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Giotto e quelle sue pitture geniali sugli angeli che cercano Dio e la Madonna (FOTO)

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don Marcello Stanzione - pubblicato il 05/03/20
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Dalla Basilica di Assisi e alla Cappella degli Scrovegni, dagli Uffizi al Vaticano: così l’artista ha immaginato gli spiriti celesti

Giotto, tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300, col suo genio innovatore, infrange il cerchio di ferro delle tradizioni bizantine, modera le diverse tendenze ed instaura un “linguaggio pittorico nuovo”, uno stile prettamente italiano.

Da Assisi a Padova

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Seguendo i dati cronologici proposti dallo storico dell’arte Pietro Toesca nel suo lavoro su Giotto, questi svolse la sua attività giovanile nella Basilica Superiore di S. Francesco in Assisi. Ma, di questi cicli di affreschi si discute l’attribuzione e la cronologia, perché indubbiamente furono compiuti con l’intervento di collaboratori e in più riprese.

Dopo il primo periodo in Assisi, Giotto pare si recasse a Roma (1300), e già si è fatto cenno alla sua opera musiva. Verso il 1305, prima di fermarsi a Padova per compiere il suo capolavoro nella Cappella degli Scrovegni, egli tornò a Firenze ove dipinse la “Madonna di Borgognissanti”, che si conserva nella Galleria degli Uffizi.

I “migliori angeli” di Giotto

In questa tavola mi sembra di poter individuare il miglior tipo di angelo che abbia ideato l’arte di Giotto. La pittura ci dà il modello della “Maestà” trecentesca, nella quale la Vergine, maestosa, in  proporzioni maggiori degli angeli e dei santi che la circondano, con espressione materna siede sull’altro trono. Gli angeli pur simmetricamente distribuiti mostrano un progresso nella composizione: i loro atteggiamenti sono svariati ed il trono poggia sul suolo, né ha bisogno di esser sorretto.

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Public Domain

La profonda comprensione del Maestro

Due di queste figure alate, genuflesse ai piedi della Madonna, le offrono in un vaso rose e gigli, segno di vita primaverile; in attitudine composta, fissano la Vergine, e pare che il loro sguardo ne resti abbagliato, mentre dalle labbra semiaperte sta per uscire una parola di omaggio che accompagna l’offerta. Anche il gesto della mano sinistra è significativo ed eloquente, e qui giova notare che Giotto, come nessuno prima di lui, seppe servirsi delle mani in modo vitale per i propri personaggi.

Questi due angeli palpitano di una vita intensa, e c’è in essi una religiosità interiore che non deriva dagli attributi o dalle vesti, ma dalla profonda comprensione da parte del Maestro, dell’inno di lode e di venerazione che queste celesti creature devono alla loro Regina. Ed è appunto qui la grandezza di Giotto che, come asserisce il Cavalcaselle, “riesce pur ad esprimere quanto vuol significare”.



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Tunica e diadema

Altri angeli, in piedi, ai lati del trono porgono l’uno una corona, l’altro il cofanetto simbolico, con gesto facile e devoto. Tutto, in queste figure è impregnato di semplicità: un piccolo diadema cinge il capo i cui capelli sono ravviati senza artifizio; la tunica, dal colore perlaceo, priva di ornamenti, cade in morbide pieghe; le luci e le ombre danno ai personaggi plasticità e tanta luce come non si era ancora veduto.

“Pala d’altare” in Vaticano

Altra tavola a questa somigliante per la com posizione, è la “Pala d’Altare” che si trova nella Sagrestia di San Pietro in Vaticano.

Gli angeli, più numerosi, sono disposti in forma piramidale e con maggior simmetria; loro caratteristica è l’eleganza della linea e una certa vita che si sprigiona da essi: alcuni si guardano, altri guardano il Cristo, che è sul trono al centro della tavola, e se qui non volano sembrano pronti a slanciarsi verso il Salvatore.


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“Gioacchino e Sant’Anna” nella Cappella degli Scrovegni

Altre caratteristiche del tipo angelico grottesco, le troviamo a Padova tra gli affreschi che adornano la famosa Cappella degli Scrovegni. Queste pitture, senza discrepanza di critici, come per quelle di Assisi, rivelano con certezza la potente mano innovatrice del Maestro ed è per questo che mi sembra opportuno concentrare su di esse la mia osservazione, piuttosto che su altri lavori.

Questi affreschi eseguiti verso il 1305, nel periodo della maturità artistica di Giotto, rappresentano l’opera sua più realizzata. Egli tradusse all’intorno sulle pareti lisce della cappella, la leggenda di San Gioacchino e S. Anna, tratta dal protoevangelo di Giacomo minore, e le storie della vita della Vergine e del Cristo; sull’arco trionfale immagina l’Eterno fra gli angeli, che dà a Gabriele la missione di annunciare l’Incarnazione; ai due lati in un’incorniciatura, dipinge, secondo il racconto genuino del Vangelo, la scena dell’Annunciazione, separando i due personaggi, come già aveva fatto qualche artista del secolo IX.

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Fa da epilogo alla lunga narrazione il “Giudizio Finale” nella parete dove s’apre la porta d’ingresso. Fra una moltitudine così svariata di figure alate, prendo in esame qualche tipo di angelo in cui, mi sembra, si riveli maggiormente il genio di Giotto.


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Le “vele” nella Basilica di Assisi

Si è già accennato all’attività pittorica di Giotto in Assisi. Molto stimati sono gli affreschi delle “vele” della Basilica inferiore di S. Francesco; ma l’intervento diretto dell’opera sua in questi dipinti è più che mai discusso tra i critici.

Dobbiamo riconoscere però che se pure egli non partecipò al lavoro personalmente, al suo genio artistico la pittura deve il gran cammino compiuto: gli artisti con la felice applicazione delle norme del comporre incominciarono a saper distribuire lo spazio nel quale sarà raffigurata la rappresentazione delle grandi scene allegoriche; sanno collocare le figure e far sì che i caratteri dei personaggi rispondano al significato da essi voluto.

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Public Domain

Nelle “Allegorie” delle vele suddette, gli angeli e schiere, con disposizione ordinata e facili movimenti, partecipano alla scena; le loro figure ora fresche e rigogliose di giovinezza, ora di gentili forme femminee preludono i grandi del ‘400 e le delicate forme dell’Angelico.


LUCIFER
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