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Il cappellano della nazionale olimpica italiana: “Senza fede non c’è vittoria”

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 26/08/21
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Don Gionatan De Marco, giovane prete salentino, rivela il "segreto" per caricare gli atleti prima e dopo le gare

È tornato da pochi giorni dalla spedizione esaltante alle Olimpiadi di Tokyo dove gli Azzurri si sono fatti onore portando a casa un numero notevole - imprevedibile solo alla vigilia - di medaglie. Lui è stato per loro come un angelo custode. 

Don Gionatan De Marco, sacerdote di 39 anni, originario di Tricase (Lecce), direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per la pastorale del tempo libero, turismo e sport, è stato il cappellano della squadra olimpica italiana.

Don De Marco è stato già Cappellano della squadra olimpica italiana ai Giochi Olimpici invernali del 2018, che si sono svolti a Pyeong Chang, in Corea del Sud, dal 9 al 25 febbraio 2018. Nello stesso anno è stato a Taragone, in Spagna, al seguito degli atleti e delle atlete italiane impegnate nei “Giochi del Mediterraneo”.

L’Italia è una delle poche nazioni che ha inserito un cappellano nella delegazione ufficiale olimpica, dandogli così un ruolo “ufficiale e centrale”. La prima volta è accaduto alle Olimpiadi di Seul, nel 1988, con la partecipazione di mons. Carlo Mazza, a cui è succeduto mons. Mario Lusek, direttore Ufficio Sport e turismo della Cei (Piazza Salento.it, 17 giugno).

«Mi piace definire la presenza del cappellano all’interno della squadra olimpica italiana con tre verbi: ascoltare, stare vicino, sorridere. Vivere le Olimpiadi con i nostri atleti - ha detto all’AgenSir (21 agosto) è stata soprattutto un’esperienza di ascolto, molto spesso del non detto. Si è trattato di riconoscere nei loro volti e nei loro movimenti i lineamenti di sogni e ‘bi-sogni’, a cui dare voce attraverso un sms prima o dopo la gara». 

Vivere le Olimpiadi con i nostri atleti «ha significato poi stare vicino, a volte senza dire nulla, ma con uno sguardo attento a tutti i segni attraverso cui chiedevano una parola di incoraggiamento o di festa. Vivere le Olimpiadi, per un cappellano, ha significato soprattutto donare sorrisi. In quei giorni all’interno della squadra c’era molta tensione, molta concentrazione… e un sorriso può poteva guarire paure o accarezzare l’entusiasmo».

Secondo don Gionatan De Marco «senza fede non c’è vittoria! E questo vale sempre!». Nelle Olimpiadi si incontrano «giovani che hanno una grande fede: chi solo nei propri talenti, chi anche nell’aiuto degli altri, chi addirittura in Dio. Ma la fede che noi accostiamo al verbo credere, nello sport si impara ad accostarla un po’ di più al verbo cercare… perché è un continuo allenamento a cercare risorse, tattiche, alleanze…». 

«Penso - conclude il cappellano della nazionale olimpica italiana - che sport e vita cristiana trovino in quell’allenamento a cercare sempre il modo per dare il meglio di sé una comunanza che andrebbe un po’ più coltivata e valorizzata».