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Mario Draghi: l’investimento nei giovani è essenziale per la crescita

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Paola Belletti - pubblicato il 03/02/21
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Ai nostri giovani dobbiamo decisioni e investimenti coraggiosi, a loro spetta tutta la nostra più acuta capacità di visione e di assunzione dei rischi. Dal discorso al Meeting di Rimini di Mario Draghi le linee essenziali per una vera strategia di uscita da questa crisi epocale.

Ai nostri giovani dobbiamo decisioni e investimenti coraggiosi, a loro spetta tutta la nostra più acuta capacità di visione e di assunzione dei rischi. Dal discorso al Meeting di Rimini di Mario Draghi le linee essenziali per una vera strategia di uscita da questa crisi epocale.

Ora che le regioni ad alto rischio sono solo due, o meglio una regione e una provincia autonoma, Sicilia e Bolzano, anche seconda e terza media e istituti superiori di quasi tutta Italia possono tornare alle lezioni in presenza. Bene, ma forse è anche ora di contare morti e feriti e di pensare a strategie che investano davvero sul futuro. Non esiste futuro più certo che i nostri figli.

Costi e benefici: è ora di fare i conti

Il tema scuola, nel contesto pandemico, è forse quello che più di tutti ha mostrato la necessità epocale di trovare un equilibrio sostenibile tra costi e benefici. Di sicuro la difesa della vita come bene primario da cui discendono tutti gli altri deve restare un faro, ma non può diventare il solo criterio, l’unico occhio di bue puntato notte e giorno su una scena vuota.

La scuola, almeno nei primi tempi durante la spiazzante ondata di marzo scorso, è stata sacrificata perché non adeguatamente gestibile nell’immediato. Inoltre, si è pensato, portare la formazione scolastica alla sua versione diminuita della DAD può essere un male accettabile perché non toglie il pane a nessuno, non chiude fabbriche alimentari, non blocca linee di distribuzione di beni primari.



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Emergenza e importanza

Vero, per carità. Ma il tempo non è solo un intervallo che ci permette eventualmente di cambiare idea; è un fattore chiave che modifica sensibilmente i connotati del fenomeno. Il digiuno intermittente, se può passare una metafora a metà tra la nutrizione e l’ascesi, funziona perché è limitato e circoscritto, perché segue un ritmo ed è letto in funzione del nutrirsi, nel suo complesso. Farne una regola in sé stesso significa decretare la morte per inedia del discepolo o del paziente.

Così se non peggio per la sospensione della vera attività educativa, che è in presenza (requisito minimo ma che non basta. Sappiamo quanto il nostro sistema scolastico patisse di vari acciacchi già prima) e di tutti gli annessi così vitali per uno sviluppo sano delle persone in crescita.

Un’altra conclusione che si può anticipare in apertura è che i costi di una prolungata sospensione della didattica in aula, per tutta la collettività, ci sono eccome e sono ancora più tragici delle perdite immediate di fatturati vari.

Il Sole 24 ore ha pubblicato l’11 gennaio un dettagliato articolo sull’impatto negativo della chiusura delle scuole pur mantenendo attiva la didattica sulla popolazione studentesca europea e nordamericana. E non è incoraggiante: le analisi non hanno questo compito, ce l’hanno le decisioni, le risorse da mettere in campo, la volontà dei singoli e delle istituzioni.



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Considerati sacrificabili?

L’ipotesi che gli esperti a vario titolo coinvolti sul tema educazione vogliono verificare è questa: la dad ha avuto un prezzo, qual è, che ricadute avrà, su chi e fino a quando?

Ad accendere una spia rossa, che purtroppo non sta trovando adeguate reazioni nel dibattito pubblico di questi giorni, sono i risultati di primi studi internazionali sulle competenze degli alunni costretti a lockdown più o meno prolungati e al ricorso alle lezioni on line a causa del Covid-19. Ce li anticipa la professoressa Anna Maria Ajello, presidente dell’Invalsi, e una vita, professionale e accademica, a convincere ministri e decisori politici dell’importanza di una seria valutazione del percorso scolastico dei ragazzi. (il Sole 24 ore)

La situazione in altri paesi

Olanda e Francia

Prima di accanirci sull’Italia consoliamoci, si fa per dire, con un mezzo gaudio che non ha mai convinto nessuno. Il mal comune inizia dall’Olanda: nel paese dei tulipani dove le chiusure totali sono durate 8 settimane

«sono stati condotti test massivi sulla scuola primaria. Confrontando i risultati con quelli di test analoghi condotti in anni precedenti (…) la differenza negli esiti indicava che il periodo della didattica a distanza corrispondeva a una vera e propria mancanza: (in) quel periodo, gli studenti avevano imparato poco o nulla (…) (Ibidem)

Scavalcando le Alpi, come fa indisturbato il virus, scopriamo che i cugini francesi, spesso indicati come esempio insieme ai tedeschi per la tenuta fino all’estremo della frequenza a scuola stanno contando i feriti:

già dalla scorsa estate, a differenza che da noi, (il governo francese ndr) ha messo in campo un sistema di attività compensative (per il ) recupero delle competenze carenti che sono state accertate (…). Lacune soprattutto nelle materie tecnico-scientifiche.

Usa

«Altri studi condotti negli Usa – ha aggiunto ancora Ajello – hanno confermato il trend, evidenziando come le perdite di apprendimento maggiore riguardino la matematica (…). (Ibidem)

La nostra

L’Italia già soffriva prima. Ora i suoi studenti hanno accumulato un ulteriore debito o gap che dir si voglia. Sono peggio preparati del 35-50% rispetto ai loro colleghi del pre-pandemia.

spiega Gavosto della Fondazione Agnelli, che già si era esposta con un preventivo dei costi formativi e professionali per i nostri giovani:

(…) la perdita di apprendimenti causata dalle 14 settimane di chiusura da marzo sarebbe probabilmente superiore al 30%. A cui andrebbe poi aggiunta quella degli ultimi mesi, in questo caso soprattutto alle superiori”.

E tutto questo, senza dimenticare i cronici divari di competenze Nord-Sud certificati dall’Invalsi: in alcuni territori del Mezzogiorno, Calabria in testa, queste differenze arrivano a rappresentare circa un anno scolare indietro per quegli studenti; detto altrimenti, significa che in base ai loro esiti è come se avessero frequentato un anno precedente.

Questa nostra generazione di figli non è perduta, per quanto azzardi tragico il titolo del Sole. Ed è una grave responsabilità continuare ad appesantirla della nostra sfiducia, delle nostre paure, oltre che soprattutto della inadeguatezza delle decisioni prese. Anch’esse imputabili alla mancanza di uno sguardo vivo sui nostri figli e della consapevolezza che se si ciancia di futuro, ripresa, nuovi corsi e cambiamenti e non si mettono al centro proprio loro si sta friggendo l’aria in tempura.

L’allarme delle aziende

Persino le imprese, le prime a rendersi conto sul campo di quanto sia critica la carenza di conoscenze e competenze anche relazionali nei ragazzi che terminati gli studi entrano nel mercato del lavoro, contemplano con terrore

la sottovalutazione di politica e governo dell’allarme sugli apprendimenti: «L’ampio ricorso alla Dad, oltre che sulle competenze, avrà effetti negativi sui comportamenti e l’emotività dei nostri giovani che stanno perdendo in relazioni e socialità – ha evidenziato Gianni Brugnoli, vice presidente di Confindustria per il capitale umano, tra i primi nei mesi scorsi a lanciare l’alert sulle ricadute negative sui ragazzi di una scuola così a lungo da remoto -. “Si tratta di un danno enorme anche per noi imprenditori visto che nel mondo del lavoro di oggi competenze trasversali e lavoro in team sono aspetti fondamentali. Mi auguro che si delinei rapidamente un piano, serio e strutturato, di recupero degli apprendimenti, utilizzando anche i mesi estivi. Già con una natalità ai minimi termini, se viene meno anche l’apporto di giovani preparati e attivi, il nostro Paese rischia una perdita di competitività nei prossimi anni, da cui sarà difficile riprendersi”.

Il danno oggettivo e quello percepito, entrambi reali

Ad aggravare il quadro c’è una dimensione esistenziale diffusa che vede nostri ragazzi, che non sono degli sprovveduti, convinti di avere perso un anno. Per tirarli su da lì non bastano vaghi incoraggiamenti: devono vedere adulti davvero impegnati col senso della vita e che per questo hanno a cuore la loro e quella di un popolo. Ce ne sono? Speriamo rispondano all’appello quanti possono incidere sul bene comune.


ALESSANDRO D'AVENIA;
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Il discorso di Mario Draghi, La persona al centro di una vera strategia di ripresa

In tempi meno sospetti un ben più lungimirante Mario Draghi, invitato al Meeting di Rimini in versione Covid, aveva già segnato la rotta e indicato anche dove fare rifornimento. Già allora quindi e prima che la DAD mostrasse a tutti il suo volto peggiore diceva che i giovani andavano posti in alto e al centro delle decisioni politiche e delle strategie economiche degne di questo nome.

Dove si deve investire quando c’è crisi? Proprio sulla scuola, l’educazione, la formazione. Certo che i sussidi sono necessari e vitali, ma non possono essere la sola leva mossa quando si tratta di manovrare il paese per il suo vero ritorno al futuro.

Sussidi e investimenti; emergenza e visione (titoli nostri)

In questo susseguirsi di crisi i sussidi che vengono ovunque distribuiti sono una prima forma di vicinanza della società a coloro che sono più colpiti, specialmente a coloro che hanno tante volte provato a reagire. I sussidi servono a sopravvivere, a ripartire. Ai giovani bisogna però dare di più: i sussidi finiranno e resterà la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e il loro reddito futuri.

(…)

Capitale umano

Alla distruzione del capitale fisico che caratterizzò l’evento bellico molti accostano oggi il timore di una distruzione del capitale umano di proporzioni senza precedenti dagli anni del conflitto mondiale.  (…)

Vi è però un settore, essenziale per la crescita e quindi per tutte le trasformazioni che ho appena elencato, dove la visione di lungo periodo deve sposarsi con l’azione immediata: l’istruzione e, più in generale, l’investimento nei giovani. (…)

Investire sulle persone che avranno in carico il mondo post pandemia

Questo è stato sempre vero ma la situazione presente rende imperativo e urgente un massiccio investimento di intelligenza e di risorse finanziarie in questo settore. La partecipazione alla società del futuro richiederà ai giovani di oggi ancor più grandi capacità di discernimento e di adattamento. Se guardiamo alle culture e alle nazioni che meglio hanno gestito l’incertezza e la necessità del cambiamento, hanno tutte assegnato all’educazione il ruolo fondamentale nel preparare i giovani a gestire il cambiamento e l’incertezza nei loro percorsi di vita, con saggezza e indipendenza di giudizio.



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Imperativo etico a cui non ci si può sottrarre

Ma c’è anche una ragione morale che deve spingerci a questa scelta e a farlo bene: il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani. È nostro dovere far sì che abbiano tutti gli strumenti per farlo pur vivendo in società migliori delle nostre. Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza.

Ecco il video integrale del discorso (dal minuto 24.53) tenuto da Mario Draghi per l’incontro inaugurale del Meeting del 2020