Da sempre hanno mostrato contrarietà alla credibilità delle apparizioni mariane. In realtà la Madonna non c’entra…
Nel suo libro “La verità su Medjugorje“, Marco Corvaglia scriveva che «il vescovo di Mostar in carica all’epoca dell’inizio degli avvenimenti, mons. Pavao Žanić, definì Medjugorje un “grande imbroglio”. Dello stesso parere è ancora oggi il suo successore, mons. Ratko Perić».
Quanto Perić fosse prevenuto e ostile lo documenta anche l’insospettabile saggista Yves Chiron, autore fra l’altro del libro “Medjugorje démasqué” (Medjugorje smascherata).
La verità
In relazione all’atteggiamento dei due vescovi diocesani, Saverio Gaeta in “Medjugorje – La vera storia” (edizioni San Paolo) chiarisce il retroscena di questo loro atteggiamento, che affonda le radici in una storia che precede di molto la manifestazione della Regina della Pace e che, anche se risulta ormai del tutto marginale nel contesto delle quarantennali apparizioni di Medjugorje.
Il problema dei francescani
In estrema sintesi, si tratta del rapporto tra i francescani (presenti in diverse fraternità sul territorio bosniaco, tra cui la guida della parrocchia di San Giacomo a Medjugorje) e il clero locale.
I francescani giunsero in Bosnia nel 1339 e, nei quattro secoli in cui la dominazione islamica cercò di sradicare la fede cattolica (1463-1878), continuarono a svolgere il ministero pastorale, fingendo di essere parenti delle famiglie cattoliche che visitavano.
Solo nel 1881, dopo che il territorio bosniaco passò agli Asburgo, la Santa Sede istituì la gerarchia ordinaria. Il primo arcivescovo cattolico Josip Stadler (1843-1918), affermava: «I figli di san Francesco preservarono, con grandissimi patimenti, sacrifici e persecuzioni, la fede cattolica in Bosnia, vivendo e morendo per questa religione, finché, grazie ai loro sacrifici, non spuntarono i giorni più luminosi per il popolo cattolico».
Scrive il critico Donal Anthony Foley: «Per rendere giustizia ai francescani, si deve dire che essi avevano preservato la fede nella Bosnia-Erzegovina durante quattro secoli di persecuzione musulmana nei quali quella terra rimase separata dalle principali correnti del mondo cattolico, ed è perciò comprensibile che si sia sviluppato tra loro uno spirito di indipendenza».
La “rivolta” delle tre parrocchie
Nei decenni successivi, diversi decreti vaticani cercarono di regolamentare il passaggio di numerose parrocchie dai frati ai sacerdoti diocesani. Nel 1968 accadde però che in tre di esse – Crnač, Grude e Mostarski Gradac – i fedeli si rifiutarono di accettare il cambiamento: da quel momento si intensificò l’irritazione del vescovo Petar Čule, che attribuiva ai francescani una corresponsabilità in tale atteggiamento.
I due frati sospesi “a divinis”
Due giovani francescani, Ivan Prusina e Ivica Vego, furono particolarmente coinvolti in questa resistenza e continuarono a confessare e a celebrare la Messa in alcune cappelle all’interno del territorio della nuova parrocchia della cattedrale, cosicché, il 29 aprile 1981 (cioè due mesi prima dell’inizio delle apparizioni), vennero sospesi a divinis.
“Sperava in qualche promozione
Una ricostruzione non edulcorata, che riporta Gaeta nel libro, è quella di padre Ljudevit Rupčić: «L’iniziativa [della sospensione dei due frati] è partita dal vescovo, il quale si è servito di padre Nikola Radić (futuro vescovo ndr), che svolge qui il ruolo di definitore generale, e lo ha convinto a prendere questo provvedimento. Padre Radić, qualora fosse riuscito a risolvere il problema, sperava in qualche promozione».
(Conversazione di padre Ljudevit Rupčić, pro manuscripto, 14 settembre 1985, pp. 6-7.11).
Nessun legame con le apparizioni della Madonna
Dunque, si tratta di un problema che – come ha formalmente dichiarato anche la Commissione internazionale di inchiesta – «storicamente precede gli eventi di Medjugorje». È perciò scorretto continuare a porre questa vicenda, sentenzia Gaeta, che ha riguardato unicamente alcuni frati e alcune parrocchie dell’Erzegovina, nel contesto delle apparizioni della Regina della Pace.
Foley, ad esempio, sbaglia quando continua a sostenere che «i francescani proseguirono nella loro resistenza e furono puniti con diverse misure disciplinari. Quando ebbero inizio le visioni di Medjugorje essi si trovavano pertanto in una condizione di disobbedienza attiva tanto verso il vescovo del luogo quanto verso Roma, e questo non era evidentemente un buon segno per il futuro».
San Giacomo non c’entra nulla
L’autore di “Medjugorje – La vera storia” precisa che tra le parrocchie “ribelli” non c’è mai stata quella di San Giacomo, dove tutti i francescani formalmente incaricati del ministero pastorale hanno sempre goduto dell’esplicito mandato del vescovo. E non si riesce a comprendere, che sempre Foley invece dichiari che il coinvolgimento dei francescani a Medjugorje «ha portato alla formazione di una “Chiesa parallela” che si trova in una condizione di ribellione nei confronti del Vaticano e della gerarchia locale».
La speranza del vescovo diffidente
Comunque, al momento della manifestazione della Regina della Pace, la problematica gestione della diocesi risultava al centro delle preoccupazioni del vescovo Pavao Žanić (come detto, contestatore dell’autenticità delle apparizioni ndr) il quale, nella lettera circolare inviata il 16 dicembre 1982 a tutti i preti dell’Erzegovina, confidò un’incongrua speranza: «Quando ho saputo delle apparizioni a Medjugorje, ho pensato subito: se questa è la Madonna, allora lei è venuta per risolvere il caso erzegovinese, per riconciliare i due cleri, la gente…».
L’ingenuità dei veggenti
Qui da parte dei veggenti si è innestata purtroppo una delle ingenuità, per utilizzare un benevolo eufemismo, dei primi tempi. Fu in particolare Vicka, ricorda Gaeta nel suo libro, quella che si prese a cuore la questione e interrogò più volte la Vergine, al punto da farla perfino sbottare, il 16 aprile 1982, nel rimprovero: «Hai solo quei due per la testa».
In effetti, secondo il conteggio di monsignor Renè Laurentin, studioso del fenomeno di Medjugorje, «sorprendente è la polarizzazione che spinge a porre e riproporre continuamente la stessa domanda alla Gospa: 16 volte in 25 mesi».
Secondo Vicka, «la nostra Madre ha inviato un messaggio al caro vescovo dicendo che egli è stato un po’ precipitoso nella sua decisione e che bisogna ancora una volta riconsiderare e ascoltare tutte e due le parti»
Il chiarimento di Mirjana
Per una verifica, venne interpellata anche la veggente Mirjana: «Ci ha risposto che dopo aver parlato a lungo su questo argomento con Vicka, a cui la Madonna aveva rivolto quel messaggio per il vescovo, ha potuto appurare che questa della precipitazione è una interpretazione di Vicka, e non le parole della Madonna».
Secondo Mirjana, «la Madonna non ha detto che il vescovo ha agito precipitosamente, ma ha esortato tanto il vescovo quanto i due frati a ricercare – attraverso un dialogo sereno – una soluzione soddisfacente, anziché litigare pubblicamente».
La Madonna non è mai stata una giudice degli scontri tra clero e francescani a Medjugorje, né è apparsa per entrare nel merito di questa vicenda e tutelare i francescani a scapito del vescovo.
Nè la credibilità delle apparizioni, così complesse e articolate, può essere minata dalle parole di Vicka su questa vicenda.
“La Gospa li ha ripresi più volte”
Successivamente continuarono a esserci indubbie leggerezze da parte dei veggenti, ma qui come in altri casi può valere la complessiva riflessione di monsignor Laurentin:
«Queste risposte su un problema che non li riguardava appartengono ai primi mesi di Medjugorje; i veggenti erano appena usciti dall’infanzia. Facevano ingenuamente l’esperienza delle loro prime comunicazioni straordinarie e nello stesso tempo molto familiari con la Gospa. Trasmettevano alla Madonna ogni sorta di domande, senza vagliarle, e gliene facevano essi stessi come fa un bimbo che balbetta con sua madre. La Gospa li ha più volte ripresi per questo. Ha impiegato diversi mesi per far loro capire che non era un’impiegata allo sportello del cielo, incaricata di soddisfare qualsiasi curiosità, e che lo scopo delle apparizioni era ben diverso, poiché il messaggio si collocava a ben altro livello. L’episodio attesta quindi una transizione pedagogica che deve essere considerata in tutta la sua relatività. I veggenti non hanno più chiesto niente su questo problema dopo il gennaio 1984».
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