Lo chiamano il “l’italiano sud-sudanese, il “bianco Nuer”, il “bianco Dinko”: è il più giovane vescovo al mondo, ha 43 anni e quando nelle scorse settimane è stato chiamato da un emissario del Papa…non ha accettato subito!
Il giorno che ha ricevuto la comunicazione che sarebbe diventato il più giovane vescovo al mondo, a Padre Christian è avvenuto come uno choc. Che ha raccontato al Corriere della Sera (19 aprile).
Il Nunzio apostolico in Sud Sudan lo contatta e gli dice: «Abbiamo appena ricevuto dal Santo Padre la sua nomina a vescovo di Rumbek…».
Il più giovane vescovo cattolico del mondo, si legge sul Corriere, fatica ad articolare una risposta sensata, balbetta: «Ma..., ma non c’era modo di parlarne prima? Io non ho esperienza..., ho la mia gente laggiù nella palude..., non so stare dietro a una scrivania...».
Per quasi un’ora cerca di far valere le sue ragioni, le sue paure, i suoi sentimenti, la sua fragile natura umana. «Insomma, immagino sia un sì!». «Aspetti, posso richiamarla tra un’ora?».
Frastornato, padre Christian scende in cappella, s’inginocchia e, prima di pronunciare il «Padre mio mi abbandono a te» insegnato da Charles de Foucauld, con lo sguardo fisso al Cristo in croce riavvolge nella memoria i quindici anni trascorsi nel martoriato Sud Sudan.
La vocazione del più giovane vescovo del mondo, sboccia alle superiori e il giovane Carlassare, dopo gli studi teologici e due baccalaureati in Teologia e Missiologia, nel settembre del 2004 è ordinato sacerdote.
Dopo un soggiorno a Londra per perfezionare l’inglese lo destinano al Sud Sudan, Paese devastato ma che sembrava finalmente destinato a una lenta rinascita dopo la fine della seconda guerra civile.
La sua missione è a Lokichoggio, una piana in mezzo al nulla. Così racconta il suo arrivo in questa località nel cuore della Savana. «Entrati in Sud Sudan, sotto di noi, per un’ora buona, solo savana senza ombra umana. Dopo comincia la palude. La popolazione Nuer, che mi aspetta, vive ai bordi della più grande zona allagata del mondo. Voliamo per un’altra ora e mezza su terra zuppa d’acqua. Mi si stringe il cuore: dove sto andando a finire? Lì il Nilo si mangia tutto. Per sorreggermi sgrano il rosario».
Poi, prosegue il racconto di Padre Christian, «l’aereo comincia a scendere e lontano si intravedono capanne e una pista di sabbia di mezzo chilometro invasa da pecore e vacche. Il pilota volteggia su di loro, come dicesse sciò-sciò, due, tre giri, fino a quando sgombrano e noi possiamo atterrare».
Due missionari scendono dall’aereo, uno più anziano e l’altro con la faccia da bambino, Christian. Ha il cuore gonfio di emozione e di timore finché un gruppo di persone, sciamando dalle capanne, gli va incontro: «Abbiamo pregato molto per avere un altro prete con noi». Da tempo, tra un conflitto e l’altro, non ne erano rimasti.
A Fangak, la base della sua missione per dieci anni, lo accoglie una donna rispettata come un capo. Si chiama Rebecca Nyaleak, lo squadra come un sergente revisiona una recluta, e gli dice: «Ti accogliamo come nostro padre, anche se sembri nostro figlio, e vedrai che ti aiuteremo a diventare un uomo».
La missione è molto vasta: ottanta villaggi da raggiungere a piedi o in canoa. Per visitarne alcuni si impiegano tre o quattro settimane.
Dopo questa esperienza, quando padre Christian riprende a viaggiare tra palude e savana, arriva la prima chiamata. Nel 2017 gli chiedono di occuparsi delle nuove vocazioni e nel 2020 lo nominano vicario generale della diocesi di Malakal, grande come il Veneto e la Lombardia messi insieme. Poi la chiamata del Papa. E ora è diventato il vescovo più giovane al mondo.