Da Giovanni della Croce a Simeone il Vecchio: quando l’odore di santità si sostituisce a puzze insopportabili
Mentre i santi, normalmente, mandano “buon odore”, la devozione popolare riporta che sono piuttosto i demoni a puzzare. Tuttavia, nella tradizione della Chiesa, vi sono alcune figure che sembrano sottrarsi a questa consuetudine. Lo spiega Anne Lecu nel suo libro “Mi hai unto con un profumo di gioia” (edizioni San Paolo).
Le mutilazioni di Origene
Così, alcuni Padri hanno suggerito un certo disgusto di sé per lottare contro le passioni, cosa che può spingersi anche fino a una cattiva comprensione dell’incarnazione stessa: le mutilazioni che Origene il Grande, padre della Chiesa, si inflisse, condussero alla sua scomunica. Alcuni santi poi hanno anche subito degli odori pestilenziali.
La fogna di Giovanni della Croce
È il caso di san Giovanni della Croce, che fu imprigionato dai suoi confratelli nel dicembre 1577 in quella che era stata una fogna! E fu proprio là, immerso in quel tanfo, che egli compose il suo più bel poema, noto come il Cantico spirituale.
Una puzza autoinflitta
E’ anche il caso del monaco siriaco Simeone stilita il Vecchio (Sis, 390 circa – Qal’at Sim’an, 2 settembre 459). La storia è sconcertante, perché questo insopportabile odore Simeone non lo subisce ma lo provoca, infliggendosi una disciplina per mezzo di una corda che penetra nella sua carne, al punto che la stessa carne finisce per ricoprirla e si infetta.
Agli inizi, si legge in “Mi hai unto con un profumo di gioia”, Simeone vive in comunità. In seguito alla penitenza che si infligge, i vermi cominciano a moltiplicarsi sul suo giaciglio e l’odore diffuso dal santo diviene completamente intollerabile per i suoi vicini. «Rimase, dunque, più di un anno con la corda arrotolata dentro il suo corpo a mangiargli la carne, in modo che la corda stessa era ricoperta delle carni imputridite e, a motivo del tanfo, non si poteva restare nei pressi»
Cacciato dal monastero
Viene dunque cacciato dal monastero su richiesta dei monaci che si lamentano con l’abate: «Esce dal suo corpo una puzza intollerabile, al punto che non gli si può star vicino e non possiamo più sopportarlo». Simeone stesso suggerisce al suo abate: «Sono un cane puzzolente. Lasciami, padre mio, ricevere la mia retribuzione, secondo i miei peccati».
Vive, dunque, da solo, in zone paludose; poi viene richiamato al monastero a motivo della sua fama di santità. Ma altrettanto presto torna alla vita eremitica. Visse sulla piattaforma di un pilastro, in ascesi, fino alla morte.
La reputazione del santo
Il santo che fa questa esperienza, accetta che la propria reputazione sia disprezzata; accetta di essere sospettato di colpa grave e persino di complicità con il demonio; rinuncia alla propria rispettabilità, affinché il buon profumo di Cristo sia sparso fin giù, nell’obbrobrio.
Va, insomma, fino al fondo della logica del mistero pasquale, che confessa la morte di Cristo e la sua sepoltura. Simeone, come il suo Signore, si fa solidale con coloro la cui carne è divorata dai vermi, in nome della resurrezione della carne, che trascende ogni peggior distruzione.
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