La triste vicenda di Kelly Smith, 31enne inglese, sottolinea i rischi che i pazienti oncologici corrono per il ritardo nelle cure a motivo della pandemiaUno degli aspetti più sconcertanti connessi all’emergenza Covid-19 riguarda la minore capacità dei sistemi sanitari di assicurare gli stessi standard di assistenza precedenti lo scoppio della pandemia per tutti gli altri malati, quelli più gravi in particolare ed in primis i pazienti oncologici.
Chemioterapia rimandata di 3 mesi
Su Huffpost del 19 ottobre scorso è riportata la vicenda della giovane inglese Kelly Smith, paziente di 31 anni deceduta a Macclesfield, che da tre anni stava lottando contro un tumore all’intestino. Con l’arrivo dell’ondata di pazienti contagiati dal Coronavirus, secondo quanto riportato dal Daily Mail, i sanitari che la curavano le hanno comunicato che il suo ciclo di chemioterapia sarebbe stato differito di tre mesi.
Kelly muore a 31 anni
Fatto sta che Kelly è morta a giugno in seguito alla rapida progressione del tumore. Durante il periodo di forzata interruzione delle cure la giovane ed i suoi familiari avevano rivolto numerosi appelli alle autorità attraverso i social network, senza registrare però risultati. Il patrigno della ragazza ha dichiarato al giornalista del quotidiano inglese che lo intervistava:
La perdita di Kelly è stata devastante per la nostra famiglia. Tante persone hanno sofferto come noi, perdendo i propri cari. Non supereremo mai veramente il fatto di averla persa. (Ibidem)
La petizione
Ecco perché il 51enne Craig Russell insieme alla moglie Mandy, la madre di Kelly, hanno lanciato una petizione per chiedere al Governo di eliminare i ritardi nella terapia dei pazienti oncologici durante l’emergenza pandemica. Al momento è stata sottoscritta da oltre 300.000 concittadini. Iniziativa tanto più necessaria di fronte a questa seconda ondata che così duramente sta colpendo tutta l’Europa, ed in particolare il Regno Unito.
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Come sono andate le cose nel nostro Paese per i pazienti oncologici?
Come sono andate le cose nel nostro Paese? Per rispondere a questa domanda estremamente importante è stata effettuata un’indagine promossa dal Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (CIPOMO) pubblicata sull’European Journal of Cancer.
Il nostro obiettivo era valutare l’impatto dell’epidemia di SARS-COV-2 sull’attività clinica delle unità di oncologia medica nel nostro Paese – chiarisce Livio Bassi, presidente CIPOMO e direttore dell’Oncologia Medica all’Ospedale Civico di Palermo –.
Continua:
La garanzia della prosecuzione delle terapie anticancro è basilare anche in una situazione di emergenza per non compromettere l’efficacia dei trattamenti ed esporre i nostri malati al pericolo di morire per un tumore che avanza, che è molto più grande di un possibile contagio con il virus. Una garanzia che bisognava assicurare salvaguardando allo stesso tempo pazienti e medici dal rischio infettivo. (fondazioneveronesi.it)
Circa il 70% delle oncologie in Italia non ha avuto una riduzione di attività
A questa indagine hanno partecipato 122 primari oncologi ospedalieri, ed i risultati sono stati illustrati nei giorni scorsi nel webinar L’oncologia medica ospedaliera in Italia e l’emergenza Covid-19 per raccontare come la situazione è stata ed è ancora affrontata nei reparti deputati alla cura dei tumori.
Emerge chiaramente – illustra Francesco Grossi coordinatore dell’indagine e direttore dell’Unità di Oncologia Medica al Policlinico di Milano – che circa il 70% delle oncologie italiane non ha avuto, o ha avuto solo in minima parte, una riduzione di attività.
Continua:
Siamo riusciti a continuare a lavorare in sicurezza e, in gran parte, a pieno regime anche grazie al fatto che alcune procedure, come il cosiddetto “triage” dei sintomi e dei segni riconducibili a infezione da coronavirus, nonché la limitazione degli accessi agli accompagnatori e il rinvio di visite non urgenti o modalità di visita alternative (ad esempio telefonica) per i follow-up, sono state attuate dalla maggior parte dei centri italiani ancor prima di ricevere indicazioni precise dal Ministero della Salute o dalle Regioni. (Ibidem)
Per i pazienti oncologici è un momento di grande difficoltà
Alcune ricerche hanno esplorato il vissuto dei pazienti oncologici e onco-ematologici in questo periodo così difficile. I risultati indicano come i malati di tumore stiano attraversando un periodo di grandi difficoltà e timori: di dover rinunciare a controlli ed esami diagnostici, di correre un maggior rischio di contagio, di non usufruire di adeguate protezioni all’interno degli ambienti sanitari che sono costretti a frequentare.
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Il 20% ha saltato volontariamente visite già fissate
Le statistiche indicano nel 20% la quota di pazienti oncologici che negli ultimi tre mesi hanno saltato volontariamente appuntamenti e trattamenti già fissati.
Non bisogna avere paura – sottolinea Blasi – Negli ospedali ci sono percorsi appositi per limitare la possibile diffusione del virus. Infatti le statistiche indicano che sono pochi i pazienti con tumore che si sono infettati in ospedale e, in ogni caso, contrarre l’infezione da SARS-COV-2 non significa morire. Ritardare troppo le cure o gli esami oncologici, invece, fa salire il rischio che il tumore progredisca e il pericolo di morte è grande anche se ad avanzare è il cancro. (fondazioneveronesi.it)
La paura dei malati oncologici di contagiarsi
Da questi elementi si evidenzia quindi come alle difficoltà operative di assicurare il livello ottimale di prestazioni – in buona parte contenute e adeguatamente gestite nel nostro Paese – si sommi l’atteggiamento “fobico” – benché umanamente comprensibile – di un certo numero di malati che, per paura del contagio, non si sottopongono regolarmente ai controlli ed alle terapie essenziali per gestire al meglio le loro patologie.
Nel caso di Kelly Smith la paziente era fin troppo consapevole dei rischi che correva non riuscendo a sottoporsi alla chemioterapia, ma la “bomba” pandemica ha costretto il sistema sanitario inglese a scelte dolorose che hanno purtroppo penalizzato pazienti fragili come lei.