È da ieri in libreria “Senza offendere nessuno”, primo libro di Giovanni Scifoni, edito da Mondadori – ventuno capitoli in poco meno di duecento pagine e per poco meno di venti euro –; emblematico il sottotitolo “Chi non si schiera è perduto”.
Dunque nel libro si tratta di schierarsi – e quali sono gli schieramenti in causa?
Si tratta di cattolicesimo, nel libro, per quanto possa aver senso l’espressione in riferimento a un testo che non è un trattato di teologia o di storia: a più riprese Scifoni tematizza i sottintesi e i malintesi che nella sua vita (soprattutto pubblica) incontra rispetto all’essere cattolico, ma il “cattolicesimo” è in questo libro meno un tema che una coordinata esistenziale maggiore. Scifoni cioè è cattolico (e come tutti i credenti non capisce l’epiteto “molto credente” che si vede affibbiata), ma proprio per questo il cattolicesimo è per lui prima un orizzonte di significato che un oggetto di riflessione. Ci sono nella vita di Scifoni anche altre dimensioni molto intense – benché subordinate alla prima –, che trapelano dalle pagine del libro: quella di marito e padre, ad esempio, come pure quella di figlio e di fratello (tanto per restare sul piano delle relazioni primarie). C’è poi la dimensione professionale di attore, pure molto pervasiva e che interagisce con le altre in modo assai fecondo e sorprendente:
Questo insomma non è il libro atteso da quei cattolici che sperano di essere confortati nel loro (peraltro inconfessato) senso d’inferiorità rispetto al mondo: non carezzerà la pancia a quanti agognano di sentirsi dire che si può essere cristiani e non necessariamente sfigati – e non perché sia vero il contrario.
Esiste però una “questione cattolica”, che scorre in filigrana nel libro ma che si direbbe un po’ l’elefante nella stanza della vita di Scifoni: mentre infatti i cattolici guardano il personaggio pubblico cattolico e dicono “ecco uno figo, uno accostandomi al quale non devo vergognarmi!”, sul lavoro gli attori guardano al collega, bravo ma cattolico (praticante), e lo evitano perché i normali intercalari del set (le bestemmie) sarebbero causa d’imbarazzo con lui; o lo stigmatizzano a cena perché presumono che un momento di “meditazione zen” lo infastidisca; o ancora lo guardano con durezza perché presumono da un lato che certamente egli escluda che il loro cane (sic!) vada in paradiso, e dall’altro che certamente il loro cane ci andrà.
Presumere, presunzione… ma non presuntuosi: la riflessione di Scifoni, che verte quasi tutta su episodi concreti, evidenzia spesso come i sottintesi che “gli altri” hanno a suo riguardo “in quanto cattolico” si rivelino infondati… ma la notifica di questi errori, talvolta marchiani e contraddittori, non tracima mai nell’invettiva, nel mantra (diffuso in certi ambienti) “ecco chi sono i veri dogmatici e intolleranti!”. Ci sarà anche del vero, ma quella verità si fonda nel fatto che intolleranti lo siamo tutti perché ciascuno di noi cerca un conforto, una rassicurazione, una tutela – e normalmente a dare queste cose è un gruppo, una cerchia, se si vuole una lobby.
E poi c’è chi sceglie di stare fuori da questa logica: “Fare lobby non va bene” disse a sorpresa papa Francesco subito dopo l’arcinoto titolo “chi sono io per giudicare?”. Quella volta, come molte altre, il Pontefice si mostrò artefice di una “playlist” nient’affatto prevedibile, e con ciò si candidava anch’egli a ricevere l’assegnazione di un ipotetico Ornitorinco d’Oro (premio tutt’altro che ambito, per come lo si porterebbe: al confronto, il Tapiro di Staffelli e Striscia sarebbe un Oscar).
“Senza offendere nessuno” è in qualche misura un non-romantico “elogio dell’ornitorinco” (e difatti il lettore si ritrova l’animale anodinamente immortalato in copertina): non-romantico perché non si tratta di parteggiare per i sentimenti contro la ragione (o viceversa), né di esaltare l’individuo sulla collettività (o viceversa), bensì di lasciare spazio all’inevitabile complessità degli incontri (con le relative sorprese). Scifoni scrive infatti dalla posizione di membro di una e più famiglie (la sua e quella di origine), oltre che di una e più comunità (quella ecclesiale, quella civile, quella professionale…): ragione e sentimenti, singoli e collettività sono necessariamente implicati, e insieme, ma le esperienze sono così tante, così tante sono le persone, che nel concreto i processi critici (quando sono onesti) impongono a chi li osserva una certa distanza. Questa a sua volta non è necessariamente marca di estraneità o di ostilità (l’orizzonte hobbesiano), ma può essere anzi distintivo di amicizia civile e di fraternità solidale: ho una posizione differente dalla tua ma se riguardo alla mia storia – a quel che mi c’è voluto per maturare le mie convinzioni attuali, a quel che c’è voluto a quanti conosco – avverto forte l’obbligo di lasciarti lo spazio e il tempo di fare la tua strada (fatto salvo il mio diritto nativo a esprimermi e ad agire conformemente).
Scifoni suggerisce insomma l’idea che i cattolici, in quanto tali, possano guardare all’ornitorinco con simpatia e quasi eleggerlo ad “animale-simbolo”: ci sarebbero pure fior fiore di pagine patristiche, del resto, per sostanziare l’intuizione… Ma basterebbe un batter d’occhi, a quel punto, per fondare il “Partito dell’Ornitorinco”, che fatalmente riprodurrebbe in sé tutte le dinamiche identitarie ed esclusive che si cercava di scongiurare… Gli ornitorinchi individuati da Scifoni, invece, sono talvolta dei paria anche nelle loro stesse associazioni, e (certo non solo per questo) attraggono quasi insieme la sua simpatia e la sua stima:
Ornitorinchi, insomma, lo si è anzitutto vivendo con onestà l’ineliminabile e radicale solitudine esperita da ogni persona: resistendo cioè alla forza centripeta che vorrebbe semplificarci il compito di vivere e pensare lasciando che altri (sindacati, partiti, “chiese”) pensino e vivano per noi. D’altro canto, neanche gli ornitorinchi vivono come delle monadi e per Scifoni è stato motivo di turbamento e messa in discussione la scoperta che il figlio maggiore, valutando se fare o no la Prima Comunione, aveva stilato su un foglio protocollo l’elenco dei “personaggi cattolici famosi”:
In quello stesso frangente Scifoni scoprì però che anche sul sito dell’Uaar avevano fatto un elenco – pensato al contrario: «La lista è lunga, c’è un sacco di gente, da Euripide a Paolo Bonolis» (ivi, 158).
L’ornitorinco Scifoni non è e non può essere un altezzoso santone sparasentenze anzitutto perché è un padre, e in quanto tale ha il cuore sospeso su tutti i futuribili dei suoi figli; e in quanto tale gli viene anche da guardare un po’ a tutti gli uomini come ai suoi figli, perché anzitutto anch’egli sa di essere figlio e di averci messo un bel po’ di fatica a tornire le sue convinzioni, sotto il paziente sguardo di un padre (riverbero di un Padre). “Senza offendere nessuno” sarebbe anzi impensabile senza le due famiglie di Scifoni, e in particolare senza la moglie Elisabetta e il fratello Gabriele: sensi semplicissimi e ineffabili sostengono l’autore legandolo all’una e all’altro – dei quali molto è detto ma il più, l’essenziale, è bellamente taciuto – al punto che si può individuare nei due come i fuochi attorno ai quali Scifoni delinea la propria ellittica confessione.
A ben vedere, in fondo, questo libro è proprio quel che il cattolico paralizzato dal (peraltro inconfessato) senso d’inferiorità rispetto al mondo farebbe bene a leggere: “chi non si schiera è perduto” è certamente quel che la sua tremebonda “coscienza di classe (religiosa)” teme, ma le lunghe confessioni di Scifoni [di]mostrano invece il contrario, che cioè si può serenamente non rientrare nelle tassonomie del darwinismo sociale e continuare ad esistere. Irriducibili e, soprattutto, felici – perfino.