In amore non vince chi fugge, come si dice, ma chi resta ed è capace di superare quell’ego che chiede di vincere sempre o avere ragione. Salite sul ring con maturità e la certezza che, in amore, se vinci, in realtà hai perso l’altro. di Marco Scarmagnani
“L’amore non è bello se non è litigarello”
Ma davvero? Io non ci ho mai creduto. Litigare è un pessimo modo per passare il tempo. Poi, avendo scoperto e sperimentato personalmente che non avere divergenze in coppia è impossibile, ho cercato delle vie per depotenziare il conflitto, e toglierne la carica distruttiva e disfunzionale.
Il risultato del mio sforzo immane – dovevano essere dieci punti e me ne sono usciti 3 – è stato recentemente raccolto nel libro 3 regole per litigare.
Litigare con delle regole? Sì certo. Pur conscio che il conflitto si genera in parti di noi che poco si adeguano alle regole, alcuni comportamenti si possono sicuramente “educare“.
Si tratta di operare con un certo equilibrismo. Da una parte non è opportuno (e lo vedo nelle coppie che incontro) eliminare il conflitto, perché l’assenza di divergenze esplicite spesso genera guerre di trincea, ben più logoranti; dall’altra occorre calmierare gli aspetti distruttivi del conflitto. Come? Con le tre regole. Eccole in sintesi: appendetele sopra la testiera del talamo, accanto al quadro della Madonna o alla foto del matrimonio.
Non vincere!
È lecito cercare di vincere in una disputa. È normale cercare di far valere la propria idea in un dibattito politico. È divertente battere gli avversari in un torneo di calcetto. Ma nella coppia no! Se c’è un luogo nel quale vincere crea disastri è la relazione coniugale.
La coppia infatti vive di una costante ricerca di equilibrio dinamico e questo equilibrio si mantiene a più livelli. Quando si crea un forte squilibrio, il sistema-coppia tende a riportarsi in asse, e le strategie che usa sono quelle a disposizione dei membri della coppia stessa, e soprattutto non sempre sono consapevoli.
E allora chi, durante un litigio di coppia, si rende conto di essere in una posizione di forza, la usi per cercare di rimettere l’altro/l’altra su un piano più possibile di parità, di pari dignità. Si eviti che esca un vincente e un perdente, semplicemente perché non è possibile: se uno vince avete perso in due.
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Non si tratta di non considerare che ci possono essere delle situazioni in cui uno dei due dovrà cedere e si deciderà di seguire una linea educativa piuttosto di un’altra, di acquistare o non acquistare un oggetto. Ma queste scelte non dovrebbero mai trasformare la discussione e quello che ne consegue in un rapporto non paritario: io ho ragione, tu hai torto; io sono up, tu sei down; io sono OK, tu non sei OK, per dirla con l’analisi transazionale.
La coppia è il luogo più evidente dove chi vince resta con un pugno di mosche: ottiene una vittoria esterna, e l’altro si allontana interiormente. Penso che ogni uomo o donna che si trova in coppia da più di un paio di settimane abbia sperimentato quando è frustrante amare da una posizione subalterna.
Ma anche se sei quello/a che ha vinto: che te ne fai di un marito o di una moglie che sei riuscito a “vincere”? Che ne è della tua relazione? Della vostra intimità?
Allora, attenzione ai consigli della prima regola: cercate di non ottenere mai una vittoria su tutti i fronti; non schiacciate mai l’avversario; quando vedete che sta per capitolare lasciategli una via d’uscita; non braccatelo/a. Accontentatevi che la vostra idea è stata presa in considerazione, che si prenderanno le piastrelle del bagno che piacciono a voi, e siate pronti a fornire qualcosa in cambio, magari una partita a calcetto con gli amici se è per lui, o un fiore se è per lei.
Chi non ha dimestichezza con la coppia sorriderà ad esempi tanto banali. Ma Zigong chiese:
«Esiste una singola parola che possa guidare la vita intera?». Il maestro disse: «Non dovrebbe essere la reciprocità?»” (Confucio, Analecta)
Definite un ring!
Litigare è il regno dell’agon e del pathos, ma questo non significa che non ci sia un campo di battaglia delimitato e non ci siano delle regole di combattimento.
Queste regole io le chiamo “ring” perché mi piace pensare ai pugili, alle corde che li contengono. Avere un ring aiuta ad impedire che il conflitto dilaghi, che si trascini negli spogliatoi, o tra il pubblico. Traducendo la metafora, potremmo dire di evitare che si trascini in camera da letto o davanti a figli e parenti.
Idealmente ci sono due tipi di ring, due sistemi di definizione dei confini di ciò che è lecito e ciò che non lo è:
- il primo è oggettivo, per cui c’è già la legge che indica che certi comportamenti sono inaccettabili e penalmente perseguibili. Di questo non intendo parlare, lo diamo per scontato.
- il secondo è un ring di coppia, che si definisce in una relazione di intimità, di conoscenza dell’altro e dell’altra, perché non siamo tutti uguali.
Un esempio per capirci su questo secondo punto: alcune persone non sopportano le offese. Ah che scoperta! A nessuno piace essere offeso! Sì, lo so, ma alcune persone – ve ne accorgerete – all’offesa vanno interiormente in frantumi. Non sono deboli, potreste prenderle a bastonate o toglier loro il cibo, e lo sopporterebbero meglio, ma all’offesa si sgretolano. Sono quelli che – nella categorizzazione di Gary Chapman – sentono di ricevere amore e nutrimento quando ricevono dei complimenti. Con queste persone si dovrà fare molta attenzione alle offese. Come faccio a litigare con una persona che mi va in frantumi? Non c’è più soddisfazione!
Altre persone non sopportano che si alzi la voce. E via dicendo…
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Importante: il ring non è una gabbia ma un sistema di riferimento. Vi scapperà di sbagliare e allora la regola 2 serve per indicare la strada quando si sbaglia. Se uno esce dal ring che insieme avete definito, può chiedere scusa e rientrare. Se può essere utile pensate agli sport di combattimento, se volete pensate ad alcune arti marziali dove chi esce dal tatami fa un inchino e rientra, o alle delimitazioni del campo da calcio. In ogni attività ci sono dei confini, delle regole.
Se il ring non c’è, e non ci sono regole, è più facile e pericoloso scivolare verso il “tutto è permesso”… “se le è volute”… “gliela faccio pagare”… e il gioco diventa per nulla divertente.
Tagliate corto!
Già che parlavamo di boxe e di ring questo paragrafo potevamo chiamarlo “gong”. È la regola più importante e se proprio dovete scegliere di applicarne una sola, applicate questa. Alcune ricerche hanno dimostrato che non ci sono differenze significative tra le coppie felici e quelle disfunzionali su molti aspetti del conflitto. Non ci sono differenze significative nel numero dei conflitti, nell’intensità e neppure nei temi della contesa. C’è un’unica differenza significativa: il tempo.
Le coppie felici riescono ad aprire e chiudere la litigata in tempi brevi, in quelle disfunzionali la litigata non ha mai fine. Ore e giorni e notti di agonia. Ore e giorni e notti inutili, perché alla fine non si arriva ad un accordo ma allo sfinimento, e magari è già pronto un altro argomento da contendere.
Quanto stressano, quanto esauriscono le litigate lunghe? Quanta salute fisica e mentale se ne va? Quante occasioni perse per fare cose buone e belle?
Allora questa regola dovrebbe diventare un imperativo categorico, dove ci si può davvero dare una mano, perché c’è sempre chi ci arriva prima e chi dopo. C’è sempre chi – talvolta lui, talvolta lei – propone “dai finiamola qui” ma poi c’è sempre quella parolina che fa riprendere il discorso.
Allora l’accordo per voi potrebbe essere questo: il primo (o la prima) che desidera chiudere un conflitto che sta andando per le lunghe lo propone. L’altro (o l’altra) si sforzerà di assecondare questo desiderio. Se proprio non se la sente potrà dire con onestà «non mi sento ancora pronto, ma possiamo interrompere la discussione».
Magari non ci riuscirete tutte le volte, ma con un allenamento costante riuscirete in breve tempo a ridurre sensibilmente il tempo passato a litigare.
Certo sono consigli pratici e semplificativi, e magari qualcuno ha bisogno di qualcosa di più profondo, per trovare la motivazione a chiudere, proprio mentre pensa di aver ragione.
A me aiuta molto se riesco a considerare che il mio è solo un punto di vista, non la verità. Recenti ricerche hanno confermato che siamo in genere molto clementi con i nostri difetti e poco con quelli degli altri, che giustifichiamo le nostre incongruenze e radiografiamo quelle degli altri (del coniuge nel nostro caso).
Anche nella coppia, come nelle dispute politiche, caschiamo nel cosiddetto “realismo ingenuo”, la credenza di essere gli unici a vedere le cose “come stanno davvero”.
Sì, lo so, è difficilissimo uscire da questi bias, soprattutto quando l’emozione ti ha scaldato, ma sono millenni che ogni sistema filosofico e religioso cerca di metterci in guardia dall’illusione di essere migliori dell’altro.
E allora chiudiamo con quattro citazioni senza tempo, che ci raccontano di quanto l’essere umano tenda ad essere cocciuto nel pensare di avere ragione:
«Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello [o marito, o moglie] mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per trarre la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello» (Gesù di Nazareth, Vangelo di Matteo)
«È facile vedere i difetti altrui, più difficile vedere i tuoi. Vagli i difetti degli altri come la pula, i tuoi li nascondi come un baro nasconde un lancio perdente.» (Buddha, Dhammapada)
«Malgrado tu veda i sette difetti degli altri, non vedi i tuoi dieci» (Proverbio giapponese)
«Il caprone non si rende conto di puzzare» (Proverbio nigeriano)
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Ricordiamo allora questa bella immagine del caprone che puzza senza rendersene conto tutte le volte che ci ostiniamo a voler aver ragione ad ogni costo, ed avviamoci alla chiusura della litigata.
A questo punto si aprono naturalmente due nuovi argomenti:
- Fare la pace
- Perdonare
Lo trovate difficile? Siete capaci? Vi servono strumenti? Avete dei dubbi in proposito?
Intanto inquadrateli come due grandi opportunità, poi casomai ne parliamo in un altro pezzo.
QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DAL BLOG SEMPRENEWS