Circolare del Ministero dell’Interno in intesa con la CEI già inviata alle Prefetture. Si può entrare solo se la chiesa si trova lungo il percorso che faccio per “necessità”. 3 i quesiti chiariti dal Viminale
In questo periodo caratterizzato dall’emergenza coronavirus, le chiese restano aperte. E i cittadini possono entrare al loro interno per pregare, ma con regole molto rigide, e solo a determinate condizioni.
Lo stabilisce una nota della Direzione centrale degli Affari dei Culti del Ministero dell’Interno, inviata alle Prefetture, al fine di dare uniformità all’azione di quanti devono controllare gli spostamenti dei cittadini.
Il documento esplicativo è frutto della interlocuzione tra la Segreteria generale della Conferenza Episcopale Italiana, la presidenza del Consiglio e lo stesso Ministero dell’Interno, al quale proprio la Segreteria Cei aveva a più riprese rappresentato la posizione della Chiesa e il disagio di molti fedeli, che si sono visti limitare la possibilità di recarsi a pregare in chiesa.
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I tre quesiti
Vediamo punto per punto le risposte date a tre precisi quesiti proposti dalla Cei (Avvenire, 28 marzo).
1) E’ consentito a un fedele di uscire di casa, munito di autocertificazione, per recarsi a pregare in chiesa?
«E’ necessario – precisa la nota – che l’accesso alla chiesa avvenga solo in occasione di spostamenti determinati da comprovate esigenze lavorative, ovvero per situazione di necessità e che la chiesa sia situata lungo il percorso, di modo che, in caso di controllo da parte delle Forze di polizia, possa esibirsi la prescritta autocertificazione o rendere dichiarazione in ordine alla sissistenza di tali specifici motivi».
Quindi, se esco per andare al lavoro o a fare la spesa e lungo l’itinerario c’è la mia parrocchia o un’altra chiesa aperta, posso entrare e fermarmi a pregare, rispettando ovviamente le distanze minime da altri fedeli.
Non è possibile prendere la macchina e attraversare la città per andare a pregare nel santuario o nella chiesa intitolata al santo di cui sono eventualmente devoto.
2) In vista della Settimana Santa, nell’interlocuzione avuta con la Presidenza del Consiglio dei Ministri si è rappresentata la necessità che, per garantire un minimo di dignità alla celebrazione, accanto al celebrante sia assicurata la partecipazione di un diacono, di chi serve all’altare, oltre che di un lettore, un cantore, un organista ed, eventualmente, due operatori per la trasmissione. Su questa linea l’Autorità governativa ha ribadito l’obbligatorietà che siano rispettate le misure sanitarie, a partire dalla distanza fisica. Di fatto, che disposizione dare a queste persone per potersi muovere? Un’autocertificazione?
«Fermo restando che per i riti della Settimana Santa, dice la nota, il numero dei partecipanti sarà limitato ai celebranti, al diacono, al lettore, all’organista, al cantore e agli operatori per la trasmissione», tutti costoro «avranno un giustificato motivo per recarsi dalla propria abitazione alla sede ove si svolge la celebrazione e, ove coinvolti in controlli o verifiche da parte delle Forze di polizia, attraverso l’esibizione dell’autocertificazione o con dichiarazione rilasciata in questo senso dagli organi accertatori, non incorreranno nella contestazione e nelle relative sanzioni correlate al mancato rispetto delle disposizioni in materia di contenimento dell’epidemia da Covid-19».
Il servizio liturgico, precisa il Ministero dell’Interno, pur non essendo un lavoro, è assimilabile alle «comprovate esigenze lavorative». Sull’autocertificazione devono comparire il giorno e l’ora della celebrazione, oltre che l’indirizzo della chiesa ove la celebrazione si svolge».
3) Come mai si permettono matrimoni in Comune e non in Chiesa?
«I matrimoni in chiesa non sono vietati in sé. Ove il rito si svolga alla sola presenza del clebrante, dei nubendi e dei testimoni – e siano rispettate le prescrizioni sulle distanze tra i partecipanti – esso non è da ritenersi tra le fattispecie inibite dall’emanazione delle norme in materia di contenimentio dell’attuale diffusione epidemica di Covid-19».
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