Il rapper: c’è del torbido. Il giovane sacerdote youtuber: stanno cambiando molte cose. E alla fine del dibattito social, Don Alberto invita il rapper in oratorio
Lo scorso 20 giugno, durante l’udienza ad alcune delegazioni della Lombardia, la regione italiana più colpita dal Covid-19, Papa Francesco ha voluto evidenziare lo «zelo pastorale e la sollecitudine creativa» dei tanti sacerdoti che, durante i mesi più difficili della pandemia, «hanno aiutato la gente a proseguire il cammino della fede e a non rimanere sola di fronte al dolore e alla paura».
Un esempio di creatività “digitale” è giunto sicuramente in quel periodo da un giovane sacerdote ambrosiano, don Alberto Ravagnani, che presta servizio pastorale presso l’oratorio di San Michele Arcangelo di Busto Arsizio, in provincia di Varese.
Boom Youtube
Nel mese di marzo, all’inizio della quarantena, come tanti altri preti, per restare vicino ai suoi ragazzi don Alberto ha utilizzato la rete.
Ha aperto una pagina su YouTube e ha iniziato a condividere video dove con linguaggio rapido e un montaggio vivace rispondeva a dubbi di fede relativi alla pandemia e più in generale alla vita cristiana.
L’iniziativa ha avuto, com’è noto, un grande riscontro, tanto che la sua pagina ha oggi più di 72mila iscritti e i suoi video raggiungono di media le 60mila visualizzazioni, mentre alcuni hanno superato quota 100mila.
I “segreti” degli altri preti
«Usare YouTube per me è stato come imparare a parlare una lingua nuova. Sono sbarcato in una terra straniera di cui più o meno sapevo qualcosina e ho fatto pratica sul campo, senza avere tanta esperienza, un po’ alla volta, tentando di apprendere qualche segreto dagli altri youtuber o da altri preti che avevano già pubblicato qualcosa sui social. Così ho trovato un po’ la mia strada, il mio stile e poi basta, sono partito«, ha spiegato con semplicità don Alberto ai microfoni di Radio Vaticana Italia (Vatican News, 8 luglio).
“Roses”
Don Alberto, nei giorni scorsi, non le ha mandate a dire a Fedez e lo fa nel modo più contemporaneo possibile, tramite delle stories su instagram, non una o due, ma decine e decine. Tema della discussione è il brano Roses, ultima fatica del rapper.
La pedofilia nella Chiesa
In particolare un passaggio della canzone che condanna la pedofilia nella chiesa. Il giovane parroco ha esortato il rapper a porre l’accento anche su quanto di buono viene fatto quotidianamente dai preti che lavorano nel silenzio per il bene della collettività.
Fedez, un po’ a sorpresa, ha risposto puntando il dito contro le omissioni del Vaticano, parlando di fatti «torbidi», e aprendo un dibattito interessante e mai sopra le righe (Il Fatto quotidiano, 7 luglio).
Il rapper: “Fantastiche pedine”
«Piacere di conoscerti, don Alberto. Trovo fighissimo poter creare un sano dibattito tramite stories. Speriamo diventi di moda – ha detto il rapper – Voi siete delle fantastiche pedine, il problema è che dietro di voi c’è uno Stato che vi rappresenta e che ha un enorme potere che un po’ cozza con la narrazione spirituale».
Il prete: “Incontrarci nelle nostre due realtà”
Un confronto dai toni molto pacati e costruttivi, per cui il sacerdote ringrazia il cantante: «Siamo riusciti a gettare un ponte di comunicazione fuori dagli schemi tra due mondi. Può sembrare che da un lato ci siano i giovani rappresentati da rapper e influencer e dall’altra la Chiesa intesa solo come il Vaticano, ma questa polarizzazione non esiste – continua don Alberto – Per questo io, prete d’oratorio, mi sono rivolto a Fedez non per attaccarlo, ma per invitarlo a un incontro tra le nostre due realtà».
“Vieni in oratorio”
Proprio in questi giorni il sacerdote bustese – e come lui tanti altri – si sta dando da fare in oratorio per garantire a bambini e ragazzi un servizio di accoglienza per l’insolita estate post Covid:
«Se Fedez volesse venire a trovarci per vedere quello che facciamo, sarebbe il benvenuto, ma l’importante non è che ci incontriamo io e lui. Ci possono essere diversità di punti di vista, ma il mio scopo è far dialogare i giovani che vengono in oratorio e quelli che vanno ai suoi concerti, anche perché una cosa non esclude l’altra – conclude don Alberto Ravagnani – Secondo me si può benissimo lavorare tutti insieme» (La Repubblica, 7 luglio).
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