L’emorragia di posti di lavoro femminili è un dato allarmante ma è anche forse l’occasione, l’ennesima e ci si augura non l’ultima, per rimettere al centro maternità, figli e famiglia. Di che futuro si può parlare altrimenti?
Donne e lavoro
Dal comunicato stampa dell’ISTAT ci arriva una fotografia, in movimento, del mercato del lavoro che inevitabilmente porta su di sé i segni della pandemia.
A dicembre tornano a calare gli occupati e si registra un incremento dei disoccupati e degli inattivi.
La diminuzione dell’occupazione (-0,4% rispetto a novembre, pari a -101mila unità) coinvolge le donne, i lavoratori sia dipendenti sia autonomi e caratterizza tutte le classi d’età, con l’unica eccezione degli ultracinquantenni che mostrano una crescita; sostanzialmente stabile la componente maschile. Nel complesso il tasso di occupazione scende al 58,0% (-0,2 punti percentuali).
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La disoccupazione sale di 0,2 punti percentuali arrivando così al 9% in totale e colpendo invece più duramente la componente giovanile che passa dal 29,4 al 29,7%. Crescono anche gli inattivi, soprattutto tra donne e giovani mentre cala tra gli uomini delle altre classi di età. La definizione di inattivo si applica alle persone che non fanno parte delle forze di lavoro; sono diversi dai disoccupati che cercano di rientrare nel mercato, poiché persone non cercano occupazione. Il fatto che molte siano donne può almeno fare ipotizzare che i motivi non siano la demotivazione o la scarsa spendibilità nel mondo del lavoro; è probabile che molte di esse siano invece impegnate in lavori di cura e assistenza, non remunerati ma essenziali alle famiglie e quindi alla società.
A dicembre, il numero di inattivi cresce (+0,3%, pari a +42mila unità) tra donne, 15-24enni e 35 49enni, mentre diminuisce tra gli uomini e le restanti classi di età. Il tasso di inattività sale al 36,1% (+0,1 punti).
Il tasso generale di occupazione dell’ultimo trimestre osservato resta comunque più elevato del precedente:
Nonostante il calo di dicembre, il livello dell’occupazione nel trimestre ottobre-dicembre 2020 è superiore dello 0,2% a quello del trimestre precedente (luglio-settembre 2020), con un aumento di 53mila unità.
Nel trimestre calano le persone in cerca di occupazione (-5,6%, pari a -137mila) e aumentano gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+0,1%, pari a +17mila unità).
La perdita di posti di lavoro femminili
Pur essendo i dati ancora provvisori, quelli definitivi saranno disponibili a inizio aprile, il quadro che si delinea è particolarmente fosco sul fronte femminile.
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A dicembre 2020 gli occupati sono diminuiti di 101.000 unità: 99.000 sono donne e appena 2.000 uomini. Il saldo annuale è prevedibilmente negativo e si assesta a meno 444mila unità, che significa l’1,9 % in meno, diviso non equamente tra donne e uomini (312.000 unità le une e 132mila gli altri).
Autonomi e precari
Un’altra categoria particolarmente colpita dalla crisi indotta dalla pandemia e dalla sua gestione è quella dei lavoratori autonomi e dai precari. I primi nel mesi di dicembre sono calati di 79mila unità mentre i dipendenti di 23mila, un poco esaltante ottanta-venti insomma tra indipendenti e dipendenti. Se la valutazione si sposta sul periodo annuale vediamo gli autonomi perdere 209000 unità e i dipendenti 393mila, solo tra quelli a termine. Si registra anche un aumento di 158mila lavoratori dipendenti tra “i posti fissi” grazie al blocco dei licenziamenti, che scadrà a marzo.
Occupati e disoccupati (12-2020) #istat #statistichevisual https://t.co/fFBgmMWXBk pic.twitter.com/oK8WTyX14Q
— Istat (@istat_it) February 1, 2021
“Le donne pagano il prezzo più salato”. E’ questa l’unica lettura possibile?
Anche se il numero delle cosiddette famiglie “unipersonali” è aumentato, quando una persona, donna o uomo, perde il lavoro, chi ne patisce è tutta la famiglia di cui è corresponsabile. Che le donne abbiano sofferto di più questo calo significa che o i ruoli che ricoprivano sono stati maggiormente colpiti dalla crisi dell’occupazione causata dal Covid o che le restrizioni imposte dal Covid, una su tutte la riduzione dell’istruzione a didattica a distanza con relativa segregazione in casa di migliaia di adolescenti, hanno richiesto a migliaia di mamme di restare a casa, vicino ai propri figli. Non tutto è migrato senza intoppi verso il fin troppo mitizzato smartworking, insomma.
Dietro lo smartworking e oltre la DAD
E anche quando è successo, per la mamma o il papà che lavorano da casa, di smart a volte restava solo il prefisso. Servono disciplina, controllo degli orari, flessibilità, spazi, presenza anche mentale e non solo fisica. Tutto questo significa una certa libertà, a potersi gestire, e una buona dose di stress. Se ne parlava tanto, qualche tempo fa, di “stress correlato”. Ora rischia di diventare pandemico e pangenerazionale.
Maternità e vera emancipazione femminile
Una seconda considerazione che dovremmo approfittare del momento per fare è che la vera emancipazione femminile significa anche libertà DI essere madri e non la sua grottesca, tragica e sistematica caricatura: quella che ci permette di essere libere DALL’essere madri. Non è giunto il momento di pensare veramente ad una equilibrata conciliazione tra il lavoro e la maternità, la cura, la presenza della madre (e certamente anche dei padri ma non siamo perfettamente intercambiabili)?
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Pare che nel governo Draghi la componente femminile sarà considerevole. Staremo a vedere: se così sarà in tante donne normali, impegnate nella famiglia e nel lavoro, ci auguriamo che le esigenze reali delle famiglie saranno messe seriamente su un qualche tavolo di lavoro e trattate come meritano: uno dei punti maggiormente strategici per parlare davvero di vita, ripresa, crescita, futuro. Se il tema saranno di nuovo gli asili nido aziendali e il mese in più di congedo di maternità perché si è libere di lavorare fino all’inizio del travaglio spero che sia prevista la consegna Prime per dei reggibraccia. A tantissime di noi cadranno precipitosamente.