Il caso dei 46 bambini «stoccati» in un hotel di Kiev durante il lockdown ha portato all’attenzione mondiale il caso della Biotexcom e, più in generale, del far west ucraino sull’utero in affitto: leggi poco chiare, sfruttamento di donne in condizioni di assoluta povertà e troppi embrioni «scartati».Una donna francese aveva già scoperchiato il vaso di Pandora dell’utero in affitto al tempo del Covid-19. Ora sappiamo che ci sono 46 bambini che trascorrono le prime settimana di vita senza mamma in un albergo di Kiev: sono i figli di gravidanze surrogate arrivate a termine in mezzo alla pandemia e relativo lockdown. I bambini sono nati e sono stati immediatamente separati dalle madri naturali (per evitare l’attaccamento, come da prassi secondo la procedura dell’utero in affitto) ma non è stato possibile consegnarli ai genitori committenti, perché le frontiere sono chiuse a causa del Covid-19. Infatti, i genitori committenti e paganti appartengono a nazioni in cui l’utero in affitto è una pratica vietata e perciò sono ricorsi ad aziende che svolgono questo servizio all’estero.
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La pandemia, come effetto collaterale, è stata una lente d’ingrandimento: i figli concepiti con la maternità surrogata sono in ogni caso orfani, ma questo dramma già previsto nel loro copione veniva – prima del virus – «quasi» azzerato dalla vicinanza tra la madre naturale e quella committente. Appena nato, il bambino veniva strappato alla mamma che per 9 mesi lo aveva tenuto in grembo e messo tra le braccia di quella che lo aveva comprato; questo passaggio veloce era più che altro un effetto ottico per mascherare e ingannare la presenza di uno strappo insanabile. Questi bambini «bloccati», a causa del lockdown, in luoghi distanti dalle madri naturali e dalle famiglie acquirenti sono la fotografia tragicamente zoomata di quello che è stato vero, lo è e lo sarà per tutti i figli dell’utero in affitto: sono persone che vivono il vuoto di un rapporto originario.
Quanta «merce» in attesa?
Sappiamo con certezza di questi 46 bambini perché la Biotexcom, clinica ucraina leader nel mercato della surrogata, ha pubblicato un video per rassicurare i genitori paganti in attesa del loro prodotto vivente (molto più propriamente il portavoce della Biotexcom si riferisce a loro come a clienti). In realtà, l’allarme è ancora più grave pensando che nella sola Ucraina ci sono altre decine di cliniche simili e situazioni identiche si stanno verificando in moltissime altre parti del mondo, non da ultimo negli Stati Uniti.
Il 14 marzo negli Usa è scattato il travel ban, il bando ai viaggi, e nessuna esenzione è stata prevista per i «genitori intenzionali» di bambini non ancora nati. Il sito Nbcnews.com nelle scorse settimane ha dato voce all’avvocata Melissa Brisman, titolare dell’agenzia di intermediazione Reproductive Possibilities, secondo la quale almeno 200 coppie sono in situazione di stallo. E con loro altrettanti (anzi di più, considerati i gemelli) bambini parcheggiati in un limbo e accuditi non si sa bene da chi. (Da Avvenire)
Resta aperta una finestra su domande che hanno risposte da brividi. Quanti sono davvero i bambini in queste condizioni? Centinaia o addirittura migliaia? Quanto è probabile che non siano tutti accuditi in un albergo?
Numeri esponenziali e geografia sempre più allargata della schiavitù
Si sospettava che il caso dei bambini «stoccati» nell’hotel di Kiev fosse solo la punta dell’iceberg di un dramma di proporzioni ben più vaste. E col passare dei mesi emergono altri tasselli nel quadro mondiale sulla surrogata ai tempi del Covid19. Il re è nudo, si suol dire, e proprio la pandemia sta spogliando la pratica della GPA di ogni retorica sugli affetti e sulla generosità. Quel che resta è un tragico traffico umano che patisce tutte le crude leggi commerciali.
Emerge che in Russia siano probabilmente migliaia i bambini nati da utero in affitto che non sono ancora stati «consegnati» ai genitori committenti in Cina (paese in cui è vietata la pratica della GPA). L’infertilità maschile e la scelta quasi obbligata di spostare a età sempre più avanzata la maternità sono le ragioni che spingono molte coppie cinesi a ricorrere all’estero alla surrogata. Con la chiusura delle frontiere il ricongiungimento con i figli commissionati in Russia è ad oggi ancora impossibile, e c’è il serio rischio che questi neonati «in stallo» finiscano nel traffico clandestino della vendita di organi. Per i genitori cinesi con più disponibilità economica la soluzione è mettere questi «figli» in costosissimi asili, finché non sia possibile ricongiungersi con loro. Trattati come merce, immaginiamo che finestra di vita stiano trascorrendo questi neonati sospesi a tempo indeterminato e privati del legame originario con madre e padre.
Dalla Russia a Cipro il dramma cambia volti, ma rimane disumano. Se il soggetto fossero i neonati si parlerebbe di premura e sacrifici; invece ci troviamo di fronte a scelte di comodità, dettate dalla furbizia e dunque è palese che il soggetto sia una merce. I colossi dell’utero in affitto dell’Ucraina – già definito il vero paradiso della surrogata – hanno trovato nell’isola di Cipro una succursale appetibile per aggirare un grosso ostacolo: la legge ucraina impedisce l’adozione dei nati da surrogata a coppie omosessuali. Per non perdere una fetta di clienti, ecco la soluzione: trasferire la madri surrogate in stato di gravidanza a Cipro, nella parte del paese sotto il potere turco («Destinazione ideale per ogni tipo di famiglia», fanno sapere le agenzie dalla surrogata). Il lockdown ha scombinato anche queste strtegie aziendali e si scopre in queste settimane che molte madri surrogate trasferite ha Cipro sono state costrette a un parto cesareo d’urgenza per farle rientrare alla svelta in Ucraina, prima della chiusura delle frontiere. In questa affrettata procedura una neonata è morta, si suppone per imperizia dei medici.
È verisimilmente tragico che altri scenari debbano ancora venire alla luce.
Sono solo affari
Perché tenere lontano questi bambini dai genitori che tanto li hanno desiderati? Questo è il leit motiv del video diffuso dalla Biotexcom, perciò è utile prepararsi a guardarlo con il paio d’occhiali giusti, per non lasciarsi confondere: un hotel arredato con lampadari e poltrone eleganti, colori pastello che avvolgono i bambini, il bianco dell’innocenza che domina, tate-infermiere sorridenti e tutte bellissime. No. Questi 46 bambini stipati all’ Hotel Venezia di Kiev non sono in una vacanza deluxe. Sicuramente sono tenuti sotto premurosa osservazione, ma non come bambini bensì come prodotto costoso che deve arrivare integro a un cliente soddisfatto. Chi ci offre questo reality show dalla quarantena dei neonati orfani e «sospesi» usa parole inerenti la cura affettiva, ma la vera lingua che parla è solo quella degli affari. L’interpretazione giusta ce la offre Eugenia Roccella:
Le intenzioni del centro di fecondazione artificiale ucraino sono evidenti: da un lato si cerca di rassicurare i clienti, mostrando i neonati e facendo vedere che sono in buona salute, dall’altro si lancia un appello disperato perché quei bimbi non restino a carico del centro, che non sa che farsene e non vuole spendere soldi per un affare che si sta rivelando rovinoso. Il mercato delle mamme e dei bimbi è in caduta libera, la pandemia ha bloccato non soltanto l’economia legale, ma anche quella illegale (ricordiamo che in Italia l’utero in affitto è vietato dalla legge) e i nuovi limiti ai traffici transnazionali hanno brutalmente interrotto i contatti tra richiesta e offerta. (da L’occidentale)
Che sia un caso che l’amministratrice dell’ Hotel Venezia, e voce narrante del video, sia una giovane donna? Nulla è un caso in queste immagini, figuriamoci se lo è lo sfondo materno che avvolge la scena. Ma l’unico messaggio sincero e diretto è quello che viene dalla voce maschile dell’avvocato alla fine:
C’è una lettera del Ministero degli Affari esteri dell’Ucraina attestante che l’autorizzazione [a recarsi in Ucraina per prendere i bambini – NdR] può essere rilasciata solo dopo la ricezione di una richiesta ufficiale chiamata “nota verbale”, rilasciata da pertinente agenzia diplomatica. Pertanto né la clinica né avvocati indipendenti possono richiedere questo tipo di autorizzazione. Ci sono paesi che sono già in contatto con il governo ucraino in relazione a questo problema: Irlanda, Svezia e Regno Unito. Chiediamo anche ad altri paesi di fare un’eccezione dalle loro politiche e lasciare che i loro cittadini si riuniscano coi loro figli.
Quindi: un’azienda che specula sulla compravendita di bambini e ora si trova in difficoltà a gestire i suoi affari, e teme una perdita economica, chiede di fare un’eccezione agli Stati che condannano l’utero in affitto? A quale scopo dovremmo chiudere un occhio sui diritti umani? Quello di riunire un gruppo familiare o quello di non far precipitare i bilanci? Quando mai un soggetto dedito ad attività illegali chiede ufficialmente al governo di uno Stato di fare eccezioni riguardo ad affari che sono contro la legge? Certo, qui il vero soggetto sono dei bambini. Ma non cadiamo nella trappola di chi li ha sempre trattati come merce e ora, solo perché il grosso affare può saltare, vuole usare il grimaldello affettivo.
A metà giugno è stato pubblicato un secondo video, sempre dalla Biotexcom, per documentare il ricongiungimento dei genitori committenti coi loro bambini commissionati. Dall’Argentina alla Cina, il copione è scritto con grande enfasi autocelebrativa ed emotiva. L’atmosfera ricorda la cerimoria degli Oscar: c’è l’arrivo delle coppie a Kiev immortalato da mille scatti fotografici e poi la vera e propria celebrazione dell’incontro coi neonati all’interno dell’hotel con tanto di inni nazionali, telecamere e flash, sorrisi, lacrime e ringraziamenti. Il premio tanto atteso viene consegnato.
Tutto è bene quel che finisce bene, si dice. Ma si dice anche che non è tutto oro quel che luccica: l’obiettivo inquadra quel che sceglie di far vedere e ad esempio non ci mostra che questo Hotel Venezia è circondato da alti muti e filo spinato. Cosa c’è dietro le quinte della spettacolo imbandito per attirare altri clienti?
E che ne è delle madri surrogate che sono completamente fuori dallo «spettacolo» inscenato a favore di telecamera?
Ucraina: i molti retroscena del più grande supermercato di bambini
Questa tragica circostanza venutasi a creare in Ucraina (e non solo) a causa della pandemia ci permette di tenere gli occhi bene aperti sulla frattura che chi specula sulle gravidanze surrogate vorrebbe rendere invisibile: è il trauma che toglie al neonato la mamma e lo sposta in una «stanza materna» (definita così dalla voce narrante la nursery dell’Hotel Venezia di Kiev). La vera stanza in cui sono stati deposti i neonati è quella assai poco materna degli affari. Per quanto terribile, dovremo conservare viva nella memoria questa vicenda, quando il dibattito sull’utero in affitto verrà di nuovo catapultato sul terreno nebbioso degli affetti e dei desideri di maternità.
In Ucraina il mercato della maternità surrogata sta crescendo a causa di una legislazione vaga o addirittura assente in merito. I vescovi cattolici hanno alzato la voce in merito, può essere una sintesi efficace quella di Mons. Radoslaw Zmitrowicz:
La maternità surrogata è legata a doppio filo con il dio di questo mondo che è il denaro. Gesù ha detto che non si può servire Dio e il denaro. Se qualcuno non ha sperimentato che Dio è suo Padre, è costretto a credere solo nel potere del denaro. La difficile situazione in Ucraina facilita lo sfruttamento delle donne. Loro vogliono vivere, hanno bisogno di soldi e dare il proprio corpo, alla fine, è allettante perché porta profitto. Anche coloro che organizzano la surrogata guadagnano molto e sono in grado di convincere politici e governi a rimanere passivi. Inoltre, vi è la dimensione delle moderne ideologie ultra-liberiste, i cui propagatori spendono anche ingenti risorse per demoralizzare l’uomo. (da L’Occidentale)
Ma anche voci più laiche non sono state in silenzio di fronte a questo sfruttamento. A metà giugno, quando il secondo video della Biotexcom è stato diffuso, il giornale inglese The Guardian ha pubblicato un articolo molto approfondito sui retroscena della maternità surrogata in Ucraina. Ne emerge il ritratto di un paese poverissimo in cui molte donne sono in effetti schiave di questa pratica, trovandosi nell’indigenza senza via d’uscita. A fronte di salari medi che si aggirano attorno ai 350 euro al mese, l’industria dell’utero in affitto offre fino a 15 mila euro per diventare madri surrogate. La pubblicità si trova ovunque, sui mezzi di trasporto e in TV: è un amo molto appetibile per attirare chi ogni giorno non sa come sfamare la propria famiglia.
Il miraggio di un grosso guadagno cela però molte insidie: ci sono madri surrogate come Liudmyla che attendono ancora il loro «salario»; ci sono donne come Tetiana Shulzhynska il cui corpo paga un prezzo molto caro dopo queste gravidanze. Quest’ultima è stata colpita da un cancro alla cervice, ma ha impiegato un anno per racimolare i soldi per curarsi e il diffondersi del tumore ha reso necessaria l’amputazione di una gamba. I portavoce delle aziende come la Biotexcom respingono al mittente queste accuse, ma si stanno creando libere associazioni di donne che mettono in guardia le proprie connazionali dalla tentazione di diventare madri surrogate.
Un altro soggetto esposto sono i neonati: risale al 2011 lo scandalo di una coppia che, facendo il test del DNA, ha scoperto che il figlio commissionato non era biologicamente loro. Molti altri si sono trovati nella stessa situazione e hanno rifiutato il figlio, lasciandolo o alle madri surrogate o agli orfanotrofi.
All’Hotel Venice, Albert Tochilovsky, proprietario della BioTexCom, non nega che sia stata fatta confusione con gli embrioni durante le procedure del 2011 che condussero a un’investigazione sul traffico di esseri umani. (da The Guardian).
Da allora aggiunge che sono migliorati, ma quale bravo manager non lo direbbe. E secondo quali criteri?
Abbiamo già posto la questione dei bambini commissionati che nascono con qualche malformazione o malattia e vengono anch’essi rifiutati. A quale destino vanno incontro questi esseri umani considerati al pari di uno scarto malriuscito di produzione?
E ben prima del neonato che nasce, altri «scarti» senza voce vengono soppressi senza remore. Quanti embrioni vengono sacrificati per far nascere un bambino? Tetiana – la donna colpita da tumore a cui è stata amputata una gamba – ricorda che
in due mesi risultò che aveva 4 embrioni vivi nel suo ventre. La famiglia biologica decise di tenerne solo uno e gli altri furono rimossi chirurgicamente» (Ibid).
Chi osserva con onestà questa storia si trova di fronte a un lungo elenco di vittime, dalle coppie ferite dall’infertilità a cui si propone una «cura» che riempie le tasche di chi fa affari speculando sul dolore, alle donne la cui indigenza le porta a diventare schiave di un mercato che le sfrutta, ai troppi embrioni sacrificati, ai figli nati in un ventre e strappati a quel legame. L’unico vincitore è il cinismo di un profitto che schiaccia l’umano.