Il 18 ottobre è stata la giornata dedicata alle missioni, di cui santa Teresina di Lisieux è patrona, mentre ieri era l’anniversario della sua proclamazione a Dottore della Chiesa (19 ottobre del 1997). E’ veramente incredibile constatare quanto la nostra S. Teresina sia stata in grado di addentrarsi nella terra desolata del nostro secolo alienato da Dio. A partire dal caso di Pranzini, l’assassino convertito sul patibolo dalle sue preghiere, S. Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo non ha smesso di pregare per i fratelli più lontani e più impaludati nel peccato, secondo la commovente preghiera consegnataci nel Manoscritto C di Storia di un’anima:
La preghiera per i poveri peccatori
“Immaginiamo che io sia nata in un paese circondato da una fitta nebbia: mai ho contemplato l’aspetto ridente della natura, inondata, trasfigurata dal sole splendente; fin dalla mia infanzia, è vero, sento parlare di queste meraviglie, so che il paese in cui mi trovo non è la mia patria, che ce n’è un altro al quale devo aspirare incessantemente. Non è una storia inventata da un abitante del triste paese in cui mi trovo: è una realtà certa, perché il Re della patria dal sole splendente è venuto a vivere 33 anni nel paese delle tenebre. Ahimè, le tenebre non hanno affatto capito che questo Re Divino era la luce del mondo!… Ma, Signore, tua figlia l’ha capita la tua luce divina! Ti chiede perdono per i suoi fratelli. Ella accetta di mangiare per quanto tempo vorrai il pane del dolore e non vuole affatto alzarsi, prima del giorno che hai stabilito, da questa tavola piena di amarezza alla quale mangiano i poveri peccatori…Così ella può dire a nome suo, a nome dei suoi fratelli: Abbia pietà di noi Signore, perché siamo poveri peccatori!…Oh, Signore, rimandaci giustificati!… Che tutti coloro che non sono illuminati dalla luminosa fiaccola della Fede la vedano finalmente brillare…O Gesù, se è necessario che la tavola profanata da loro sia purificata da un’anima che ti ama, accetto di mangiarvi da sola il pane della prova fino a quando ti piaccia introdurmi nel tuo regno luminoso.”[1].
Jack Kerouac, Santa Teresa e la vera beat
Bene, fra questi poveri peccatori tra i quali la nostra santa ebbe l’umiltà di porsi, possiamo annoverare sicuramente Jean-Louis (Jack) Kerouac, il geniale e tormentato padre della beat generation, l’autore del libro di culto On the road (“Sulla strada”).
Anzitutto ricordiamo che Jack non fu mai quell’hippy tutto Buddha, droga & jazz che ci è stato consegnato dai suoi epigoni nonché da una certa lettura ideologica della beat generation. Nessuno meglio di lui può spiegarci, infatti, quale fosse il nocciolo mistico-religioso, e non politico-contestatario, del termine “beat”:
Fu da cattolico […] che un pomeriggio andai nella chiesa della mia infanzia (una delle tante), Santa Giovanna d’Arco a Lowell, Mass., e a un tratto, con le lacrime agli occhi, quando udii il sacro silenzio della chiesa[2] (ero solo lì dentro, erano le cinque del pomeriggio; fuori i cani abbaiavano, i bambini strillavano, cadevano le foglie, le candele brillavano debolmente solo per me), ebbi la visione di che cosa avevo voluto dire veramente con la parola “Beat”, la visione che la parola Beat significava beato[3].
E a distanza di poche pagine aggiunge:
E’ perché sono un beat che credo nella Beatitudine e che Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo amato Figlio per esso.
Poetica (in parte) buddista ma fede cattolica
Vero è, d’altro canto, che molto dell’immaginario e della terminologia kerouachiana è intriso di spiritualità buddista, ma è lo stesso autore a sconfessare l’appartenenza a questa confessione religiosa che per lui fu, al massimo, tecnica ascetica e ricerca intellettuale. Così rispondeva infatti al suo amico e poeta buddista Gary Snyder:
«Ah, bene. È fantastico, ma io in realtà credo nel dolce bambin Gesù», oppure nell’«Agnello di Dio»[4].
Ancora più esplicitamente, lo stesso Kerouac non lascerà più dubbi scrivendo a Parigi nel 1966:
Ma io non sono un buddista, sono un cattolico che rivisita la terra ancestrale che ha lottato per difendere il cattolicesimo contro difficoltà insormontabili, e che eppure alla fine ha vinto[5].
Clichè letterario versus vera devozione
Non è questa ora la sede per rintracciare le numerose radici del genio cattolico nella vulcanica e poliedrica opera di Kerouac; ci limiteremo pertanto a rilevare come i punti salienti di queste sotterranee radici cattoliche, nei suoi scritti, fioriscono palesi nei Vagabondi del Dharma[6], la sua opera più “religiosa”, che comincia con un cammeo a bruciapelo della nostra S. Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo. Siamo nell’incipit del romanzo, laddove il protagonista-autore parte per l’ennesima epopea “sulla strada” saltando su un vagone di un treno merci.
All’altezza di Camarillo, dove Charlie Parker, impazzito, era stato ricoverato e restituito alla normalità, un piccolo vecchio sparuto vagabondo salì nel mio pianale mentre ci stavamo dirigendo verso un binario morto per lasciar passare un altro treno che aveva la precedenza e apparve sorpreso di trovarmi lì dentro […] In quei giorni ero molto pio e seguivo le mie pratiche religiose in modo quasi perfetto. Da allora son diventato alquanto ipocrita nel biascicare preghiere e piuttosto stanco e cinico. Perché ormai sono diventato troppo vecchio e indifferente… Allora invece credevo veramente nella realtà della carità e bontà e umiltà e zelo e serena tranquillità e saggezza ed estasi, e avevo la convinzione d’essere un bhikku d’antico stampo in vesti moderne vagante per il mondo (di solito l’immenso arco triangolare da New York a Città di Messico e San Francisco) allo scopo di girare la ruota della Vera Essenza, ovverossia il Dharma, e ottenermi dei meriti quale futuro Budda (Risvegliatore) e quale futuro Eroe in Paradiso. Ancora non conoscevo Japhy Ryder, l’avrei incontrato di lì a una settimana, né avevo ancora sentito parlare dei “Vagabondi del Dharma” sebbene a quel tempo fossi io stesso un perfetto Vagabondo del Dharma e mi considerassi un devoto pellegrino. Il piccolo vagabondo del carro aperto avvalorò tutte le mie convinzioni rincuorandosi tutto col vino e chiacchierando e infine tirando fuori un foglietto di carta che conteneva una preghiera di Santa Teresa con la quale ella annunciava che dopo la sua morte sarebbe tornata sulla terra irrorandola di rose celesti, in eterno, a beneficio di tutte le creature viventi[7].
E’ facile notare come la dichiarazione d’essere un monaco buddista sia poco più di un cliché letterario (che come abbiamo visto lo stesso autore sconfesserà più tardi); e come di fronte a questa facile evasione in esotiche figure mistiche, il misterioso passeggero, concretamente reale, lo rinchiodi alla realtà non confutando le sue confuse idee religiose, ma semplicemente tirando fuori dal taschino il sorriso della Santa.
«Dove l’hai trovato questo?» chiesi. «Oh, l’ho ritagliato da un giornale in una sala di lettura di Los Angeles un paio d’anni fa. Me lo porto sempre dietro.» «E poi ti acquatti nei carri merci e te lo leggi?» «Quasi tutti i giorni.» Non si prese la briga di aggiungere gran che, non si dilungò sull’argomento di Santa Teresa, e fu piuttosto riservato sulle sue convinzioni religiose e poco o niente mi disse della sua vita privata.
Santa Teresa e un paio di millanta trilioni di sestilioni di rose fioccanti dal cielo
Questo semplice modo di fare lasciò il segno nell’animo del protagonista, se qualche chilometro dopo, sceso dal treno merci e steso sulla riva dell’oceano a fantasticare sul numero delle stelle in cielo, si sarebbe detto:
…non lo so proprio, ma dovrebbe essere un paio di millanta trilioni di sestilioni, un innumerevole numero di rose sfioccate e irreligiose[8] che la dolce Santa Teresa e quel simpatico vecchietto stanno in questo preciso istante spargendo sulla sua testa, insieme a dei gigli.
…per concludere poi così all’inizio del secondo capitolo:
Il piccolo vagabondo di Santa Teresa era il primo autentico vagabondo del Dharma che avessi mai incontrato.
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Quando sei lontano, hai comunque Teresa vicino
In questo episodio possiamo vedere come, anche nel periodo spiritualmente più equivoco di Kerouac, il suo ancoraggio al cristianesimo è sempre rimasto vivo: e ciò grazie al calore e alla presenza di una santa, che qui come in molti altri casi, ha saputo essere vicina per ricordare alle anime spaesate di questo mondo l’unico Amore, l’unico Amato, Gesù Cristo. Kerouac non lo avrebbe dimenticato mai.
Gesù, la tua è l’unica risposta per tutti gli esseri viventi! […]
Cristo è il primo uomo a essersi reso conto che l’amore è il principio della vita umana. Lui ora risplende sopra di noi più grande che mai e io sarei pronto a scommettere che nel prossimo secolo Cristo (e i pochi altri grandi uomini come lui) riempiranno le menti della gente come mai prima[9].
Inoltre, come ci ricorda una sua famosa biografia:
Quando la situazione si faceva difficile quello a cui lui si aggrappava veramente era il Piccolo Fiore di Gesù, Santa Teresa di Lisieux, e vari altri santi cattolici, e questo era quello in cui lui credeva veramente, quello da cui ricavava il massimo e quello a cui tornava sempre[10].
Dov’è c’è S. Teresa c’è anche Gesù
Ancora una volta, la piccola Santa è indicata come cruciale punto di contatto fra lui e Gesù. Sempre dai suoi biografi sappiamo che questa devozione doveva venirgli dal suo contesto familiare, una famiglia francofona canadese fermamente cattolica: fu la madre Gabrielle a insegnare al piccolo Jean Louis a rivolgersi alla Santina, rendendola addirittura presente nella casa materna con una statua. Questa devozione sarebbe stata corroborata anche nel luogo della sua formazione, presso le suore della scuola parrocchiale del suo paese, Centralville (Massachusetts); e lungi dall’essere rigettata, sarebbe rimasta viva nel suo cuore anche quando il giovane Kerouac, come tanti della sua generazione, avrebbe smesso di frequentare regolarmente la Chiesa per bivaccare a quella “mensa dei peccatori” che per lui assunse le dimensioni dell’intero continente americano, squadrata dai binari delle ferrovie e dalle interminabili highways dove i suoi misticheggianti autostop sarebbero entrati nella storia.
Sulla strada, ma per tornare sulla via
Ma per quanto lontano sarebbe potuto andare, per quanto moralmente sarebbe potuto cadere in basso, avrebbe sempre trovato al suo fianco la sua amica d’infanzia, che dalla cella della sua clausura aveva saputo andare molto più lontano di qualsiasi girovago beatnik[11], pur di riaccompagnarne i passi per il ritorno alla casa del Padre.
Non più Sulla strada, ma sulla Via (Gv 14,6).
O “la piccola via” di cui parlò la piccola Teresa nei suoi ultimi colloqui (Quaderno Giallo, 17 luglio):
Sabato. Alle 2 del mattino aveva sputato sangue.
Sento che sto per entrare nel riposo…Ma sento soprattutto che la mia missione sta per cominciare, la mia missione di fare amare il buon Dio come io lo amo, di dare la mia piccola via alle anime. Se il buon Dio esaudisce i miei desideri, il mio Cielo trascorrerà sulla terra sino alla fine del mondo. Sì, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra. Non è impossibile, perché nel seno stesso della visione beatifica gli Angeli vegliano su di noi. Non posso essere felice di godere, non posso riposarmi finché ci saranno anime da salvare… Ma quando l’Angelo avrà detto: «Il tempo è finito», allora mi riposerò, potrò godere, perché il numero degli eletti sarà completo, e tutti saranno entrati nella gioia e nel riposo. A questo pensiero il mio cuore esulta…
Solo ora comprendiamo quanto sia pregnante l’immagine della pioggia di rose “sfioccate e irreligiose” menzionata da Kerouac: rose che traggono il loro colore non da vezzosi libricini devozionali o da oleografie stantie di sacrestia[12], ma da questo sangue sputato, che è comunione al sangue versato dal Crocifisso maledetto (Gal 3,13), l’autentico vagabondo che non ebbe mai dove posare il capo (Mt 8,20; Lc 9,58) per venire a salvarci.
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[1] Cf. 5v°-6r°. Questo e gli altri testi che citeremo sono tratti da le Opere complete di S. Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, II edizione migliorata, Libreria Editrice Vaticana – OCD, 2009.
[2] L’autore conferma quest’esperienza, dandone maggiori dettagli, in una sua famosa intervista rilasciata a Al Aronowitz: “Then I went to Lowell, Massachusetts, in 1954. Got a room in Skid Row near the depot. Walked twenty miles around Lowell every day. Went to my old church where I got my first confirmation. Knelt, all alone, all alone in the church, in the great silence of the church. . . And I suddenly realized, beat means beatitude! Beatific! I was beatific in the church. See? It doesn’t apply to anybody else, I don’t think, the remembrance of your first vow.”
[3] In J. Kerouac, «Beati: le origini della Beat Generation», in Scrivere bop. Lezioni di scrittura creativa, Milano, Mondadori, 1996, p. 68.
[4] B. Gifford – L. Lee, Jack’s Book. Una biografia narrata di Jack Kerouac, Roma, Fandango, 2001, 225s.
[5] Satori in Paris and Pic. Two Novels, New York, Grove Press, 1985, p.69.
[6] The Dharma Bums, New York, Vanguard, 1958. Traduzione italiana che citeremo più in basso: I Vagabondi del Dharma, Milano, Mondadori 1999.
[7] Il riferimento più letterale di questa preghiera alle parole lasciateci dalla Santa è rintracciabile nel Quaderno Giallo, 9 giugno: “A suor Maria del Sacro Cuore che le diceva: “Che dolore che proveremo, quando ci lascerà!” Oh, no, vedrete, sarà come una pioggia di rose.” Mentre il significato profondo di questa “pioggia di rose” è svelato nel Manoscritto A, 45v°: “Una domenica, guardando una fotografia di Nostro Signore in Croce, fui colpita dal sangue che cadeva da una delle sue mani Divine: provai un dolore grande pensando che quel sangue cadeva a terra senza che nessuno si desse premura di raccoglierlo; e decisi di tenermi in spirito ai piedi della Croce per ricevere la rugiada Divina che ne sgorgava, comprendendo che avrei dovuto, in seguito, spargerla sulle anime… Anche il grido di Gesù sulla Croce mi riecheggiava continuamente nel cuore: «Ho sete!». Queste parole accendevano in me un ardore sconosciuto e vivissimo. Volevo dare da bere al mio Amato, e io stessa mi sentivo divorata dalla sete delle anime. Non erano ancora le anime dei sacerdoti che mi attiravano, ma quelle dei grandi peccatori, bruciavo dal desiderio di strapparli alle fiamme eterne…”
[8] Ritraduciamo così l’originale termine inventato dall’autore “infideled”, reso con un improbabile “eretizzate” dalla traduttrice.
[9] J. Kerouac, Un mondo battuto dal vento. I diari di Jack Kerouack: 1947-1954, Milano, Mondadori, 2006, pp. 71.197.
[10] B. Gifford – L. Lee, Jack’s Book. Una biografia narrata di Jack Kerouac, cit., p.225.
[11] Riportiamo le lapidarie parole consegnateci in un’intervista rilasciata poco prima della sua morte: “I’m not a beatnik. I’m a Catholic.” CF. J. Lelyveld, «Jack Kerouac, Novelist, Dead; Father of the Beat Generation», in The New York Times, 22 ottobre 1969.
[12] A questo proposito ci vengono in mente le parole di Giovanni Paolo I rivolte alla Santa in occasione del centenario della sua nascita (1973): “Cara piccola Teresa, avevo diciassette anni, quando lessi la vostra autobiografia. Fu per me un colpo di fulmine. “Storia di un fiorellino di maggio” l’avevate definita. A me parve la storia di una “spranga d’acciaio”.
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