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Mi ha sposato sapendo che ho commesso un omicidio e uscirò nel 2045

PRISON, MAN, WIFE HANDS
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Annalisa Teggi - pubblicato il 27/10/20
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Un matrimonio che racconta cosa accade quando ci si aggrappa al frammento di bene che resta perfino nei cuori più duri o fatti a brandelli dal male.Dio scrive dritto sulle nostre righe storte, è una frase che si rischia di usare come il prezzemolo. Nella storia del matrimonio di Chelsea Moore e Chris Blackwell la parola «Dio» non compare mai, ma gli uomini dimostrano di essere fatti a Sua immagine e somiglianza proprio quando intuiscono che valga la pena scrivere una parola di bene, in quaderni di vita zeppi di male. Lo scorso settembre a Washington Chelsea ha sposato Chris che è in carcere per rapina e omicidio, a cui non è concessa nessuna libertà condizionata e che uscirà di prigione nel 2045.

E proprio dalla voce dei carcerati abbiamo ascoltato qualche mese fa le meditazioni che hanno accompagnato la Via Crucis a San Pietro. Uno di loro parlò di frantumi da ricomporre:

Come Pietro ho cercato e trovato mille scuse ai miei errori: il fatto strano è che un frammento di bene è sempre rimasto acceso dentro me – scrive. E conclude: – È vero che sono andato in mille pezzi, ma la cosa bella è che quei pezzi si possono ancora tutti ricomporre. Non è facile: è l’unica cosa, però, che qui dentro abbia ancora un significato. (da Vaticannews)

Collabora al progetto paterno di Dio chi, anche a tentoni, si aggrappa al frammento di bene che resta perfino nei cuori più duri o fatti a brandelli dal male.


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 Un Sì tra le sbarre

Il giorno in cui Chelsea Moore si è sposata, erano trascorsi sei mesi dall’ultima volta che aveva visto il fidanzato, Christopher Blackwell. E ora Chelsea, indossando la mascherina consegnatale, è in piedi nel punto assegnato, a quasi due metri dal suo futuro marito. La stanza è vuota eccetto che per poche sedie e tavoli e altro materiale d’archivio accatastato a caso e un fondale con un ponte dipinto tra boschi in autunno.

Il 18 settembre la signorina Moore e il signor Blackwell si sono sposati nella sala visitatori del carcere di Whastington, dove lui è detenuto. (da New York Post)

Questa storia è stata raccontata qualche giorno fa dal NY Post col titolo Grati per un matrimonio in prigione.

Prima del rito nuziale, la sposa ha firmato un documento in cui dichiara di non essere stata abusata e di essere perfettamente a conoscenza di tutti i trascorsi criminali dell’uomo che intende sposare. Chelsea ha firmato; ed è un insegnante di legge non una sprovveduta. Ha lavorato in carcere e quindi sa che mondo è, fuori da ogni retorica o pregiudizio.

Si può amare un assassino? Perché sposare un uomo che resterà in carcere per altri 25 anni?


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Il pozzo nero

Curioso, Chris di cognome fa Blackwell, cioé letteralmente: pozzo nero. Certo, il destino non è scritto nel nome, ma è vero che ciascuno di noi fa fatica a tirarsi fuori dal buco nero delle proprie colpe. Siamo pozzi neri tutti, in attesa di una mano che porti una carezza di misericordia.

Chris Blackwell è cresciuto in un quartiere di Washington pieno di violenza e gang, oggi la zona è stata riqualificata. Ma chissà che ne è delle anime che in quelle strade hanno conosciuto il sopruso e la dipendenza fin da piccoli? Un cuore non può essere «riqualificato». Chris ha messo piede in carcere per la prima volta a 12 anni, poi ha vissuto sempre un po’ dentro e un po’ fuori. Una rapina lo ha inchiodato a una pena di 8 anni, poi nel 2003 ha ucciso un ragazzo di 17 anni durante un furto domestico.

Oggi ha 38 anni e uscirà nel 2045, nello Stato di Washington non esiste la possibilità di libertà condizionata.

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Diceva bene Padre Brown, il detective di Chesterton, quando mise il ladro Flambeau di fronte all’evidenza che il male, una volta assaggiato, precipita l’anima in una voragine di azioni sempre più gravi.

Il carcere è il luogo dove Chris ha iniziato un percorso di recupero: si è messo a studiare, si è iscritto a Scienze Politiche, ora collabora con alcune testate per raccontare la vita in prigione. E da quello che scrive, s’intuisce che il suo sguardo sta guadagnando una prospettiva diversa dalla legge brutale e vendicativa della strada. Ho letto il suo affresco del carcere ai tempi del Covid 19 e mi ha colpito, eccone un passo:

Non sono rimasto sorpreso quando un impiegato che lavora nell’unità di fronte alla mia è risultato positivo al Covid-19. Dopo la notizia, è stato affisso un cartello vicino ai telefoni con le istruzioni per mettere un calzino – sì, quello che tutti voi indossate ai piedi – sulla cornetta prima di usarla, per prevenire la diffusione di germi. Non era specificato da dove potessimo tirar fuori quel calzino, ne possiamo tenere solo poche paia altrimenti riceviamo una nota di biasimo. (da BuzzFeedNews)

Proprio in un ritaglio di vita così duro, Chris ha incontrato Chelsea.

Un amore coi ceppi

Agli esatti antipodi del mondo di Chris, c’è quello di Chelsea Moore, cresciuta in una famiglia benestante californiana e oggi iscritta al dottorato in Scienze politiche all’Università di Washington. Ha frequentato anche una scuola di legge, dove è docente assistente. Il lavoro a cui si dedica con più passione è quello di seguire il reiserimento nel mondo del lavoro dei carcerati che hanno scontato la pena.

Nel 2017 è entrata nella prigione dove è detenuto Blackwell per insegnare, come volontaria, diritto civile ai carcerati e fu la madre di Chris a sottoporle il caso del figlio; insieme discussero della necessità di una riforma sulla libertà condizionata. L’amore tra i due è sbocciato pian piano e a livello epistolare, si sono scritti tantissime lettere cartacee che ciascuno ha accumulato e conservato.

Anche se nessuno dei due ricorda il momento esatto del loro innamoramento, entrambi concordano su ciò che lo ha reso chiaro. Blackwell afferma di essere stato sicuro che fosse la donna giusta dopo aver saputo che Chelsea, pur avendo letto tutti i diari dellla sua perdizione giovanile, voleva ancora stare con lui. (da New York Times)

A complicare il quadro di questa relazione già difficile, un ulteriore elemento: entrambi stavano separandosi dai rispettivi coniugi. A noi spesso piace citare le “nostre righe storte” come metafora carina, poi se ci imbattiamo nelle vere righe storte degli uomini cominciamo a pontificare, a scuotere la testa, a fare smorfie schifate.

La storia storta di Chris e Chelsea è piena di colpe, contraddizioni, inciampi. E in mezzo al putiferio, però, c’è anche l’intuizione che un uomo merita di essere guardato oltre le macchie che lo segnano. E questo fiato umano che sa di misericordia può innescare un vero cambiamento profondo. Il perdono e la contrizione non vivono mai in ritagli di vita al singolare.

Tagliare il traguardo di una promessa

So che la nostra vita insieme non sarà facile, ma amarti lo è – ha detto Chelsea attraverso la mascherina – E prometto di amarti senza badare alla convenienza e alle circostanze. Il matrimonio non è la prima montagna che dobbiamo spostare insieme e non sarà l’ultima. (Ibid)

Queste parole, pronunciate dalla sposa durante la cerimonia, non sono poetiche ma molto reali. Dal momento in cui hanno dichiarato pubblicamente il loro amore, Chelsea e Chris hanno fatto ogni passo attenendosi alla legge e alle norme carcerarie. Era perfino previsto che, essendo stata lei una volontaria, non potessero esserci contatti personali con un detenuto per 3 anni dalla fine del suo lavoro.

Quando decidono di sposarsi, nel gennaio 2020, non sanno che di lì a poco la pandemia stravolgerà i loro piani. Si attengono alle norme carcerarie anche in queste circostanze e il traguardo del sì, fino allo scorso agosto, sembrava impossibile. Nessun matrimonio consentito neppure in forma virtuale. Poi un pertugio si apre e il 18 settembre, in forma essenziale e senza nessun contatto, Chris e Chelsea sono stati dichiarati marito e moglie dal cappellano del carcere.


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Un dettaglio: la sposa è arrivata con 40 minuti di ritardo nella stanza del carcere dove si è celebrato il rito, ma non per colpa sua. E’ stata sottoposta a controlli minuziosi, perfino l’orlo del vestito e l’altezza dei tacchi sono stati misurati dalle guardie carcerarie. La scollatura è stata giudicata eccessiva, Chelsea ha dovuto indossare una giacca di pelle per coprirsi.

Abbiamo firmato i fogli, fatto qualche foto e poi tutto era già finito – ha detto il signor Blackwell – Ho pianto perché adesso non ho idea di quando ci rivedremo. (Ibid)

Un cuore vivo dietro la colpa

E dunque, che si può scrivere di dritto in una storia di rapine, assassini, separazioni, vita di carcere, pandemia e amore? In mezzo al tumulto dei nostri giorni si può solo implorare una giustizia che ci misuri con un metro che l’umano desidera, intravede, ma non ha. Lo sguardo con cui Chelsea ha accolto e detto sì a Chris è, anche inconsapevolmente, a immagine e somiglianza di quello ancora più radicale nell’amore di Dio. Concludo perciò da dove ho cominciato, da una delle meditazioni ascoltate nella Via Crucis della scorsa Pasqua:

“Una vera giustizia – afferma – è possibile solo attraverso la misericordia che non inchioda per sempre l’uomo in croce”. È necessario aiutarlo a rialzarsi, scoprendo quel bene che nonostante tutto, “non si spegne mai completamente nel suo cuore”. Ma lo si può fare solo imparando “a riconoscere la persona nascosta dietro la colpa commessa”, così si può “intravedere un orizzonte che può infondere speranza alle persone condannate”. (da Vatican News)

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