Un altro imperdibile episodio de La mia jungla, di Giovanni Scifoni e famiglia. Senza cadere nel ginepraio dei protocolli di sicurezza, senza perdersi in una selva di mascherine chirurgiche o no, senza lasciarsi prendere da eccessi sul distanziamento, l’attore riesce a metterci davanti al tema con la solita cifra: leggerezza e essenzialità. (PS: Premio della critica al figlio più piccolo, senza dubbio!)
Parlo a nome di tutti i bambini italiani, noi non vogliamo mai più andare a scuola. Mai più!
Così urla sottovoce il piccolo di casa Scifoni alla Segreteria del Ministero della Pubblica Istruzione. Lo fa di nascosto, in bagno, prima che i grandi possano scoprirlo. E’ il più piccolo dei tre figli, tutti in età da scuola dell’obbligo. E’ quello che, forse, ha più paura dell’ignoto, più ansia da rientro, più sindrome da inizio nuovo anno scolastico.
Perché in realtà la paura di tornare a scuola, di ricominciare c’è sempre, ogni anno; insieme con la trepidazione e l’attesa, con la voglia di riprendere la nostra routine, o di incontrare persone nuove, di iniziare attività diverse per magari questa volta riuscire a far fiorire un nostro talento nascosto. (Sono un potenziale suonatore di xilofono ad altissimo livello il fatto è che nessuno ha ancora creduto in me).
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Giovanni ci accompagna con la sempre più rodata complicità di moglie e figli (eccoli dei talenti da esprimere: sono veramente bravissimi, tutti!) su un terreno che poteva essere sdrucciolevole. Su un terreno che è in salita, in realtà, lo sappiamo. Perché quest’anno non si tratta di tornare alle solite e note sudate carte, al massimo con l’emozione non indifferente di cambiare ordine di studi; che so: se passi dall’asilo alla primaria è un bel salto; idem dalle medie al liceo. Anche azzardare l’acquisto di un nuovo zaino ha la sua piccola dose di rischio e annessa adrenalina. Le cattedre vacanti, la supplente che magari questa volta sarà simpatica e in gamba e forse resta almeno un quadrimestre…speranze così, insomma. (Che poi non è vero! Ogni anno scolastico, ogni inizio ha un che di solenne e che merita persino di essere celebrato).
Ma quest’anno si tratta di cominciare un anno scolastico e lavorativo con l’incognita più grande e trasversale che ci abbia colpiti negli ultimi decenni. Vero è che noi genitori quarantenni o giù di lì siamo nati tutti poco dopo la seconda guerra mondiale, come ha osservato così en passant il figlio di una cara collega; ma resta il fatto che noi non l’abbiamo vissuta e nemmeno i nostri genitori, se non indirettamente, attraverso i propri di genitori.
Comunque, non ci è chiesto di entrare in un campo di detenzione. E allora dai, siamo qua, tutti ugualmente incerti e tremebondi all’idea che quest’anno sarà un bel cinema. Dopo la querelle infinita su banchi con o senza ruote, mascherine chirurgiche o non chirurgiche, mascherine sì, mascherine no; quarantena obbligatoria o fiduciaria; lunga o corta; livello di stabilità degli affetti (ma che scala è?!), requisiti per considerarsi congiunti o no, resta davanti a milioni di famiglie questo orizzonte in tutta la sua nebulosità. Ragazzi, in qualche modo si comincia; navighiamo a vista.
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Certo per noi genitori condannati ai ceppi dello smart working più selvaggio da mesi, poter tornare in possesso di una parvenza di divisione dei tempi e degli spazi non è una brutta prospettiva. Ma sappiamo anche che per tante famiglie ciò che spaventa non è l’idea di perdere le giornate fitte di appuntamenti rinunciabili come il corso di danza vietnamita o il workshop su “impara a scegliere la tua religione” (esilarante la figlia mezzana Amminstratore Delegato cui il padre solerte come un assistente personale ricorda gli appuntamenti in agenda); per tanti la paura è di non avere di che vivere, di che dare da mangiare ai propri figli. O, se non proprio quello, di dover drasticamente cambiare il proprio tenore di vita, costretti ad una più che austera razionalizzazione dei consumi.
Per cui ben venga la class action del piccolo che a nome di tutta la popolazione di recalcitranti remigini si fa portavoce di istanze primordiali: non male la prospettiva di vivere liberi nella foresta e uccidere i cinghiali selvatici a mani nude. Benissimo fa Giovanni a ricordarci che ai figli non servono quindici attività extrascolastiche per sentirsi vivi; che anche a noi adulti fa benissimo cogliere l’occasione per rivedere le nostre priorità. Ma il tema scuola e prima ancora la grande emergenza educativa sono lì che ci aspettano con tutto il loro carico di domande e crisi conclamate, da ben prima del Covid.
Ciò che salva però, ha ragione Giovanni, è affrontare ogni giorno come un nuovo inizio. Perché:
L’unica gioia al mondo è cominciare. E’ bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità, – si vorrebbe morire.