Il compito dello Spirito Santo è quello di farci incontrare Cristo, introdurci alla piena comunione con Lui è il sogno per il quale esiste sin dall’eternità
Durante il “Credo” ripetiamo “Credo nello Spirito Santo”: siamo sicuri di sapere cosa vuol dire questa frase? Sappiamo, prima di tutto, cosa è lo Spirito Santo? Don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova, risponde a queste domande nel nuovo libro della San Paolo “Ciò che vuoto non è”. E lo fa in modo “agile” e comprensibile.
La tattica della Trinità
Lo Spirito Santo, scrive don Marco, è la tattica della Trinità. Professando la sua fede, il popolo cristiano, unitamente al Padre e al Figlio, crede «nello Spirito Santo» che, come terza persona di questa famiglia, «procede dal Padre e dal Figlio». È il braccio operativo dei Tre.
Il grammofono e l’anima
Il compito dello Spirito Santo, prosegue l’autore di “Ciò che vuoto non è“, è quello di farci incontrare Cristo, introdurci alla piena comunione con Lui è il sogno per il quale esiste sin dall’eternità. È sintesi d’irrequietezza: non ha mai accettato, mai accetterà, di essere proprietà privata di qualcuno. Lui vuol rimanere l’intensità di Dio, come ha suggerito uno dei teologi che amo di più, Hans Urs von Balthasar: «Come l’ago del grammofono segue le vibrazioni più sottili e invisibili di un disco, così l’anima deve obbedire allo Spirito Santo». Grammofono è un’immagine delicata.
Un “estraneo” che ti conosce bene
Ecco perché un estraneo, come sembra a volte lo Spirito Santo, è capace di conoscerci meglio di chiunque altro. Don Marco fa l’esempio dell’estraneo che ti capisce meglio dell’amico: sorprende che, senza sapere niente di te, gli riesca di renderti felice. È la situazione imbarazzante dello Spirito Santo, il trentatré per cento della Trinità, il grande sconosciuto della fede cristiana: «Credo nello Spirito Santo» è l’articolo numero tre della nostra professione di fede.
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Che faccia ha?
Ma chi è, davvero, lo Spirito Santo? Ecco la risposta del giovane sacerdote, cappellano del carcere di Padova: «Quando qualcuno ce lo chiede, c’è il rischio di non riuscire a raccontarlo. Dio è “Padre”: un’immagine di papà, anche se sudicia e dannata, ogni uomo ce l’ha. Credo in Gesù, suo unico “Figlio”: essere figli, tutti noi, sappiamo cosa significa, come si sta, cosa comporta. Ma lo Spirito Santo, che faccia ha? Eppure è “Signore e dà la vita”: mica cosa da poco il dare la vita.
Dobbiamo andare a scovarlo!
È buffo che, proprio di chi ha l’arte della vita, si faccia fatica a mostrare il volto. È anche un po’ “colpa sua”, a dirla nella maniera degli uomini: «Nascondersi è caratteristico dello Spirito» ha scritto Leonardo Boff in un suo gradevole libro. Se, dunque, nascondersi è una delle sue passioni preferite, a noi spetta il compito, tragico e divino, di andare a scovarlo: se lo Spirito ama occultarsi, è perché l’uomo s’appresti a disoccultarlo.
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Lo Spirito Santo? Un perfetto sconosciuto
Lo diciamo di una persona che non abbiamo mai incontrato: “È un perfetto sconosciuto”. Dicendolo dello Spirito Santo, osserva Don Marco Pozza, facciamo la professione di fede più onesta in Lui: il suo problema, da perfetto sconosciuto, è che è davvero perfetto. D’altronde, anche senza conoscerlo, a tutti sarà capitato d’avvertire, in vita, un qualcosa di così esaltante da “toglierti il fiato dalla bocca”. Togliere il fiato è l’esatto mestiere dello Spirito: «E quando, sorprendentemente irrompe, ci rallegriamo e celebriamo – continua Boff – celebriamo e ci entusiasmiamo, ci entusiasmiamo e diventiamo ebbri della sua grazia».
La chiave per entrare nella casa della Trinità
Don Marco lo descrive, ancora, così: «Lo Spirito non è la carne, è la libertà che si è fatta carne: è irrequieto, inquieto, vivace e smanioso. Ecco perché nella storia non ha mai accettato d’essere proprietà privata di istituzioni politiche, religiose. È lui, però, la chiave per entrare nella casa della Trinità: è lo Spirito Santo a farci incontrare il Cristo. Non solo l’incontro a mo’ di autografo, ma anche l’entrare in confidenza intima con Lui».
«Chi lo cantò meglio di tutti fu Saulo/Paolo – conclude l’autore di “Ciò che vuoto non è” – che mise il brivido dentro il suo genio per affrontare l’identità dello Spirito. Lo rese plastico, elastico, agitato e tridimensionale. Riuscì a portare in alta definizione lo Spirito perché era stato prima un peccatore, ricostruito dallo Spirito di Dio: è legge cinematografica che per interpretare un grande santo occorra essere stato un grande peccatore».
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