Un forte calo delle vocazioni si registra tra i monaci Cistercensi della Stretta Osservanza – meglio noti come trappisti.
I monaci sono sempre meno e le abbazie fanno sempre più fatica a trovare persone desiderose di entrare nell’ordine e di imparare le produzioni artigianali più celebri, tra cui la birra.
La scarsità di nuovi monaci trappisti ha cause simili a quella riscontrata in altri ordini religiosi. I monaci, scrive Il Post, sono invecchiati e nel frattempo il mondo si è secolarizzato sempre di più. La vita monastica, fatta di meditazione, lavoro e rinunce, attrae ormai pochissime persone. Nel caso dei trappisti, poi, reclutare nuovi membri è ancora più difficile perché la regola dell’ordine impedisce loro di aprirsi al mondo oltre una certa misura. A differenza di altri ordini religiosi, per esempio, fanno un uso molto limitato dei cellulari e di internet.
Come spiega il Wall Street Journal, connessa alla sopravvivenza dei trappisti c’è anche quella delle birre che da loro prendono il nome. Per essere definita “trappista”, infatti, una birra deve disporre del logo esagonale nero che recita Authentic trappist product (“Autentico prodotto trappista”). E certifica la presenza di una serie di requisiti: la produzione deve avvenire nell’ambito di un’abbazia trappista, deve essere eseguita oppure sorvegliata da monaci trappisti, i processi e le modalità devono essere decisi dalla comunità monastica e i ricavi devono servire a finanziare le attività dell’abbazia (o devoluti in beneficenza).
L’ordine nacque nella seconda metà del Seicento per volere dell’abate del monastero cistercense di Notre-Dame de la Trappe, in Francia, da cui deriva il nome. L’abate riteneva che i cistercensi si fossero troppo allontanati dai dettami della regola del loro ordine, e che avessero sviluppato uno stile di vita troppo rilassato. Perciò dal 1664 impose un ritorno all’antica disciplina, introducendo il divieto quasi totale di parlare, le penitenze corporali e una dieta priva di carne e pesce.
È questo il motivo per cui l’ordine di questi monaci si chiama “della Stretta Osservanza”. Per anni rimasero nominalmente nell’ordine cistercense, poi nella prima metà dell’Ottocento se ne separarono ufficialmente.
A quell’epoca i trappisti non erano gli unici monaci a dedicarsi alla produzione di birra per il proprio sostentamento, ma nel corso del Novecento i loro birrifici aumentarono ed ebbero più fortuna rispetto a quelli degli altri ordini. I monaci raffinarono sempre di più le tecniche di lavorazione. E la birra trappista diventò famosa e apprezzata in modo particolare, anche quella prodotta fuori dai tradizionali monasteri belgi.
La comunità trappista italiana che produce la birra Tre Fontane, invece, risiede a Roma dal 1868, da quando il papa le diede il compito di risistemare il sito e bonificarlo. In cambio, ricevettero in enfiteusi (una sorta di concessione perenne) 450 ettari di terreno intorno all’abbazia. Oltre alla birra, che ha ricevuto il marchio esagonale solamente dal 2014, i monaci producono olio, miele, cioccolato e liquori.
Oggi i monasteri trappisti in tutto il mondo hanno modificato alcuni dei tratti più rigidi della loro regola, per adattarsi alla modernità e cercare di sfruttarne almeno un po’ i vantaggi, che nel loro caso si traducono in maggiori ricavi per sostenersi (Il Post, 16 marzo 2021).
Da quando le visite turistiche a conventi e abbazie sono state annullate a causa del Covid, suore e frati hanno visto le entrate diminuire. Così si sono "modernizzati" ed è arrivato il loro sbarco sul web, con la vendita dei prodotti on line, per rimpinguare le casse dei monasteri.
Ecco i principali prodotti trappisti, che si possono acquistare on line.
Per esempio, l'abbazia cistercense di Casamari di Veroli, in provincia di Frosinone, dove i monaci preparano tisane e infusi, da ordinare anche online. Da sempre sono famosi per i loro infusi, unguenti e sciroppi e adesso tra i fiori all’occhiello della produzione c’è la celebre tintura imperiale.
La birra è invece il prodotto di punta della comunità monastica dei SS. Pietro e Paolo alla Cascinazza di Buccinasco, alle porte di Milano. Dopo un periodo di formazione in Belgio, presso alcune abbazie che producono alcune tra le migliori birre del mondo, i monaci hanno potuto vedere ed imparare i criteri e la tecnica di produzione. Il numero di bottiglie prodotte annualmente è volutamente limitato, cosa che – raccontano –permette di seguire tutte le fasi del processo produttivo.
La produzione di olio extra vergine di oliva è, invece, tipica della congregazione Camaldolese dell'Ordine di San Benedetto che vive e lavora nell'eremo benedettino di Monte Giove. L'eremo, costruito nel 1600, si trova tra la città di Fano e le colline della provincia di Pesaro e Urbino.
Qui i monaci producono anche di tisane, liquori, creme e altri prodotti naturali preparati seguendo le antiche ricette, avvalendosi di esperienze e sapienza secolari declinate secondo le tecnologie e i sistemi di controllo attuali. L'eremo di Monte Giove ha anche una farmacia che on line. Questo negozio virtuale vende prodotti di Camaldoli (liquori, vini, creme, tisane, saponi, erboristici, ecc.) e quelli di altri monasteri (marmellate, biscotti, erboristici). Ma si possono acquistare anche a miele, vino, cioccolata di produttori del territorio marchigiano (La Repubblica, 13 aprile).
«Il cioccolato dei trappisti - spiegano dall'Antica fabbrica di Frattocchie (Marino) - viene prodotto ancora oggi secondo la vecchia ricetta, tramandata nella lenta lavorazione artigianale di generazione in generazione. Si distingue per ingredienti come la nocciola tonda gentile romana dop e per essere lavorato ancora con macchine d'epoca (macchine costruite dalla fine dell'Ottocento a metà Novecento, in pietra e metallo) e modellato a mano. Dall'antica ricetta dei monaci trappisti si è passati alla linea professionale del cioccolato per il mondo della ristorazione e dell'hotellerie».