempre puro? Sono bramoso di denaro? La fede in Dio può aiutarmi a superare questi stati d’animo che mi affliggono? Secondo Pierre Descouvemont in “Signore, non ne posso più. Ricettario di spiritualità quotidiana in 12 lezioni” (edizioni San Paolo), Dio può essere il vero antidoto in queste situazioni. E’ la terapia più giusta per risollevare il nostro stato d’animo. Vediamo in che modo.

1) “Mi sento invidioso verso altre persone”

Anche se sto bene nei miei panni, mi capita a volte di essere improvvisamente afferrato da un sentimento di tristezza, quando mi accorgo che qualcuno riesce meglio di me in un campo in cui ritenevo di essere bravo. Sono tentato dall’invidia perché l’efficienza altrui mi fa perdere posizioni. Posso cercare di vincere questa tristezza pensando che nella vita ci saranno sempre dei primi e degli ultimi, e sarebbe da sciocchi pretendere sempre il primo posto.

Disastri provocati dall’invidia

Questo genere di riflessione tuttavia non basta a guarire la tristezza dell’invidioso. Si tratta invece di stroncare sul nascere il senso d’inferiorità che avvelena spesso il nostro cuore. La Bibbia ci presenta più di una volta i disastri provocati dall’invidia. Il diavolo non sopporta di vedere gli uomini felici. «Per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo» (Sap 2,24). Perciò li spinge a rivoltarsi contro Dio, come lui stesso ha fatto: non ha accettato che Dio fosse migliore di lui!

Caino non sopporta che il sacrificio di Abele sia più gradito del suo agli occhi di Dio; i fratelli di Giuseppe non sopportano che il loro padre Giacobbe abbia una pre­ferenza per «il figlio della sua vecchiaia» (Gn 37,3).

I talenti

Una prima serie di beni che tendiamo a invidiare sono i doni, naturali o soprannaturali, che il Signore ha elargito al nostro prossimo, e che noi talvolta non abbiamo: la salute, la bellezza, l’intelligenza, la spigliatezza in società, la facilità di parola, le responsabilità ecc. Allora lasciamoci guidare da un primo principio evangelico: il valore essenziale dell’uomo non viene dalla quantità di talenti che Dio gli ha affidato, ma dal come li fa fruttificare e, in definitiva, dalla qualità del suo amore, che Dio solo conosce.

Ciò che conta

Il valore di una persona non si misura dai beni materiali, né dal fulgore della sua intelligenza, né dall’irraggiamento delle sue opere apostoliche, ma unicamente dal livello della sua fiducia e del suo amore. Ciò che conta, ciò che dev’essere oggetto del nostro desiderio e della nostra gioia, non è il possesso dei beni, ma avere un’anima da poveri. Ciò che conta non è dominare il mondo, ma essere dolci e umili di cuore. Ciò che conta non è essere risparmiati dalla sofferenza e dalle lacrime, ma credere fermamente nell’amore di Dio e trovare in lui la nostra consolazione.

I carismi sono per la comunità

Bisogna pensare che i carismi sono per la comunità: questo è un altro principio evangelico deve aiutarci a vincere la tentazione dell’invidia. Lo ha messo in risalto san Paolo nella prima lettera ai Corinzi: è per l’utilità di tutto il corpo che il Signore concede carismi a questo o a quello dei suoi membri. I santi hanno imparato a non gloriarsi dei doni ricevuti.

2) “Il nostro sguardo è a volte impuro”

Il nostro sguardo diventa impuro quando riduce qualcuno a oggetto di desiderio, da possedere senza amore, per soddisfare la sensualità. Qualunque sia il nostro stato – celibi, fidanzati o sposati, sacerdoti, religiosi o religiose – sentiamo che un simile sguardo viola in qualche modo l’intimità altrui, sulla quale non abbiamo alcun diritto. Gesù ha denunciato con vigore la malizia di questi sguardi adùlteri: «Io invece vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, già ha commesso adulterio con essa nel suo cuore» (Mt 5,28).

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La castità dello sguardo

La gioia della contemplazione estetica è possibile solo con l’accantonamento dei nostri desideri sensibili. Se vogliamo favorire la castità dello sguardo, abituiamoci a privilegiare sempre il volto di coloro che incontriamo. Incrociando il loro sguardo, ci sentiamo davanti a delle persone che si attendono il nostro rispetto.

Le “armi” del cristiano

Il cristiano possiede armi meravigliosamente efficaci per difendersi e contrastare la tentazione di uno sguardo “impuro”: tutto discende dalla sua fede nel Cristo risorto.

Da secoli, migliaia e migliaia di cristiani si sono conservati puri levando gli occhi verso Gesù e lasciandosi illuminare dal suo affascinante sorriso e dal suo sguardo. Uno sguardo colmo di misericordia che offre il perdono dei peccati – compresi i desideri e gli atti impuri – e che invita a posare sui fratelli e sulle sorelle uno sguardo tenero e rispettoso. Dalla contemplazione assidua del volto santo di Gesù, nasce il desiderio di assomigliargli, e la violenza della passione cede a poco a poco alla dolcezza della compassione. Inondato dalla bellezza raggiante del Risorto, lo sguardo del cristiano si purifica e si acquieta: “Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire” (Sal 34,6).

3) “Mi sento schiavo del denaro”

Non mancano formule che esprimono in modo lapidario il cinismo con cui la maggioranza degli uomini giustificano la brama di arricchirsi con tutti i mezzi: gli affari sono affari.

Ma la saggezza umana ha sempre colto anche il valore relativo della ricchezza e la schiavitù che incombe su quelli che ne godono: il denaro non fa la felicità; il denaro è un buon servitore e un cattivo padrone. Gesù non dice mai che la ricchezza è un inconveniente: può effettivamente permetterci di fare buone cose… Ma ne denuncia i pericoli: può impedirci di riuscire nella nostra vita!

Miseria invisibile

I ricchi non hanno per natura un cuore più duro degli altri, ma il genere di vita che conducono e il “mondo” che frequentano possono impedir loro di vedere la miseria che regna fuori della loro porta. Oltre a diventare indifferente verso i poveri, il ricco rischia di diventare insensibile anche alle esigenze della propria anima, dimenticando completamente il significato dell’esistenza.

Il Vangelo ci chiede di avere, nei confronti dei beni, non una mentalità da proprietario sovrano, che non deve rendere conto a nessuno, ma da amministratore. Dio è il vero proprietario di tutti i beni dell’universo e dovremo rendergli conto della gestione di quelli che ci avrà affidato (Mt 24,45­-51; 25,14­-30).

Beni per tutti gli uomini

Da oltre un secolo le encicliche sociali dei papi ci ricordano i due grandi princìpi che devono guidare la nostra condotta nei confronti del denaro.

a) I beni della terra sono destinati a tutti gli uomini

Questa verità è stata solennemente riaffermata dalla costituzione pastorale Gaudium et spes del concilio Vaticano II (1965).

b) La valorizzazione delle ricchezze del mondo richiede dei responsabili dotati di iniziativa e di autorità

Questo secondo principio – non meno importante del primo – fonda la legittimità del diritto di proprietà: gli uomini lavorano meglio quando sono stimolati dall’interesse, quando sono responsabili della gestione di un’impresa. La costituzione Gaudium et spes, dopo aver affermato la destinazione universale di tutti i beni della terra, riconosce anche l’opportunità della proprietà privata.

Non ho il diritto di godere in qualsiasi modo dei beni di cui sono legittimo proprietario. Sono miei, ma non esclusivamente per me! Nella famosa enciclica del 1891, Rerum novarum, Leone XIII ricordava quanto già diceva san Tommaso d’Aquino nel XIII secolo: «Soddisfatte le necessità e la convenienza, è dovere soccorrere col superfluo i bisognosi».

Conoscere la povertà

Per seguire il consiglio di Leone bisogna anzitutto conoscere concretamente cosa sia la povertà: oggi, ad esempio, 180 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni soffrono di grave malnutrizione; 1,5 miliardi di persone non hanno accesso alle cure sanitarie elementari; 1,3 miliardi di persone (di cui 500 milioni in Asia) vivo­ no in povertà assoluta, con un introito uguale o inferiore a un dollaro al giorno; nel mondo, 1 miliardo di adulti sono analfabeti.

Il dovere di una famiglia cristiana

Una famiglia cristiana non ha paura di lasciarsi interpellare dalle parole chiare ed esigenti del Vangelo a proposito del denaro. Dialogando con altri cristiani possiamo trovare il coraggio di opporci al lusso generale e al consumo sfrenato di certi ambienti.

4) “Ho paura del futuro”

I saggi di tutti i tempi hanno osservato che molte inquietudini umane derivano dal non saper vivere il momento presente. Un grande aiuto al cristiano, per non farsi trascinare da sterili ripensamenti o da inquietudini febbrili, viene dalla convinzione che il momento presente ha un suo valore unico, insostituibile: è un dono regale che Dio mi fa e che devo accogliere con gratitudine. Il momento presente è l’unico in cui posso in tutta verità amare Dio e il mio prossimo. Esso è – assieme all’ora della mia morte – il momento più importante della mia esistenza. «Chi ha il momento presente ha Dio. E chi ha Dio ha Tutto», diceva santa Teresa d’Avila.

Essere presenti a Dio

Questo dovrebbe essere il nostro programma: essere presenti a Dio, il quale ci è presente nel momento presente. E per realizzarlo meglio, ricordiamoci che un solo istante di vera attenzione a Dio, di fiducia in lui, può riparare ad anni interi d’indifferenza, di orgoglio o di viltà. È quanto accadde al Buon ladrone: in un istante il Signore ha convertito il suo cuore.

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