La risposta di Sara Magister al Festival biblico di Vicenza
Perchè l'albero del Bene e del Male raffigurato sulla volta della Cappella Sistina è un fico e non un melo? Nasce da questa domanda e da altre sottolineature a proposito delle immagini della cappella più famosa del mondo il libro “I segreti della Sistina. Il messaggio proibito di Michelangelo”, scritto a due mani dall’esperto di Talmud, Blech Benjamin, e dal ricercatore di storia dell’arte Roy Doliner (in Italia è stato pubblicato da Bur nel 2012). C’è davvero un messaggio segreto del grande artista del Rinascimento negli affreschi della Cappella Sistina, il luogo in cui si svolge il conclave per eleggere i pontefici della Chiesa cattolica e dove arrivano ogni anno milioni di visitatori per ammirare la sconcertante potenza pittorica del Giudizio universale? Aleteia lo ha chiesto alla storica dell’arte Sara Magister che ne parlerà nello spazio “Linfa dell’Ulivo”, un focus di approfondimento promosso dall’Ufficio Pellegrinaggi della Diocesi di Vicenza propone, all’interno della XI edizione del Festival Biblico sul tema “Custodire il Creato, coltivare l’umano” in corso nella città veneta.
Qual è la tesi degli autori del libro?
Magister: Doliner e Blech sostengono che Michelangelo abbia nascosto dei messaggi segreti filo-ebraici nella volta della Cappella Sistina per contrapporsi a quella che era, secondo gli autori del libro, la natura intollerante, oscurantista, secolarizzata e corrotta della Chiesa cattolica dell’epoca. Analizzando il volume e confrontandolo con gli studi più autorevoli sulla Cappella Sistina mi sono resa conto che questa tesi non ha alcuna base scientifica. D’altra parte, se negli affreschi ci fossero dei riferimenti alla Cabala e alla cultura ermeutica ebraica – fino ad oggi non esistono degli studi scientifici in merito – non sarebbe sorprendente: contrariamente alla visione stereotipata accreditata in alcuni ambienti culturali, la Chiesa del Rinascimento era più che propensa ad assimilare all’interno di quella che era la cultura religiosa dell’epoca altre culture, quella classica in primo luogo, ma anche quella ebraica. Proprio allora iniziava lo studio dell’ebraico per la lettura della Bibbia in lingua originale e quello della Cabala. Piuttosto l’inserimento di riferimenti di questo tipo – sempre se fosse dimostrato – sarebbe stato autorizzato dalla Chiesa stessa a dimostrazione dell’esistenza della sola Verità professata dai cattolici. Gli umanisti e i teologi dell’epoca che studiavano le culture diverse dalla cattolica erano convinti che tali culture potessero supportare la verità cristiana.
Quali sono gli elementi che segnalano il dialogo con le altre culture?
Magister: Intanto i riferimenti classici, innanzitutto nelle forme. Giovanni Paolo II definì la Sistina come un “santuario della teologia del corpo umano” ed è evidente nei corpi bellissimi classici, a partire da quello di Adamo, così come nei misteriosi ignudi che in realtà sono figure allegoriche che circondano le storie della Creazione e denotano l’attenzione alla bellezza intesa come congiunzione tra armonia morale e fisica, recuperando ciò che già i greci e i romani avevano elaborato sia a livello concettuale che formale. Anche le figure classiche delle Sibille, che sono oracoli pagani, vengono proposte – sulla scorta di una lunga tradizione che ha le sue radici nel Medioevo ma in maniera ancora più rilevante all’interno della Sistina -, per tracciare un parallelo tra la cultura cristiana e quella classica evidenziando come in questa si vedano in nuce dei semi di ricerca di conoscenza già orientati nell’attesa di un Messia che coincide con Gesù.