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Messa e Comunione: tra i paletti di Sarah e i dispenser per le ostie

EUCHARIST
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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 06/05/20
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L’imminente ripresa delle liturgie comunitarie porta la Chiesa cattolica a riflettere sulle modalità più sicure per consentire ai fedeli di accedere ai sacramenti. Alcuni esperimenti in Germania hanno attratto lo stigma del Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, mentre torna in auge uno strumento inventato negli Stati Uniti una dozzina di anni fa.

Sono giunte opportune e moderatrici le parole che il cardinal Sarah ha usato rispondendo alle domande di Riccardo Cascioli all’inizio del mese mariano. Sulla questione delle Messe, che tanto ha surriscaldato alcuni animosi, il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha detto:

Ci sono due questioni che vanno assolutamente chiarite. Anzitutto, l’Eucarestia non è un diritto né un dovere: è un dono che riceviamo gratuitamente da Dio e che dobbiamo accogliere con venerazione e amore. Il Signore è una persona, nessuno accoglierebbe la persona che ama in un sacchetto o comunque in un modo indegno. La risposta alla privazione dell’Eucarestia non può essere la profanazione. Questa è davvero una questione di fede, se ci crediamo non possiamo trattarla in modo indegno.

[…]

Nessuno può impedire a un sacerdote di confessare e dare la comunione, nessuno può impedirlo. Il sacramento deve essere rispettato. Quindi anche se alle Messe non è possibile presenziare, i fedeli possono chiedere di essere confessati e di ricevere la Comunione.

Contro due aberrazioni

Torneremo subito sul riferimento al “sacchetto”, che si rifà a una domanda precedente; soffermiamoci ora sulle “due questioni”, che rimandano ad altrettanti atteggiamenti ugualmente eccessivi e aberranti che in questi mesi si sono prodotti in misura significativa: quello di chi ha preteso la Messa (perfino spingendosi a tacciare di pusillanimità e di poca fede i Sacri Pastori); quello di chi ha preteso che lo Stato commetta ingerenze in materia canonistica. L’azione curiale del cardinale guineano è sempre stata all’insegna della più stretta aderenza ai dispositivi canonici vigenti (benché le stesse testate che amano intervistarlo si siano guardate dal dare risalto ai suoi decreti relativi alla sospensione delle missæ cum populo…): una tale posizione di equidistanza dai messafondaj e dai cesaropapisti non può stupire.


SANT'EUSTORGIO
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La questione “dei sacchetti” tira invece in ballo il problema su come riprendere le celebrazioni comunitarie nel modo meno rischioso possibile, soprattutto per quanto concerne il momento più critico e al contempo più importante della sinassi eucaristica – la santa comunione. I semplici movimenti mano-bocca o mano-mano-bocca (entrambi perfettamente legittimi a norma del diritto) sono infatti passibili di trasmettere il virus e anche di fare del ministro della comunione un super-diffusore, virtualmente capace di accendere pericolosi focolai epidemici. Come ovviare?

L’inaccettabile trovata della comunione “take away

È stata segnalata la trovata di alcuni sacerdoti tedeschi, di mettere cioè le particole consacrate all’interno di bustine di carta “da portare via” per i fedeli che ne facciano richiesta. Senza entrare nel merito delle intenzioni (certamente buone) che hanno animato la proposta, si deve tuttavia riconoscere che essa presenta evidenti criticità – la più evidente delle quali (ma certo non l’unica) è la questione dei frammenti e della loro fatale dispersione. Sarah è stato giustamente categorico nel respingere tale “soluzione”:

No, no, no. Non è assolutamente possibile, Dio merita rispetto, non si può metterlo in un sacchetto. Non so chi abbia pensato questa assurdità, ma se è vero che la privazione dell’Eucarestia è certamente una sofferenza, non si può negoziare sul modo di comunicarsi. Ci si comunica in modo dignitoso, degno di Dio che viene a noi. Si deve trattare l’Eucarestia con fede, non possiamo trattarla come un oggetto banale, non siamo al supermercato. È totalmente folle.

“Dignità” di Dio e della sua opera (perché ciò è la liturgia): ecco il punto ribadito dal Prefetto e che deve essere tenuto presente, nella ricerca di una quadratura del cerchio, insieme con il perseguimento dell’asetticità. Queste dichiarazioni stanno perfettamente insieme con le altre: il Santissimo Sacramento non può essere imbustato perché non si può trattare la questione-eucaristia come se fosse l’ennesima erogazione di servizi (sacri) da evadere. Essa però viene percepita così appunto perché alcuni hanno (erroneamente) ritenuto di poter rivendicare un diritto alla Comunione, o anche un dovere. Il Cardinale toglie costoro dall’impaccio, perché l’Eucaristia è un dono e come tale va ricevuto, e quindi diffida (quelli e chiunque altro) dal ripiegare su un funzionalismo tutto ripiegato sul perseguimento della sola asetticità dell’atto – come se il Corpo di Cristo fosse un pacco da consegnare («possiamo ricevere la posta e non possiamo ricevere la Comunione!» – quanti ne abbiamo sentiti, di questi argomenti fallaci?).



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Il dispenser per le ostie made in USA

Sembra invece più ragionata e sostenibile la posizione di alcune comunità statunitensi, nelle quali viene rispolverato un utensile liturgico inventato dieci anni fa durante l’epidemia di Suina, il “communion wafer dispenser”. Fu Doug Henricksen, inventore dell’agreste New Richmond, a cogliere l’attimo alla fine del 2009, anche se lo stesso dichiarò di aver pensato al “concept” dell’invenzione già più di tre anni prima (parliamo quindi almeno del 2006) proprio andando a messa in periodo influenzale e col parroco evidentemente febbricitante:

Pensai che quello era un contesto ottimale per la trasmissione dei germi e pensai che fare la comunione in quel modo non era sicuro come tutti auspicavamo.

Nella prima fase del suo lavoro, l’inventore controllò se vi fossero studî sulla trasmissione di germi durante la liturgia, e restò sbigottito di trovare (già dieci anni fa) più di tremila titoli sull’argomento.

Giova ricordare che già dieci anni fa, negli Stati Uniti (il Paese maggiormente funestato dalla pandemia), una buona percentuale di diocesi e di congregazioni sospese la prassi della Comunione o addirittura lo stesso culto divino. L’invenzione era praticamente pronta e brevettata quando l’irruzione della Suina (che fece nel mondo meno di 20mila morti – col Covid-19 siamo a più di 250mila, e non ne siamo ancora fuori) rese l’estroso guizzo di un ingegnoso ipocondriaco la soluzione al problema di tutti.


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Naturalmente i Vescovi e la Curia Romana potranno prendere di nuovo in considerazione il dispenser di Henricksen – che pur introducendo un meccanismo artificiale non altera sostanzialmente il gesto della comunione – ed eventualmente suggerire migliorie o condizioni per l’uso. Certamente l’attuale crisi sanitaria è di gravità enormemente superiore a quella dello scorso decennio, e tanto più preziosi potrebbero giungere ritrovati che possano ben equilibrare la dignità dell’atto liturgico e la sicurezza sanitaria dei fedeli.

Obiezioni prevedibili

Due obiezioni vengono facilmente alla mente considerando l’incidenza del dispenser nella liturgia latina:

  1. come si potrebbe fare la comunione in bocca?
  2. che ne sarebbe del contatto con le “mani consacrate”, a cui sole sarebbe concesso di toccare le Sacre Specie?

Alla prima si risponde semplicemente: non si può. È vero, lo stesso Sarah ha ricordato che i fedeli hanno diritto di ricevere la comunione in bocca o in mano a loro scelta, ma questo è un principio generale tutelato da una norma, non una conditio sine qua non della stessa comunione. Lo prova il fatto che in alcuni casi (spesso motivati da questioni di salute – ad esempio la celiachia) si suggerisce di dare la comunione sotto la sola specie del vino, ove non siano disponibili ostie senza glutine: ebbene, nessuno potrebbe ragionevolmente pretendere di ricevere sulle mani la comunione alla specie del vino. Analogamente, mutatis mutandis, basta osservare il modo in cui funziona l’invenzione di Henricksen per capire che non si può pretendere di usarla per “sparare in bocca” al fedele la particola consacrata: sarebbe non solo incongruo col concept dell’oggetto, ma vanificherebbe l’accorgimento nell’ordine dell’asetticità e soprattutto produrrebbe un atto così sgraziato che difficilmente lo si potrebbe dire “degno di Dio”.



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La seconda obiezione ci offre invece l’occasione per dissipare le fantasie di alcuni (poco formati) nostalgici: l’idea per cui soltanto delle mani crismate potrebbero toccare le particole consacrate – argomento-principe contro la comunione sulle mani, ma anche contro i ministri straordinari dell’eucaristia eccetera… – non fa i conti col fatto che i diaconi sono sempre stati ministri della Comunione, nella Chiesa latina, e che il Pontificale Romanum (quello del vetus ordo, eh!) non prevede alcuna crismazione nei riti della loro ordinazione. Anzi, vi si precisa anche che la stessa chirothesia (l’imposizione delle mani) avviene con una mano sola, non con entrambe, «perché i diaconi vengono ordinati per il servizio, non per il sacerdozio» (testuale). Eppure distribuivano la comunione già prima della Riforma seguita al Vaticano II. «Ma forse solo in mancanza di sacerdoti…», obietterà qualche irriducibile. No: perfino nei pontificali papali a distribuire la comunione era il diacono (fu Paolo VI che riprese a distribuire personalmente la comunione ai fedeli).

Insomma,

ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.

Mt 13,52

Senza iconoclastia e senza pruriti di novità (cf. 2Tim 4,3), naturalmente (il Papa citò proprio il versetto matteano al vescovo pugliese che nel maggio 2013 gli chiese di abolire il Summorum Pontificum): si direbbe però che se uno rifiutasse pregiudizialmente di accostare sulla mensa del Signore «cose antiche e cose nuove» lo si dovrebbe sospettare o di non essere uno scriba o di non essere divenuto discepolo del Regno. O entrambe le cose.