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Intervista: i talebani hanno ucciso i genitori di questo cristiano afghano

AFGHAN
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Aiuto alla Chiesa che Soffre - pubblicato il 20/09/21
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Aiuto alla Chiesa che Soffre ha intervistato Ali Ehsani, che ha lasciato l'Afghanistan dopo che i suoi genitori sono stati uccisi per la loro fede

Ali Ehsani ha 38 anni ed è avvocato. Dopo un percorso molto lungo e difficile è arrivato in Italia a 13 anni, da solo. Aveva lasciato l'Afghanistan dopo che i suoi genitori cristiani sono stati uccisi per la loro fede. Anche il suo unico fratello era morto. In Afghanistan viveva la sua fede nella segretezza più assoluta.

Da bambino si considerava “normale”, uguale ai suoi amici, tutti cresciuti in famiglie musulmane. Ma non era così. Anche se non ne era consapevole, Ali era cristiano. I suoi genitori non parlavano mai apertamente della loro religione perché pensavano che lui li avrebbe involontariamente traditi. Ricorda come sua madre tenesse sempre un posto vuoto a tavola nel caso in cui qualche bisognoso andasse a chiedere da mangiare.

Raquel Martín, di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), ha intervistato questo cristiano afghano la cui vita è stata modellata dall'aspirazione a seguire Cristo e ad essere perseguitato per questo.

Come hai scoperto che la tua famiglia era cristiana?

Quando avevo 8 anni sono andato a scuola, e i miei compagni mi hanno chiesto perché mio padre non andava alla moschea a pregare. Sono tornato a casa e l'ho chiesto a mio padre, e lui ha detto: “Chi lo ha detto?” Mio padre mi ha detto che non dovevo dire a nessuno che eravamo cristiani. Mi ha spiegato che i cristiani andavano in chiesa, ma lui aveva smesso di farlo perché temeva che io sarei andato a raccontare della nostra fede e la gente l'avrebbe scoperta.

Cos'è accaduto allora?

Alla fine la gente ha scoperto che eravamo cristiani. Un giorno sono tornato a casa da scuola e ho visto che i talebani avevano distrutto la nostra casa e ucciso i miei genitori. Mio fratello ed io siamo stati costretti ad abbandonare l'Afghanistan. Lui aveva 16 anni, io 8. Il viaggio ha richiesto cinque anni. Ho descritto la nostra odissea nel libro Tonight we look at the stars. È stato un viaggio difficile che ci ha portati attraverso Afghanistan, Pakistan, Iran, Turchia e Grecia, fino ad arrivare in Italia. Mio fratello è morto nel tragitto.

Con il fratello ha preso una barca per raggiungere le coste della Grecia. Mohammed non ce l'ha fatta. Ali si è salvato aggrappandosi a un contenitore di benzina. In quel momento, ha detto ad ACS, ha pensato “Se Gesù esiste, mi salverà dall'annegamento”. Era completamente solo ad appena 11 anni. Quando è arrivato in Italia, sapeva esattamente cosa voleva fare: avrebbe studiato Giurisprudenza, per poter difendere i deboli e aiutare chi aveva sofferto come lui.

Non ha mai dimenticato le sue radici afghane. Ha contattato una famiglia cristiana che viveva segretamente la propria religione nella sua patria e l'ha sostenuta nella fede.

Come vivevano la loro fede in segreto?

Ho conosciuto questa famiglia attraverso un amico, e ci parliamo spesso. Le ho inviato dei video della Santa Messa o le ho messo a disposizione i servizi sul mio cellulare. Era complicato perché non avevano mai assistito alla Messa. Quando hanno visto i video, però, si sono commossi fino alle lacrime... anche se non capivano cosa veniva detto per via della barriera linguistica.

Ma sono stati scoperti dai talebani…

Guardando una delle trasmissioni della Santa Messa, avevano acceso la televisione di modo che tutta la famiglia potesse sentire. In questo modo, un vicino ha scoperto che erano cristiani e li ha traditi.

Cos'è successo?

Il padre è stato arrestato, e quella è stata l'ultima volta che ho sentito parlare di lui. La famiglia è stata costreta a fuggire e a nascondersi in una specie di bunker, pagando una guardia per difenderla. Grazie alle autorità italiane e vaticane, è riuscita a lasciare il Paese, e ora vive in Italia.

Cos'ha fatto quella famiglia nei primi giorni di libertà?

La prima volta in cui sono riusciti ad assistere alla Messa, erano così sopraffatti da piangere. È stato profondamente toccante avere la libertà di riconoscere apertamente la loro fede. E hanno detto: “Dopo aver vissuto nell'oscurità per tanti anni come cristiani clandestini, è stato come rinascere”.

Quando la famiglia ha lasciato l'Afghanistan, non ha portato niente con sé. Uno dei figli indossava una camicia nel tipico stile afghano, che non si è tolto per giorni finché non è arrivato in Italia. La camicia è stata donata a Papa Francesco da un giornalista che lo ha accompagnato sul volo dall'Ungheria alla Slovacchia.

Non ci sono tracce di dolore sul volto sorridente di Ali. Visto che non sapeva se i suoi genitori lo avevano battezzato nel suo Paese natale, ha deciso di ricevere il sacramento nella basilica di San Giovanni in Laterano a Roma. Alla fine dell'intervista, ha chiesto ad ACS preghiere per la pace nel mondo.


Per ulteriori informazioni sulla situazione dei cristiani in Afghanistan, consultate il Rapporto sulla Libertà Religiosa: https://acninternational.org/religiousfreedomreport/reports/af/

Questo articolo è stato pubblicato originariamente da Aiuto alal Chiesa che Soffre ed è ripubblicato in questa sede per gentile concessione. Per conoscere meglio la missione di aiuto alla Chiesa sofferente di ACS, www.acninternational.org.