La letteratura mostra il suo vero volto quando gli uomini non stanno più sul divano a leggere ma si sentono sotto attacco, in pericolo di vita. Allora, alcuni libri si spogliano del loro aspetto dimesso e stanno tra le nostre mani come spade, o come scudi. Questo tempo, che ci sta duramente mettendo alla prova in termini di fatica e anche di disperazione, è propizio per renderci disponibili ad ascoltare certe voci amiche che sono più di "classici letterari".
Mi ha commosso venire a conoscenza di un dettaglio della vita di C. S. Lewis - il padre di Narnia - che non conoscevo. Dal 1941, oltre a portare avanti il suo mestiere di docente universitario, Lewis trascorreva i weekend girando per le basi militari del suo paese: teneva lezioni sul dolore e sulla paura ai giovani piloti impegnati nelle campagne militiari. Si può dire che desse una carezza alla loro coscienza, poco prima che essi s'alzassero in volo verso la morte. Preparava le loro anime.
Un'altra sua opera celeberrima nacque in quello stesso periodo. L'Inghilterra era sotto le bombe tedesche, si contavano migliaia di morti civili. E Lewis fu accanto ai suoi connazionali pubblicando settimanalmente su The Guardian quelle che oggi noi conosciamo come Le lettere di Berlicche. Anche in questo caso, accompagnò e preparò le anime. E lo fa tuttora.
Lui è Dio, e chi parla è un diavolo.
Scrivendo Berlicche Lewis si catapultò oltre le linee nemiche. Fu un'impresa militare più che letteraria. E fu vincente: non si trattava di far parlare il diavolo, ma dare al lettore l'impressione di ascoltare di nascosto le confessioni di un diavolo. E' una rivelazione, come quando un esercito viene in possesso dei piani del nemico.
Quando ci vuole, ci vuole - si dice. E a volte ci vuole una spinta, o un salto mortale.
E così nella finzione letteraria il diavolo Berlicche scrive al giovane nipote Malacoda per educarlo a diventare un bravo diavolo. C'è ancora chi la ritiene un'opera ironica, Lewis la scrisse faticosamente, facendo esperienza di una aridità tremenda. Altri avrebbero voluto che scrivesse sequel su sequel di quest'opera. Lui si rifiutò categoricamente, perché non fu un gioco piacevole immedesimarsi nel punto di vista del diavolo.
La quarta delle Lettere di Berlicche è interamente dedicata "al penoso argomento della preghiera". Si tratta di una delle questioni più spinose per il diavolo perché sa bene che una delle armi più potenti che l'uomo ha. Ma gli uomini se ne rendono conto?
Nell'ascoltare Berlicche che insegna al giovane Malacoda a "disinnescare" la potenza preghiera noi - come guardando il negativo di una foto - possiamo riconoscere tutti i nostri punti deboli. Tutta la nostra vulnerabiltà esce allo scoperto, e di conseguenza rinasce una coscienza più chiara dell'enorme aiuto che Dio ci dà.
1Solo un colloquio informale con Dio?
Parola chiave: sensazione. E' molto facile spostare la preghiera nella sfera dell'emotività. Ci viene quasi spontaneo trattarla come una chiacchierata fraterna con Dio, e dunque associarle tutte le caratteristiche di uno scambio con un amico. Che la preghiera diventi una istintiva fiumana di parole in libertà - magari anche molto sentite e commosse! - è proprio ciò che il diavolo vuole.
Teniamo a mente che in queste citazioni è la voce del diavolo Berlicche a parlare. Dunque, l'istintività puramente emotiva fa il suo gioco. Perché è puro sfogo o un flusso di coscienza in cui l'anima si distrae, non si concentra nella presenza di Dio accanto a lei. Lewis confessò di aggrapparsi incessamente alla ripetizione del solo Padre Nostro, per non cadere nella tentazione del monologo egocentrico. E in momenti di profonda concentrazione intuì che la vera preghiera potesse fondarsi anche esclusivamente sul silenzio.
Un ardente desiderio che cresce grazie a una grande immaginazione non è la fede in senso cristiano. - C. S. Lewis
2Prega anche il corpo
Molto volte ci si distrae pregando. Tendiamo ad attribuirlo solo a una pigrizia o debolezza mentale. E invece riguarda anche il nostro corpo. Berlicche ci ricorda quello che noi tendiamo a dimenticare, l'essere umano è una creatura fatta di corpo e di spirito. Nella preghiera non è coinvolta solo la nostra parte "pensante", il corpo è un grande alleato nel sostenere l'anima che si rivolge a Dio. E non è una questione di posizione, ma di presenza. Lewis, in un altro scritto, disse che ci si può addormentare anche da inginocchiati. Il corpo è la nostra sentinella, quando preghiamo rendiamolo presente e all'erta.
3Non dentro ma fuori
Anche questa è una bella 'lavata di testa'. Quanto è spontaneo pensare che pregando si entra nella nostra dimensione più intima? Ecco un altro abbaglio. Pregare non è entrare dentro di noi, ma uscire. Uscire verso di Lui, Dio. La preghiera è proprio la fuga benedetta dal nostro umore, dai nostri desideri, dai nostri bilanci. Più l'orizzonte del nostro io è al centro delle nostre preghiere, più siamo chiusi a chiave in un recinto autoreferenziale. E siamo lontani da Dio.
4Non è un Dio fatto a nostra immagine
La prospettiva di uscire ribalta proprio tutto. Non è Dio che entra in casa nostra, siamo noi che bussiamo al suo regno. Perciò il diavolo Berlicche insiste molto con Malacoda nel fargli capire che per allontanare un'anima dal "Nemico" (da Dio) bisogna insistere proprio sull'arma dell'autoreferenzialità. Più l'io è protagonsta, più Dio diventa una presenza costruita a nostra immagine e, dunque, di fatto assente.
Il diavolo ha visto in faccia Dio, ma l'uomo no. Avendo bisogno di immaginarlo in qualche modo, noi umani ci basiamo sulle raffigurazioni che sono state fatte nel corso del tempo. Magari per pregare bene, qualcuno si concentra fissando il Crocifisso che ha in casa. Non è sbagliato, ma può nascondere una tentazione:
Il soldato per andare in battaglia si copre, di armi e strumenti di difesa. Da questa breve incursione nella preghiera vista con gli occhi del diavolo, sembra che mettersi a mani giunte sia proprio l'opposto. Occorre togliere, sottrarre, restare nudi. Togliere l'emotività, togliere l'istinto del monologo interiore, togliere se stessi dall'inquadratura, togliere anche la presunzione di rinchiudere Dio in un'immagine.
Più si toglie, più si fa spazio. La preghiera non è l'ennesimo strumento per dare una forma e un grido alla nostra volontà. E' fare un passo oltre la soglia e mettersi allo scoperto, nudi e ospitali al "sia fatta la tua volontà".
Un crocifisso esiste per indirizzare chi prega alla Passione. È meglio che non sia un oggetto artisticamente apprezzabile in sé, che non abbia troppi dettagli che attirino l’attenzione su se stesso. Più è disadorno, più si lascia attraversare: bisogna passare attraverso l’immagine materiale e andare oltre. - C. S. Lewis