La meta è importante, ma liberiamoci dell’impazienza di arrivare al traguardo: è lungo la strada che il nostro io cresce, cambia e incontra.
Durante questo tempo di quarantena ho letto Il mago di Oz (bisogna pur coltivare la nostra parte bambina!). Ci sono diversi aspetti interessanti in questa storia, ma ne vorrei mettere in luce uno in particolare, che tutti dovremmo ricordarci.
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Non so se conoscete la trama: Dorothy, la protagonista, è una bambina che, insieme alla sua casa, viene trasportata da un uragano in un posto sconosciuto. Quando la casa atterra, uccide, cadendogli sopra, una terribile strega, e per questo motivo le scarpette d’argento che indossava, diventano di Dorothy. Alla bambina viene detto che hanno poteri magici, ma non è dato sapere di quali poteri si tratti. Da questo momento in poi la protagonista cercherà il modo per tornare nel Kansas, dove si trova la sua famiglia. Il desiderio di tornare a casa le farà compiere un cammino lungo e avventuroso, durante il quale conosce tre strani personaggi che si aggregano al suo viaggio, ognuno rincorrendo il proprio desiderio: lo spaventapasseri desidera un cervello, l’uomo di latta desidera un cuore e il leone desidera il coraggio.
Tappa centrale è l’arrivo dal grande mago di Oz, da cui si aspettano che le loro richieste possano essere esaudite. Qui dovranno affrontare ulteriori prove, tra cui lo scoprire che Oz non è un vero mago, ma ciononostante gli basterà far credere ai tre personaggi di ricevere ciò che desiderano perché lo spaventapasseri creda davvero di essere intelligente, l’uomo di latta creda di aver un gran cuore, e il leone creda di aver ricevuto il coraggio. Ciò, naturalmente, li farà anche comportare di conseguenza, in base a quel meccanismo psicologico noto come profezia che si autoavvera. Del resto, durante la narrazione, ciascuno di questi personaggi aveva già dimostrato di possedere, almeno in parte, le qualità che avrebbe voluto, ma l’effetto placebo di ciò che consegna loro il mago, ha un effetto molto superiore.
Una volta ottenuto ciò, l’unica che rimane a bocca asciutta è Dorothy. I suoi tre amici non la abbandonano e decidono di continuare a “scortarla” finché non avrà avverato il suo desiderio, ma per farlo devono raggiungere una nuova meta lontana, il Regno del Sud, per incontrare Glinda, la strega buona.
Attraverso varie difficoltà riescono a giungere a destinazione e a farsi ricevere da Glinda, che risolve in men che non si dica il problema di Dorothy, tornare a casa.
Le dice infatti che se avesse saputo il potere magico delle scarpette d’argento che indossa, sarebbe potuta tornare nel Kansas fin dal primo giorno. Le scarpette d’argento infatti, hanno il potere di trasportare chi le indossa ovunque nel mondo in soli tre passi.
A questo punto però è chiaro ai tre amici di Dorothy, che se lei fosse tornata subito nel Kansas, la loro vita sarebbe rimasta tale e quale a prima, non avrebbero esaudito il loro più grande desiderio e non avrebbero avuto un’amica speciale come Dorothy.
Del resto, la bambina stessa riconosce che in qualche modo ne è valsa la pena, perché ha aiutato i tre amici, e inoltre, aggiungo io, Dorothy ha anche conosciuto meglio sé stessa, ha sperimentato di avere molte più capacità e risorse di quanto immaginava prima.
Dorothy ha raggiunto l’obiettivo di arrivare a casa, così come l’avrebbe raggiunto se avesse saputo fin da subito i poteri magici delle scarpette, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Sarebbe stata meno ricca di relazioni, non avrebbe arricchito la vita degli altri che ha incontrato, e non si sarebbe scoperta molto più forte e coraggiosa di quanto credeva.
Ecco allora l’insegnamento che tutti dovremmo tenere ben a mente: la meta è importante, ma lo è almeno altrettanto il cammino che facciamo per arrivarci.
Lo sa bene chi ha fatto almeno un cammino a piedi zaino in spalla: la destinazione è importante, ma è la strada che fai per arrivarci che ha davvero un impatto su di te e sulla tua vita.
Sarebbe bello che tutti potessimo metterci in quest’ottica nella vita di tutti i giorni.
Troppo spesso infatti abbiamo impazienza di raggiungere un obiettivo e viviamo proiettati nel futuro, senza accorgerci di quanto sia importante il percorso che stiamo facendo per raggiungerlo, già ricco di grandi e piccole conquiste. Troppo spesso fantastichiamo su come sarà la nostra vita quando avremo un altro lavoro, quando avremo cambiato casa, quando mille altre cose, e svalutiamo ciò che stiamo vivendo nel qui ed ora. Questo stesso tempo di quarantena lo possiamo aver subito, con insofferenza e giudicandolo “inutile”, tempo perso, aspettando con impazienza il momento in cui si potrà tornare alla vita di prima, ma possiamo anche averlo vissuto con curiosità, chiedendoci a cosa ci sta servendo, cosa ci sta insegnando, cosa possiamo imparare da questo momento, cosa ci sta rivelando di noi e della nostra vita.
Nel secondo caso, se ci siamo messi in ascolto, potremo accorgerci con facilità che non è stato affatto tempo perso, ma che qualche piccola nuova consapevolezza, nel bene e nel male, ce l’ha regalata.