Senza ali e areola, imberbi, uno di essi sembra addirittura la Madonna. Il capolavoro della Cappella Sistina fu criticato anche per questo motivo dal Concilio Tridentino. Proviamo a capirne di più
Michelangelo Buonarroti appartiene a un gruppo di artisti rinascimentali di estrazione sociale medio – alta. E’ un artista perennemente attanagliato da dubbi, oppresso, soprattutto nella maturità, da un’invincibile insoddisfazione per il proprio lavoro.
La sofferenza interiore, la sua profonda melanconia, gli è data dalla consapevolezza della distanza inconciliabile tra la storia dell’umanità, che appare maestosa anche nel peccato, e l’imperscrutabile disegno divino.
La scelta di Papa Giulio II
La Cappella Sistina, nei palazzi vaticani, ospita il capolavoro della pittura di Michelangelo. Quando Papa Giulio II decide di rinnovare la decorazione della cappella (la grandiosa volta, circa 800 metri quadrati, era in precedenza semplicemente tinteggiata di blu con stelle dorate) affida l’incarico a Michelangelo, che dà inizio al suo monumentale lavoro il 10 maggio del 1508.
Abbandonando gli schemi decorativi della tradizione a lui precedente, il pittore realizza una composizione architettonica che abbraccia l’intera volta e che si fonde con la narrazione pittorica delle storie del vecchio testamento.
Il ciclo iconografico inizia dal fondo della cappella e termina sulla porta d’entrata. L’ordine di esecuzione degli affreschi è, quindi, inverso a quello dello sviluppo cronologico delle storie.
La distruzione di parte dell’opera
Profondamente provato dalla fatica della sua titanica impresa, Michelangelo la porta a termine alla vigilia della festa di Ognissanti, il 31 ottobre del 1512. Il papa benedice ufficialmente l’opera alla messa celebrata in onore della Vergine Assunta, cui la cappella è dedicata.
Gli affreschi della volta, che costarono al pittore molti anni di studi e di ricerche iconografiche, ebbero certamente una complessa preparazione. Ma la gran mole dei disegni preparatori del ciclo venne distrutta in seguito dall’artista stesso, che odiava mostrare la genesi della sua opera.
Il Giudizio Universale
Questo spiega la rarità di tali testimonianze grafiche, che non arrivano alla dozzina. Un quarto di secolo dopo la commissione della volta, nel 1534 Michelangelo viene incaricato dal papa Clemente VII de’ Medici, poco prima della morte, della decorazione della parete di fondo della Cappella Sistina.
Il nuovo papa, Paolo III Farnese, conferma subito la commissione. Murate le due finestre della parete e abbattuto l’affresco con l’Assunzione del Perugino dietro l’altare, Michelangelo inizia il Giudizio Universale l’8 novembre 1535.
Dalla Risurrezione alla caduta dei dannati
Nel pieno degli anni della Riforma e della vasta diffusione del protestantesimo, la Chiesa romana affida al genio pittorico di Michelangelo il compito di redimere le anime dei fedeli attraverso quella che sarà l’opera più importante e rivoluzionaria di tutti gli affreschi della Cappella Sistina.
Una folla di personaggi ignudi ruota attorno alla figura centrale del Cristo, che con l’ampio gesto delle braccia esprime dinamismo e potenza. La Vergine, in segno di compassione, volge il viso verso i resuscitati in attesa di giudizio.
Sulla parte sinistra dell’affresco il movimento ascensionale dei corpi illustra la Risurrezione; sulla destra è rappresentata la caduta dei dannati, che vengono trasportati da una barca guidata da Caronte verso l’inferno, ispirata dalla Divina Commedia.
L’animo di Michelangelo
Nelle due lunette in alto gli angeli mostrano i simboli della passione di cristo; la croce, la corona di spine e la lancia con la spugna imbevuta di aceto.
Al centro, verso il basso, un altro gruppo di angeli suona le trombe per destare i morti. Nella severa ideazione del Giudizio Universale si riflette lo stato d’animo dell’autore, sempre più angosciato, nel periodo di composizione del ciclo di affreschi, per la salvezza della sua anima.
Dopo il declino della fiducia umanistica nella libertà dell’uomo, dopo il sacco di Roma e il crollo dell’immunità della città santa, dopo la scissione della Chiesa a opera dei protestanti, Michelangelo esprime nella parete della Cappella Sistina la sua profonda crisi religiosa e morale.
Gli spiriti celesti
L’umanità eroica e vincente, superba nel suo peccato, viene giudicata e condannata per le sue passioni terrene. Il denso aggruppamento dei corpi delle quattrocento figure si sviluppa su un cielo piatto con un drammatico rotatorio delle masse.
A differenza delle decorazione della volta, sostenuta dalla pittura di elementi architettonici, nel Giudizio Universale la composizione è strutturata solo mediante i gruppi dei personaggi.
Gli angeli apteri, senza ali e senza areola, per l’importanza dell’opera, per la sua localizzazione e per la committenza, raggiungono l’acme della loro rappresentazione nella Cappella Sistina capolavoro di Michelangelo.
La lunetta di sinistra
All’apice della parete sulla quale l’artista affresca il Giudizio universale (1535-1541, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani, Cappella Sistina) troviamo, nelle due lunette superiori, due gruppi di angeli senza ali recanti i simboli della Passione di Cristo.
In particolare, nella lunetta di sinistra, un gruppo di angeli con movimenti rotatori, articolati e ampi sorregge in volo la croce seguito da una nutrita schiera di creature celesti che, in tal modo, sottolineano la profondità e la prospettiva e, insieme, risultano un complesso e ardito studio di intrecci di anatomie e di drappeggi in volo. Ogni angelo assume una posizione diversa intorno alla croce, mentre, poco lontano, un altro gruppo angelico, attraverso uno scambio di sguardi, si lega al primo e si fa portatore della corona di spine.
Gli angeli apteri
A ben vedere non solo il Giudizio universale, ma tutta la volta della Cappella Sistina pullula di angeli apteri: nella Cacciata dal Paradiso l’arcangelo in fluttuanti vesti rosse allontana, severo e impassibile con spada sguainata, i progenitori dall’Eden, mentre il suo volto e la sua posizione fa da pendant a Lucifero che, nel Peccato originale, con le stesse fattezze del viso, ma con busto di donna terminante in coda di serpente (molto probabilmente la Lilith degli apocrifi), dona i frutti proibiti, nella fattispecie fichi, ad Adamo ed Eva.
E ancora, nella Creazione di Adamo, i dodici angeli che accompagnano Dio sono trasportati, come da un turbine, come da un vento divino al quale si abbandonano, col quale sembrano essere in sinergia totale.
L’angelo-Maria
Tra questi dodici angeli apteri, diversamente interpretati quali i mesi, le tribù d’Israele ed altro, se ne scorge uno di straordinaria bellezza che ha il privilegio di sorreggere Dio in un tenero “abbraccio”. Si è, quindi, ipotizzato che questo angelo prediletto possa essere Maria, scelta dall’inizio dei tempi e preservata dal peccato, in questo caso il bambino che le si attacca alle gambe sarebbe il piccolo Gesù, toccato a sua volta da Dio. Se ne deduce, quindi, che amorevolmente e nel medesimo istante, il Creatore sfiorerebbe, con lo stesso gesto, i suoi due figli: Adamo e Gesù e con il tocco delle dita offrirebbe al primo la vita, nonché già il perdono e la redenzione incarnata nel Bambino.
L’angelo-Maria sorregge Dio “fisicamente” come era accaduto nella Pietà vaticana, nel Tondo Doni, ipotizzerei, a tale proposito, una forte valenza del messaggio e del dogma mariano ancor più che cristologico.
Le critiche del Concilio, la “risposta” dell’artista
Il Concilio tridentino criticò aspramente molte delle novità iconografiche apportate da Michelangelo nella realizzazione della Cappella Sistina che, abbandonando la costruzione prospettica del Quattrocento, inseriva in un cielo lapislazzuli senza riferimenti spazio-temporali, beati e santi nudi e privi di aureole, Cristo imberbe, alternava sibille a profeti e moltiplicava gli angeli apteri.
Ma per Michelangelo fondamentale fu sempre l’invenzione, considerata l’elemento trascendentale dell’arte, contrapposto alla manualità insita nella scultura e nella pittura; l’affermazione di non seguire forme e modelli preesistenti, ma comprendere e applicare l’immaginazione, la potenza della creazione “nuova”, agli occhi dell’artista nobilitava e sublimava qualunque forma d’arte.
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