San Valentino, sì, ma quale? Se non avete festeggiato il 14 febbraio, se vi siete dimenticati, se dovete rimediare, ecco la storia che potrebbe salvarvi e l’occasione per recuperare è il 2 maggio!C’era una volta San Valentino. Era un pio cristiano di cui si sa poco o nulla, a parte il fatto che era un prete. Fu martirizzato a Roma il 14 febbraio di un anno non ben precisato e poscia sepolto lungo la via Flaminia (al secondo miglio: Roma nord).
C’era una volta un altro San Valentino. Era il vescovo di Terni, che a un certo punto s’era recato nella Città Eterna per ragioni di ministero. Fu martirizzato a Roma il 14 febbraio 273; la sua pia salma fu recuperata dai suoi discepoli e poscia sepolta lungo la via Flaminia (al sessantatreesimo miglio: Terni centro).
E già qui partiamo malissimo.
Nel senso: quale dei due san Valentino è San Valentino? Il San Valentino degli innamorati, tanto per capirci – quello delle rose rosse, dei cioccolatini e compagnia cantante.
Se andate a Terni, tutti quanti vi assicureranno che si tratta certamente del ternano. Ma se provaste a fare la stessa domanda ai Carmelitani di Dublino, nella cui chiesa si conservano le reliquie attribuite all’altro santo, costoro vi racconterebbero una storia ben diversa. ‘Una delle due campane è in malafede’, mi sembra già di sentirvi dire. Ma no: è che la storia dei santi, come spesso capita, è parecchio ingarbugliata; non è per niente facile ricostruire le vicende che hanno portato san Valentino a diventare il patrono degli innamorati. A dirla tutta, non è facile neppure ricostruire le vicende biografiche di questo benedetto cristiano. Gli studiosi non riescono neppure a trovare un accordo sul numero di Santi Valentini effettivamente morti a Roma.
In apertura, io ne ho citati due, e in effetti così fanno anche le fonti antiche. Ma, per lungo tempo, questa sorprendente coincidenza (due persone con lo stesso nome, martirizzate lo stesso giorno e sepolte in punti diversi della stessa via) ha indotto molti studiosi a credere che i due Valentini fossero in realtà un’unica persona. San Valentino – secondo questa ipotesi – sarebbe stato ricordato a Terni in quanto vescovo e a Roma in quanto martire. Col passar dei secoli, la sua figura avrebbe finito con lo “sdoppiarsi”, dando vita, nell’immaginario dei fedeli, a due santi martiri diversi.
Il problema di questa teoria è che le fonti più antiche attestano una devozione verso san Valentino che era molto più marcata a Roma che non a Terni.
Il dettaglio apre una vasta serie di interrogativi: se il martire romano era il vescovo di Terni, le cui spoglie riposavano ormai nella città umbra, che problemi avevano i Ternani per ignorare così platealmente questo povero vescovo morto ammazzato?
E per quale ragione al mondo, invece, la devozione si sarebbe dovuta sviluppare con tanta intensità a Roma, una città dove il religioso era morto quasi “per caso” e senza oltretutto lasciare resti da venerare? Fatto sta che a Roma, nel quarto secolo, esisteva una basilica, assai frequentata, dedicata giustappunto a san Valentino. Possibile, che ci fosse a Roma una così grande devozione nei confronti di un vescovo “straniero”, che oltretutto non godeva di tante attenzioni nemmeno in patria?
Per contro, il Cronografo di Furio Dionisio Filocalo, redatto nel 354, ci racconta con dovizia di dettagli la storia di Valentino presbitero romano. Secondo questa fonte, il sacerdote laziale avrebbe subito il martirio durante l’impero di Gallieno; sepolto da una cristiana di nome Sabinilla in un terreno di sua proprietà in zona Parioli, sarebbe stato onorato da papa Giulio I con l’ordine di far erigere una basilica in suo nome (che, infatti, proprio lì fu costruita. Attualmente, se ne possono ancora intravvedere i resti).
Una attestazione così antica di un culto così sentito porta paradossalmente alcuni studiosi a dire che, se davvero dobbiamo ipotizzare che i due san Valentino siano la stessa persona, il clone, semmai, è il vescovo ternano.
È questa la tesi di Vincenzo Fiocchi Nicolai, secondo cui san Valentino fu effettivamente un presbitero (forse di origine ternana?) che aveva svolto a Roma il suo ministero e che a Roma fu martirizzato. Il suo culto si sarebbe diffuso prima in Lazio e poi a Terni, una città alla quale, evidentemente, il presbitero era in qualche modo era legato. La qualifica di “vescovo” gli sarebbe stata appioppata a posteriori dalla tradizione umbra, in un tentativo di nobilitarne la figura (un po’ come quando la nonna va a dire in giro che suo nipote ha appena trovato un lavoro nell’alta finanza mentre invece tu sei un umile stagista al tuo primo contrattino precario in banca).
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Se questa ipotesi vi sembra bizzarra, è perché non avete ancora ascoltato quella suggerita da padre Agostino Amore. Secondo lo studioso francescano, ci fu davvero un San Valentino vescovo di Terni e martirizzato a Roma; l’altro san Valentino, invece, non esiste proprio.
O meglio: secondo la tesi di padre Amore, “Valentino” era il nome del benefattore che, nel IV secolo, finanziò la costruzione della basilica che papa Giulio I stava costruendo ai Parioli. In virtù di questo suo generoso servizio alla chiesa, Valentino fu definito “santo” dopo la sua morte, avvenuta presumibilmente per cause naturali. Il popolino avrebbe dunque cominciato a riunirsi presso la basilica del santo Valentino, finendo poi col dimenticare la storia del benefattore. Col risultato di inventarsene una più appassionante, condita con un buon martirio che non fa mai male.
Mah. Che gran brutto pasticciaccio storico.
Un pasticciaccio che comunque ci fa solo perder tempo e ci distrae dalla domanda principale: ammesso e non concesso che siano esistiti due san Valentino, quale dei due è…San Valentino?
La Storia, a questo punto, si fa ancor più ingarbugliata.
Perché sbaglia, e pure di grosso, chi pensa che san Valentino sia solamente una festa commerciale di questi ultimi decenni.
In realtà, è una tradizione anglosassone con origini molto antiche…ma, disgraziatamente, non antiche come vorremmo. Dalla morte di San Valentino alla sua prima citazione in un contesto “amoroso”, passano più mille anni. Per oltre dieci secoli, mai, in alcun modo, San Valentino è stato accostato agli innamorati.
Quand’ecco che, nel 1382, Geoffrey Chaucher – l’autore dei Racconti di Canterbury – compone un poema titolato Il Parlamento degli Uccelli e lo dedica, a mo’ di regalo di nozze, a re Riccardo d’Inghilterra e Anna di Boemia.
Al verso 310 del poema, leggiamo effettivamente parole eloquenti:
for this was on seynt Volantynys day
whan euery bryd comyth thete to chese his make.
Prima che qualcuno ne tragga la convinzione che gli uccelli si riuniscono per fare il formaggio nel giorno in cui vengono spediti i volantini, agevolo traduzione in Inglese moderno:
for this was Saint Valentine’s Day,
when every bird come there to choose his mate.
Ovverosia: nella festa di San Valentino, gli uccelli si radunano in un certo luogo per scegliere il proprio partner.
L’immagine – colombelle che tubano e piccioncini innamorati – è sicuramente molto suggestiva. Tuttavia, lo storico non può non chiedersi perché Chaucher l’abbia tirata in ballo. Oltretutto: se v’affacciate alla finestra, voi vedete tutto questo tripudio di uccelli in calore? Personalmente, io vedo solo un piccione morto di freddo che rantola in cortile cercando di scaldarsi. Non mi sembra proprio che il giorno di San Valentino cada nel periodo in cui gli uccelli metton su famiglia.
Ma poi, anche fosse: che c’azzecca San Valentino con Riccardo d’Inghilterra e Anna di Boemia? La data del 14 febbraio non aveva nessun valore particolare per la coppia: perché evidenziarla, nel poema dedicato loro?
I due sposi erano convolati a giuste nozze il 22 gennaio 1382, dopo un breve fidanzamento che era stato siglato il 2 maggio…
…che – ops! – è il giorno di San Valentino.
No, non San Valentino di Terni.
E neppure San Valentino martire a Roma.
Ce n’è un altro: San Valentino vescovo di Genova, effettivamente ricordato proprio in quella data.
E se Chaucer, inventando di sana pianta la tradizione avicola di scegliere il proprio partner “nel giorno di san Valentino”, avesse semplicemente voluto omaggiare i due sposi, elevando il giorno del loro fidanzamento al rango di “giornata universale dell’amore”?
Negli anni a venire, i lettori di Chaucer sarebbero stati vittima di un misunderstanding: leggendo il verso “incriminato” sarebbero stati portati a identificare San Valentino con il suo omonimo più famoso (cioè il ternano) (ché San Valentino di Genova, poraccio, se lo filano poco persino i Genovesi). Da lì, sarebbe nata, gradualmente, in Inghilterra, la consuetudine di festeggiare gli innamorati proprio in quel giorno.
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È una ipotesi: senz’altro.
È una ipotesi sostenuta con particolare verve da Henry Ansgard Kelly, autore del mastodontico saggio Chaucer and the Cult of Saint Valentine. A sostegno della sua tesi, lo studioso sottolinea come il poema inglese non si limiti a citare en passant la festa di san Valentino senza darci ulteriori indizi su quale potesse essere la sua collocazione nel calendario. Anzi: poco ci manca che Chaucer inserisca una nota a margine sulle linee di ‘GUARDATE CHE STO PARLANDO DEL SANTO FESTEGGIATO A MAGGIO’: tutto il poema è ricolmo di riferimenti alla primavera – fiori che sbocciano, tiepidi raggi solari, prati che cominciano pian piano a scaldarsi.
Eppure, come ha acutamente fatto notare Jack Oruch nel suo breve saggio St. Valentine, Chaucer, and Spring in February, dobbiamo anche tener conto del fatto che il 14 febbraio, all’epoca di Chaucer, non cadeva nello stesso momento in cui cade oggi.
Non prendetemi per scema: all’epoca di Chaucer, non esisteva ancora il calendario gregoriano, la cui adozione, nel 1582, comportò un balzo avanti di dieci giorni per correggere gli errori accumulatisi in passato, con conseguente slittamento in avanti di tutte le date da quel momento in poi.
Questo vuol dire che, all’epoca di Chaucer, il 14 febbraio non cadeva esattamente in questi giorni. Cadeva in quel giorno che noi moderni indicheremmo sul calendario come “25 febbraio”.
E, in effetti, il 25 febbraio è un giorno in cui potrebbe esser già più ragionevole accennare all’arrivo della primavera. Il clima da fine-inverno, a inizio marzo, cominci a respirarlo davvero: quindici giorni di differenza non sono molti, certo… ma nelle mezze stagioni possono realmente farsi sentire.
La tesi Oruch (Chaucer parlava davvero della festa di metà febbraio) permetterebbe, in effetti, di spiegare un elemento che resta poco chiaro nella teoria di Kelly: e cioè, come sia stato possibile che, a partire da un singolo verso nascosto in un’opera (peraltro, non tra le più note) l’intera popolazione britannica abbia potuto, a tempo record, fraintendere, confondere i due san Valentino ed eleggere il 14 febbraio giorno degli innamorati.
Sì, perché il 14 febbraio diventa festa degli innamorati in epoca molto precoce, da quelle parti. Nell’Inghilterra del ‘400, era una tradizione già profondamente radicata. Alla corte del re, i cavalieri omaggiavano la loro dama con piccoli doni e trascorrevano la giornata tra motteggi e giochi galanti. Gli archivi britannici ci restituiscono addirittura “biglietti di auguri” che datano alla metà del secolo XV: nel 1477, una certa Margery Brewes scrive una lettera d’amore al suo fidanzato John definendolo “mio amato Valentino” (nella stessa accezione con cui gli inglesi dicono ancor oggi will you be my Valentine?). Qualche anno prima, Carlo di Valois, recluso nella Torre di Londra, indirizzava a sua moglie una poesia d’amore per festeggiare – seppur a distanza – il giorno degli innamorati. Nella lettera, la fanciulla esprime dispiacere e preoccupazione per il fatto di poter disporre di una dote così bassa, ma confida che John si lasci guidare dal sentimento e accetti di sposarla nonostante tutto. La storia d’amore ha un happy ending: i due fidanzati si sposarono di lì a poco ed ebbero un figlio di nome William, che fu personaggio di spicco alla corte di Enrico VIII. Il fondo d’archivio della famiglia Paston è attualmente conservato presso la British Library.
Ipotizzare che tutto ‘sto marasma si sia sviluppato nell’arco di pochi anni a partire da un singolo verso di Chaucer, renderebbe Chaucer il più grande influencer della Storia.
E se invece la realtà fosse un’altra? Se Chaucer avesse semplicemente avuto la ventura d’essere il primo ad attestare per iscritto una tradizione già esistente? Certo, vien difficile spiegare per quale ragione al mondo la brava gente inglese avrebbe dovuto sentire l’impulso di celebrare l’amore proprio in quel giorno di metà febbraio. Ma non sempre c’è una spiegazione dietro a queste tradizioni: siamo a Carnevale, s’avvicina la primavera… insomma, perché no?
Sicuramente, non è possibile affermare che san Valentino sia stato accostato agli innamorati in virtù di una attenzione che aveva mostrato nei loro confronti in vita.
È una storiella suggestiva, ma: mi spiace, proprio no.
È solo verso la fine del ‘400, quando la tradizione dei festeggiamenti era già assai radicata, che le agiografie dedicate al santo ternano cominciano ad arricchirsi di elementi leggendari volti a tracciare un collegamento tra il vescovo e le coppie innamorate. E così, vediamo san Valentino celebrare improbabili matrimoni osteggiati dalle famiglie (o, alternativamente, opporsi a imperatori che imponevano il celibato ai soldati in servizio).
Leggende graziose ma – ripeto – prive di fondamento alcune. E, oltretutto, totalmente assurde in prospettiva storica: all’epoca in cui viveva san Valentino, la Chiesa non aveva alcun ruolo nella celebrazione dei matrimoni.
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Quindi, insomma: mi spiace, ma no.
Prima arrivano le tradizioni popolari; solamente dopo le agiografie cercano di mettersi al passo.
Long story short, come dicono gli Inglesi: “San Valentino festa degli innamorati” attraversa l’Oceano assieme ai coloni diretti verso il Nuovo Mondo. E sarà proprio l’America a far conoscere all’Europa continentale, secoli più tardi, la tradizione del Valentine’s Day. Che però – a voler ben vedere – non è una festa di origine statunitense. Né men che meno è una festa inventata di recente.
Personalmente, non amo questa ricorrenza. Anzi, dirò di più: mi genera orticaria, perché sono gravemente allergica a tutte quelle feste durante le quali vengono diffusi di anno in anno falsi storici grandi come una casa. San Valentino non ha sposato anima viva, e la storica che è in me affoga nella mestizia tutte le volte che sente ripetere ‘sta storiella. Però, vabbeh: io dico così perché sono una storica della Chiesa con il suo bagaglio di strane fissazioni. Se voi, invece, dite di detestare San Valentino perché vi scoccia l’idea dover festeggiare una “americanata” “commerciale” “fatta solo per spillarci soldi”: beh, amici, potete rallegrarvi.
Nei fatti, la festa esiste da almeno sei secoli. E voi, col vostro mazzo di rose a San Valentino, non state facendo altro se non tenere viva un’antichissima tradizione dell’Europa medievale.
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