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Per prepararti bene alla Quaresima, festeggia il Carnevale

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Pane e Focolare - pubblicato il 21/02/20
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La festa irriverente del Carnevale nasceva dal profondo senso spirituale di una società che un tempo sapeva davvero gioire e divertirsi, ma poi teneva in grande considerazione la penitenza.Entro in una bella pasticceria di Roma e ordino un vassoio di quelle che io chiamo chiacchiere e tortelli, ma scopro che lì si chiamano frappe e castagnole. Ogni regione d’Italia, direi ogni provincia, ha i suoi dolci di Carnevale o li chiama con un nome diverso. Già dopo l’Epifania fanno la loro comparsa nelle vetrine, prendendo il posto dei panettoni e degli altri dolci natalizi. Poi i pasticceri, dopo il Martedì Grasso (a Milano dopo il Sabato Grasso), si dedicheranno alle colombe, alla pastiera e agli altri dolci pasquali. Non ci facciamo caso, ma le nostre abitudini alimentari, anche in tempo di secolarizzazione e laicità, sono scandite dall’anno liturgico.


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D’altronde, il Carnevale è una festa tipica dei paesi cattolici: è il momento di festa, spesso sfrenata e un po’ irriverente, per dare libero sfogo ai piaceri e alle golosità prima delle penitenze quaresimali. Il Carnevale si chiama così proprio perché un tempo si mangiava carne in abbondanza prima dei 40 giorni di magro, dominati dalle astinenze e dai digiuni.

A Carnevale ogni scherzo vale“: la festa affonda le sue origini nel Medioevo, periodo in cui nasce l’usanza “festaiola” e spensierata legata a questi giorni che precedono la Quaresima, giorni di scherzi e burle, di mascherate e di danze. Ci si travestiva, ci si faceva beffe dell’autorità, per poco tempo il caos prendeva il posto dell’ordine costituito, si diventava irriverenti nei confronti dei re e dei principi, del podestà e del vescovo. I carri allegorici del Carnevale di Viareggio, con le loro enormi figure in cartapesta di famosi uomini politici, del mondo della finanza o della cultura, ritratti con satira e ironia, sono ancora un bellissimo esempio di tante antiche feste, ricche di creatività e fantasia. E come non citare Venezia con le sue splendide maschere settecentesche, eleganti e piene di mistero?


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A parte questi rari esempi di tradizioni rispettate (e a parte le feste dei bambini alla scuola materna e alle elementari) non pensate anche voi che il Carnevale sia un po’ in crisi? Forse perché non se ne ricorda più l’origine. Se non si fa più il sacrificio e la penitenza quaresimale, che senso ha fare il Carnevale? La carne si mangia tutto l’anno (e chi non la mangia, lo fa perché ha scelto uno stile di vita vegetariano); la festa sfrenata si trova sempre e dovunque, in discoteca o in qualche party border line. Se poi si parla di satira nei confronti dei potenti di turno, ci sono le riviste e i comici televisivi, peraltro con una qualità artistica che a volte lascia davvero a desiderare, con poca fantasia e molta volgarità.

A Carnevale lasciamoci andare ai peccati di gola: chiacchiere, bugie, cenci, frappe, castagnole e tortelli. Facciamo festa. Ma ricordandoci l’origine di tutto questo, il profondo senso spirituale di una società che un tempo sapeva davvero gioire e divertirsi, ma poi teneva in grande considerazione lo spirito di sacrificio, il valore anche culturale e antropologico della penitenza, il dominio di sé, l’esercizio della virtù della fortezza e della temperanza, e la rinuncia in vista di valori superiori, contro il materialismo e l’edonismo.


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Anche i piccoli  fioretti aiutano a fortificarsi e a comprendere il valore di quello che abbiamo.

“Semel in anno licet insanire”, si diceva un tempo. Il problema è che oggi la mancanza di senno, in certi contesti, pare dominare tutto l’anno.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA PANE & FOCOLARE