All’ospedale di Milano specializzato nelle malattie infettive, Don Giovanni Musazzi è una presenza importante per ammalati e medici. “Mi chiedono: non smettere di venire”
«A un cappellano viene chiesto di fare il cappellano. Sono un ospite che testimonia con la sua presenza che Dio c’è». Don Giovanni Musazzi è il volto della misericordia di Dio nelle corsie dell’Ospedale “Luigi Sacco” di Milano, impegnato in prima linea contro il coronavirus.
«La presenza è il punto di partenza» per instaurare un dialogo con i medici e con i pazienti. Sul camice usa e getta scrive di volta in volta, con il pennarello, la parola “prete” (La Stampa, 24 marzo)..
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La donna non cattolica che si è messa a piangere
«Visito i pazienti Covid». A volte si deve limitare a una benedizione attraverso il vetro. «Ma sono entrato con le protezioni necessarie, anche in alcune stanze», evidenzia Don Giovanni.
«Una signora con la polmonite quando mi ha visto – racconta il sacerdote della Fraternità San Carlo – si è messa a piangere, perché normalmente non possono ricevere visite. La sua compagna di stanza, cattolica ma non praticante, quando ha capito che ero un prete, si è commossa ed è scoppiata in lacrime».
Due minuti per la comunione e l’assoluzione
La malattia può degenerare in fretta. Ci sono alcuni pazienti che possono aggravarsi nell’arco di qualche ora. E così «molte persone desiderano confessarsi. Mi posso fermare due/tre minuti per la comunione e l’assoluzione generale. Non posso avvicinarmi. Faticano a parlare, ma sono molto felici di vedere un sacerdote e qualcuno che non è obbligato a restare lì».
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“Alcuni non tornano neppure a casa”
In queste settimane l’ospedale Sacco ha tutti i reparti riconvertiti per accogliere i pazienti affetti da coronavirus. C’è la zona degli infettivi, con i malati più gravi, e quella degli isolamenti e delle quarantene. «Per fortuna che il personale è incredibile», dice il sacerdote.
«I turni sono di 12-13 ore, il giorno libero praticamente non esiste più, le ferie sono state revocate. Eppure nessuno si lamenta, c’è un grande senso del dovere e di abnegazione. Alcuni non tornano neanche a casa, per paura di infettare le famiglie, e dormono in albergo. Altri hanno allontanato i parenti perché il rischio di contagio è possibile. Altri ancora fanno appena a tempo a giocare un po’ con i figli, a dormire qualche ora e poi sono di nuovo qua all’alba» (Tempi, 18 marzo).
“Non smettete di venire”
La figura del cappellano (insieme a lui opera don Mauro Carnelli, un presbitero diocesano) ricopre un ruolo molto importante per tutto il personale sanitario. Don Giovanni ha un ottimo rapporto con i medici. E più di una persona, ogni giorno, gli raccomanda: «Non smettere di venire, perché abbiamo bisogno di vederti».
Le Messe nella piccola cappella dell’ospedale sono sospese. Dalle 8 alle 9 e dalle 11,30 alle 12,30 fa l’adorazione eucaristica, che diventa un punto di riferimento per tutti: «Chi passa, sa che lì c’è l’eucaristia. Arrivano, pregano ed escono».
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