E’ un’aroma che evoca la guarigione fisica e spirituale. Ed ecco perché è legato a Giuseppe
Il profumo che identifica la presenza di San Giuseppe? L’unguento di Galaad, come spiega Anne Lecu nel suo libro “Mi hai unto con un profumo di gioia” (edizioni San Paolo).
Questo unguento è poco conosciuto in occidente. Eppure ha un’aroma molto marcata e al tempo di Gesù era utilizzato per profumare il corpo dei morti. Ecco perché è collegato a San Giuseppe.
La tunica insanguinata e gli aromi
Giuseppe viene venduto dai suoi fratelli, i quali fanno credere al loro padre che egli sia morto scannato. La sua tunica è stata insanguinata con il sangue di un capretto, che fa di fatto la funzione del capro espiatorio: i fratelli la portano al padre come prova della morte. Nel frattempo, Giuseppe viene condotto via da alcuni mercanti che commerciano in aromi.
Quando Giuseppe fu arrivato presso i suoi fratelli, essi lo spogliarono della sua tunica, quella tunica con le maniche lunghe che egli indossava, lo afferrarono e lo gettarono nella cisterna: era una cisterna vuota, senz’acqua. Poi sedettero per prendere cibo. Quand’ecco, alzando gli occhi, videro arrivare una carovana di Ismaeliti provenienti da Galaad (una regione dell’antica Palestina ndr), con i cammelli carichi di resina, balsamo [çori] e laudano, che andavano a portare in Egitto.
Allora Giuda disse ai fratelli: “Che guadagno c’è a uccidere il nostro fratello e a coprire il suo sangue? Su, vendiamolo agli Ismaeliti e la nostra mano non sia contro di lui, perché è nostro fratello e nostra carne”. I suoi fratelli gli diedero ascolto. Passarono alcuni mercanti madianiti; essi tirarono su ed estrassero Giuseppe dalla cisterna e per venti sicli d’argento vendettero Giuseppe agli Ismaeliti. Così Giuseppe fu condotto in Egitto (Gen 37,23-28).
La resina di abete balsamico
Giuseppe fa ormai parte delle mercanzie da scambiare, come un profumo in mezzo agli altri. Il biblista Jacques Teissier distingue il balsamo di Galaad, çori, dagli unguenti legati al culto e alla bellezza. Lo si ottiene a partire dalla resina di abete balsamico. Questa resina, di un giallo dorato, ha un odore soave e un sapore amaro e astringente. La denominazione di “balsamo di Galaad” viene sicuramente da Genesi 37,25.
L’unguento e il pane
Quando, in seguito, il vecchio Giacobbe invierà i suoi figli (tra cui Beniamino) in Egitto a incontrare Giuseppe, ormai divenuto intendente del regno (cosa che la sua famiglia ignora), per impetrare della povera farina al fine di sopravvivere alla carestia, manda con loro in dono i migliori prodotti del paese, fra cui proprio questo unguento, destinato al culto e alla cura dei morti, in cambio di un poco di pane per i vivi.
Un figlio che torna “vivo”
I figli di Giacobbe portano, dunque, aromi a Giuseppe, fratello perduto che neppure riconoscono. Dal canto suo, egli si farà riconoscere durante un pasto condiviso.
Qui c’è qualcosa che somiglia a una guarigione: Giacobbe invia delle spezie in dono a Giuseppe, senza sapere che si tratta di suo figlio. Queste sono le medesime spezie vendute dai mercanti che avevano acquistato Giuseppe come schiavo. E il balsamo destinato alla sepoltura dei morti restituisce a Giacobbe un figlio vivo! Mentre viene donato, esso guarisce.
Si deve, quindi, cambiare prospettiva: si tratta dell’unguento che Dio stesso – e Lui solo – può applicare per guarire il suo popolo. Un unguento che risana a prezzo del sangue versato. Un balsamo che restituisce la vita ai morti.
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