Nella Giornata delle comunicazioni sociali il Pontefice ci invita a «respirare la verità delle storie buone» per custodire nella memoria questo tempo drammatico: “L’umanità merita racconti che siano alla sua altezza, a quell’altezza vertiginosa e affascinante alla quale Gesù l’ha elevata”.È lunedì, comincia un’altra settimana di didattica a distanza e si parte con un compito tosto: fare un tema. Mio figlio fugge disperato, per lui scrivere è un supplizio indicibile. Anche io comincio questa nuova settimana a tu per tu con il mio impegno quotidiano che ruota tutto sullo scrivere. Tavolta anche io fuggirei dalla pagina bianca; è dura fare i conti con le parole, che ti chiedono di essere presente – possibilmente con una coscienza sveglia – di fronte alla realtà.
Leggi anche:
Volete capire meglio voi stessi e i vostri pensieri? Fate così: “raccontate”
Sono grata di essere parte di una redazione in cui il confronto sul nostro mestiere è una condivisione sostanziale di tutto, senza formalismi. Siamo tutti consapevoli di quali deliri umani avvelenino il mondo dell’informazione: scandali a tutti i costi, monologhi autocelebrativi di tronfi intellettuali, faziosità urticante anziché umile onestà. L’irrompere della pandemia ha dapprima dato una svegliata al mondo della carta stampata e sembrava si trattasse di nuovo rinascimento etico – che è qualcosa di più profondo del “prometto di non diffondere fake news”. Ora, a quanto vedo, siamo tornati a bazzicare nelle acque basse e torbide del sensazionalismo, dei battibecchi a distanza, dei casi umani immolati al dio dei click.
Fin da subito, cioé dai primi giorni in cui il contagio si è palesato con drammaticità in crescita esponeziale, ho nutrito una grande repulsione per chi scriveva nero-su-bianco giudizi già belli e confezionati sulla situazione, degni di un Dio Onnipotente più che di un uomo colpito nel vivo da un tragico e imponente colpo del destino. Dubito di chi tende a esprimersi in fretta, senza praticare il silenzio. Tra me e me ho ripetuto come una nenia la constatazione: non ce l’ho ancora, un alfabeto per raccontare questa piega della storia.
Ieri era la Giornata delle comunicazioni sociali, dedicata quest’anno al tema della narrazione, e il Papa ha dedicato a una riflessione al tema durante il Regina Coeli:
Possa questo evento incoraggiarci a raccontare e condividere storie costruttive, che ci aiutano a comprendere che siamo tutti parte di una storia più grande di noi e possiamo guardare con speranza al futuro, se ci prendiamo davvero cura come fratelli gli uni degli altri.
Mi ha toccata sul personale, l’ho sentito come il sussurro di un amico che invita a guardare in una direzione non presa in considerazione. Recuperando l’intero messaggio papale dedicato al tema della narrazione mi sono trovata di fronte a una proposta che, a ben vedere, è l’unica a cui attenersi per essere parte del mondo dell’informazione con lo specifico timbro vivo di una voce cattolica.
Giornali come tessuti
Testo e tessuto hanno la stessa etimologia. Molto spesso le parole si arrogano il diritto di mettere a nudo, di svelare – nel senso più scandalistico del termine. Richiamando il nesso etimologico per cui l’ambito della scrittura incontra quello della tessitura sul terreno comune dell’ «avere una trama», Papa Francesco propone l’invito di scrivere storie per coprire l’umano, come fa una mamma mettendo sciarpa e cappotto al figlio che esce sotto la neve. Là fuori fa freddo davvero. Mi spiego: senza la certezza di una trama essere parte del mondo rischia di portare al congelamento delle ossa e del cuore. Raccontare la realtà, allora, è qualcosa di più di un mero dovere di cronaca. L’attenzione e la fedeltà ai dati non esclude un orizzonte più profondo:
Una narrazione che sappia guardare il mondo e gli eventi con tenerezza; che racconti il nostro essere parte di un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri.
Quando scrivo sono testimone che l’umano è una trama viva di legami, cioè posso «coprire» le spalle altrui con uno scialle per scacciare i brividi che dà la tentazione di essere soli. Ricordo bene quanto in redazione abbiamo parlato e ritenuto necessario dire ai nostri lettori che «nessuno muore da solo», proprio nei giorni in cui il Covid-19 atterriva anche i più forti nella fede con il terrore di non poter essere a fianco dei parenti che lottavano in terapia intensiva. Non lo dico a scopo autocelebrativo, ma per mettere a verbale quanto sia fruttuoso fermarci a riflettere senza rincorrere l’idolo delle notizie in tempo reale.
Abbiamo bisogno di pazienza e discernimento per riscoprire storie che ci aiutino a non perdere il filo tra tante lacerazioni dell’oggi; storie che riportino alla luce la verità di quel che siamo, anche nell’eroicità ignorata del quotidiano.
Sì, Santità, il messaggio è arrivato chiaro e forte. Queste tre parole – tenerezza, pazienza e discernimento – sono la nostra palestra, proviamoci a non sfuggire dallo sforzo che chiedono per tenere a bada l’istintività e mille altre tentazioni luccicanti.
Creati, o meglio: ricamati
Il primo narratore è Dio. Con il nota bene che la sua Parola è creatrice. Devo ricordarmelo più spesso quando mi chiedono chi è il mio scrittore preferito. I grandi capolavori letterari sono un barlume sbiadito dell’energia creatrice di Dio che genera nominando le cose. Andando dritto al cuore del risvolto personale di questa potenza divina, il Pontefice cita il salmo 139:
«Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda […]. Non ti erano nascoste le mie ossa, quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra». Non siamo nati compiuti, ma abbiamo costantemente bisogno di essere “tessuti” e “ricamati”. La vita ci è stata donata come invito a continuare a tessere quella “meraviglia stupenda” che siamo.
La trama di Dio è un ricamo che ci tocca nell’intimo. Nelle profondità della terra è buio pesto e la materia si trova in uno stato incandescente; non si può ricamare laggiù. Mia nonna ricamava vicino alla finestra, in silenzio. Il poeta dei Salmi era dotato di uno spiccato senso paradossale per rendere visibile l’incredibile amore di un Padre e ce lo presenta come una ricamatrice in mezzo alla tempesta primordiale degli elementi. Anche qui, nella semplicità delle nostre giornate, c’è così tanta confusione da rendere impossibile azioni minute che richiedono una pazienza certosina; spesso vediamo come si calpesta l’umano con il bulldozer delle penne affilate. Allora mi chiedo: ci tocca ricamare in mezzo alla tempesta? Sì, ci tocca essere sovversivi fino a questo punto, per essere fedeli alla natura del racconto che Dio ha così premurosamente tessuto. Tra le righe delle storie che raccontiamo ci sono anime, la cui voce può arrivare ad altre anime, quelle che leggono. Più che la tentazione di avere spiegazioni, di offrire il giudizio più avveduto sul fatto del giorno, forse bisogna sentirsi rammendatrici. Attecchirà lo slogan «meno redattrici più rammendatrici»? Vista superficialmente la storia terrena di cui siamo ospiti partecipanti sembra tanto simile agli antiestetici collant smagliati.
Stare lì a ricucire i punti caduti, cioè impegnarsi a raccontare l’umano sapendo che il copyright del poema è di Dio, significa scommettere su una trama di legami di cui non possiamo conoscere tutto il potenziale. Quante volte l’accenno a una notizia ci ha permesso di incontrare persone che si sono sentite libere di condividere il loro dramma personale? C’è tanta responsabilità in questo e altrettanta gratitudine. Fatta tabula rasa di tutte le perplessità e lamentele (parlo per me!), ci si rimette a scrivere come il diligente alunno a cui la mestra a chiesto un bel tema. È Dio che fa l’appello e ci invita – così il Papa centra il bersaglio – a non abbassare lo sguardo riducendo la portata della presenza di ciascuno:
Ci dice pure che non esistono storie umane insignificanti o piccole. Dopo che Dio si è fatto storia, ogni storia umana è, in un certo senso, storia divina. Nella storia di ogni uomo il padre rivede la storia del suo Figlio sceso in terra. Ogni storia umana ha una dignità insopprimibile. Perciò l’umanità merita racconti che siano alla sua altezza, a quell’altezza vertiginosa e affascinante alla quale Gesù l’ha elevata.