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Dalle favelas alle Olimpiadi, l’oro al volteggio di Rebeca Andrade

REBECA ANDRADE

Salty View | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 03/08/21

Un talento fiorito nelle favelas di San Paolo, Rebeca arriva a Tokyo dopo tre rotture del crociato: "Non sono arrivata qui da sola e ho avuto molto aiuto spirituale da parte di Dio".

Eravamo talmente entusiasti degli ori di Jacobs e Tamberi che ieri l’argento di Vanessa Ferrari nel corpo libero è passato un po’ in sordina, pur essendo qualcosa di clamoroso. Brava! E i riflettori olimpici della ginnastica sono ancora così tanto puntati sulla grande e fragile Simone Biles da lasciare in penombra altre storie molto luminose.

Rebeca Andrade ha 22 anni e ha vinto l’oro al volteggio. E’ un talento fiorito tra le favelas di San Paolo.

Sono qui dopo momenti difficili, con l’aiuto della mia famiglia e di Dio.

La grazia di uno scoiattolo

La specialità di Rebeca è il volteggio, questo significa che trova il suo ‘elemento’ nel prendere la rincorsa, saltare, fare acrobazie sopra il cavallo, per poi ricadere a terra in perfetto equilibrio. Ogni disciplina sportiva è una manifestazione fisica di una tensione interiore. Il volteggio è il salto di un ostacolo con tutta la creatività umana capace superare la forza di gravità.

All’uomo non basta opporsi alla gravità, deve mettere la sua firma creativa anche nel saltare gli ostacoli. Questa è proprio la trama di vita di Rebeca.

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A 4 anni l’hanno accompagnata in palestra, non sapevano più come fermare la bimba che si arrampicava sugli alberi con la grazia di uno scoiattolo. “Rebeca è arrivata con sua zia in palestra, tutta timida. Quando le ho chiesto di eseguire una mossa, ho visto un talento incredibile” ha ricordato la sua prima insegnante Monica Barroso dos Anjos. 

da Gazzetta

Questo talento se ne stava a germogliare a Guarulhos nelle favelas di San Paolo in Brasile e per recarsi agli allenamenti ha dovuto scarpinare ogni giorno: due ore a piedi da casa alla palestra.

Allenarsi è proprio lo sforzo di convogliare le spinte che sentiamo verso un’espressione non più ‘magmatica’, ma espressiva. Dentro ciascuno pulsano e scalpitano forze e voci. Chi ce le ha date che cosa aveva in mente? La disciplina risponde innanzitutto a questa domanda prima ancora che essere il fio da pagare per essere dei campioni.

Dalle favelas di San Paolo alla pedana di Tokyo 2020

Quando le vittorie hanno cominciato essere importanti e la ginnastica è diventata il suo ‘mestiere’ , Rebeca coi primi guadagni ha comprato un appartamento alla propria famiglia. La prima regola di un buon salto è l’appoggio solido per darsi la spinta. (Ricordo, con terrore e tremore, la mia severissima insegnante di danza classica che ci chiedeva sempre: “Da dove comincia la piroetta? Dal pavimento”).

Rebeca ha detto grazie a genitori e fratelli (ne ha 7) regalando loro un pavimento e dei muri, una casa. Quei volti sono stati il suo pavimento, che può essere solidissimo – in termini di cura e di affetto – anche i luoghi che noi sommariamente definiremmo invivibili, come le favelas.

Non sempre abbiamo avuto i soldi per andare agli allenamenti. C’è stato un tempo in cui mio fratello mi portava in bici agli allenamenti. La mia casa era molto lontana dalla palestra. Ha fatto qualsiasi cosa per me. C’era una collina molto ripida e non mi lasciava scendere dalla bici, la spingeva finché non arrivavamo in palestra. 

Ibid

Simone Biles, Benedetta Pilato. Tante atlete hanno ceduto all’ansia e all’emotività durante queste olimpiadi. E’ un volto che abbiamo raccontato perché ci permette di ricordare, a noi stessi per primi, che la caduta o l’inciampo o il semplice tentennamento non sono parti di noi da superare, ma da vivere. Senza la frenesia di voltar subito pagina e anche senza il cerotto di pensare alla vittoria che verrà.

Ma Rebeca Andrade non è stata colpita dall’onda dell’emotività, non è stata travolta dall’ansia. E si può ben dire che – paradossalmente – le sue gambe non hanno vacillato proprio perché erano già a pezzi.

3 infortuni prima delle Olimpiadi

Anche il mito assoluto della ginnastica, la rumena Nadia Comaneci, si è complimentata con questa giovane atleta brasiliana. La Andrade è arrivata a disputare le gare olimpiche di Tokyo 2020 dopo un percorso incredibilmente complicato. Ci si potrebbe vedere un forte accanimento della sorte. Ma chi ha il talento di saltare acrobaticamente un cavallo, arrivandoci con la rincorsa di un missile, probabilmente guarda le cose diversamente.

Per tre volte Rebeca si è rotta il crociato anteriore del ginocchio destro, è capitato nel 2015, nel 2017 e poi nel 2019 facendole rischiare di mandare a monte le qualificazioni per Tokyo. Sarà il suo tallone d’Achille, chissà. Il corpo degli atleti che pare così robusto è in realtà fragilissimo. Si può, però, osare dire che un punto debole così evidente faccia parte del migliore corredo di una vera campionessa?

Siamo fin troppo assediati da – presunti – dèi e semidèi. Tutti lì a ritoccare i difetti fisici come fossero lettere scarlatte di disperazione assicurata. Ci fa del gran bene (anche spirituale) riconoscerci come la razza dei talloni d’Achille, dei crociati che si rompono, e via dicendo … fino ad arrivare alle rughe e alla cellulite.

Spluciando nei pezzi dedicati a Rebeca s’intravede già l’etichetta che i media stanno cucendole addosso: l’atleta della resilienza. Che fantasia, certe volte c’incaponiamo su certi termini quasi fossero pozioni magiche.

Quanto a lei, i termini della sua questione personale stanno altrove. Per fortuna.

ha sempre considerato la sua storia come “un processo di miglioramento perché ho attraversato momenti molto difficili. Non sono arrivata qui da sola, ho avuto molte persone che mi hanno aiutato e molto aiuto spirituale da parte di Dio”

Ibid.

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