Mi impegno a fare una lista con penna su carta e a ricordare ciascuna delle persone che segnerò nelle mie preghiere.Di Anna Mazzitelli
Ci sono voluti 10 giorni, ma mi sono ritrovata.
Non saprei quantificare se questi 10 giorni siano tanti o pochi. Sono stati i primi 10 giorni di isolamento, di quarantena, di guerra. Sono stati pesanti. Ma ho trovato il bandolo della matassa (non che non lo perderò di nuovo, sia chiaro. Diciamo così, che magari è più corretto: per adesso, mi sono ritrovata).
Vorrei scrivere un post ordinato (e poi prometto che smetterò di scrivere post a raffica) e ho anche degli appunti davanti, ma so già che non ci riuscirò, perché pensieri e volti si affollano contemporaneamente nella mia testa, in questo momento.
Giovanna, la mamma di Emma, è la prima che mi viene in mente. Ai tempi dei ricoveri e dei trapianti mi diceva: “tu sei una macchina da guerra”, e questa frase mi ha mandato avanti tante volte, e anche ora l’ha fatto. Bastava rimetterla in moto.
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Ieri mattina, visto che era domenica, ho preteso che i miei figli si vestissero in modo decente (jeans al posto della tuta), per seguire la messa in televisione e poi fare un salto al cimitero. Francesco ha provato a ribellarsi, e io gli ho raccontato che quando eravamo in ospedale, anche nei momenti di maggior fatica, obbligavo Filippo a lavarsi e vestirsi ogni mattina, non lo facevo restare in pigiama, perché -gli ho detto- la dignità dell’essere umano non dipende da dove si sta o da quello che si farà durante il giorno, ma da quello che si è. E avevamo sempre un progetto.
Non è servito insistere, due minuti dopo era vestito e si stava lavando i denti.
C’è un’altra cosa che mi ha aiutato tanto in questi giorni: sono certa che qualcuno abbia pregato per me. Ancora una volta, come sempre, la preghiera cambia il corso della storia, anche della mia storia.
Io cerco di essere fedele alla preghiera, assieme a Stefano abbiamo iniziato a dire il rosario, la sera, collegandoci via skype con la fraternità dei nostri amici di Treviglio, e di sicuro qualcuno, da qualche parte, sta pregando per me e per la nostra famiglia.
Lo dico con certezza perché le cose, malgrado tutto, stanno scorrendo abbastanza lisce. Chiusi in casa tutti e quattro assieme per così tanti giorni e con poco da fare (a parte i compiti), davvero mi aspettavo che si sarebbe scatenata una guerra civile.
Mi tornano in mente le parole sentite da Padre Maurizio Botta, che durante una delle sue catechesi dei 5 passi di qualche anno fa esortava i coniugi ad accostarsi all’Eucaristia con questa preghiera nel cuore:
Signore, fa che io possa amare mia moglie/mio marito come la/lo ami tu, ci siamo sposati davanti a te e tu ci hai promesso che sarebbe stato possibile, allora adesso fammi questo dono che mi hai promesso.
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Da quando l’ho ascoltata è una delle preghiere che ripeto più spesso, sebbene l’abbia leggermente modificata. La mia, recita più o meno così:
Signore, donami di amare mio marito come lo ami tu, di perdonarlo come lo perdoni tu, e, soprattutto, fa che lui possa amare me come mi ami tu e perdonarmi come mi perdoni tu
funziona lo stesso, provare per credere!
E ora che mi sono un po’ ritrovata, ritrovo anche il desiderio di lodare Dio per quello che compie nella mia vita, e mi viene in mente una cosa che disse la mia amica Mayda durante un incontro: le era stato consigliato di scrivere i suoi salmi di lode al Signore, e lei raccontava che tutti i suoi salmi avevano un nome e un cognome, tutto ciò per cui lei desiderava ringraziare aveva un volto, erano persone presenti nella sua vita, attraverso le quali lei percepiva l’amore di Dio, che la aiutavano a incontrarlo, a non perdersi, a riconoscerlo.
E non farò un elenco di nomi (anche se sono tentata…) ma mi impegno a fare una lista con penna su carta e a ricordare ciascuna delle persone che segnerò nelle mie preghiere, per far davvero diventare fecondo questo tempo di attesa e di digiuno, per far fiorire il deserto, ciascuno dei nostri deserti.
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Perché c’è un altro pezzetto del Vangelo della Samaritana che mi ha colpito ieri, mentre lo rileggevo, ed è quello che dice Gesù ai suoi discepoli che lo raggiungono al pozzo e si stupiscono che lui non voglia mangiare:
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?».
Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro». (Gv 4,31-38)
Perché chi semina gioisca insieme a chi miete.
E ami il rumore del vento nel grano.