Ci sono cliniche e centri speciali. E adesso anche le diocesi saranno dotate di un “pronto soccorso”
«Noi siamo un’officina, non siamo uno sfasciacarrozze. Chi vuole rottamare la macchina non ha bisogno di venire da noi». Così Marco Ermes Luparia, 69 anni, diacono e psicoterapeuta, descrive la sua équipe di 5 persone che da più di 20 anni accoglie e segue a Roma in un percorso di sostegno religiosi colpiti da vari problemi psicologici e comportamentali. Tra questi, quello della pedofilia.
Dal 2000 ad oggi, circa 150 preti sono stati condannati per abusi su minori in Italia. In Italia 24 centri ospitano i preti in attesa di giudizio.
Percorsi di psicoterapia
Come strumento per arginare gli abusi dei pedofili lo Stato italiano prevede sostanzialmente solo le misure detentive. Ma alcuni centri religiosi in Italia ospitano i preti accusati di pedofilia e in attesa di giudizio, e sperimentano con loro percorsi di psicoterapia con due obiettivi dichiarati: fare uscire il pedofilo da quello che Luparia definisce «prima di tutto un dramma personale, che a cascata ha portato a un dramma a 360 gradi, colpendo la persona abusata» e poi tutelare la società «per garantire un minimo di certezza della non reiterazione del reato».
Non esiste una lista ufficiale di questi centri: il più anziano è quello dei padri Venturini a Trento (Euronews, 24 gennaio).
Non parlare di “preti depravati”
«È riduttivo parlare di noi soltanto perché accogliamo preti depravati», fa sapere padre Gino Gatto, assistente generale e superiore della casa dei venturini a Zevio (Verona), un’altra oasi di tranquillità stavolta però in piena campagna dove si formano i seminaristi della congregazione.
I Venturini rifiutano queste etichette sbrigative di cliniche per preti gay o pedofili; è una questione di rispetto per chi arriva da loro per problemi meno gravi.
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Le comunità per i preti
D’altra parte, in Italia non sono gli unici ad affrontare queste situazioni. A Roma hanno sede l’associazione Ministri della misericordia e l’Oasi di Elim dell’Apostolato salvatoriano; a Collevalenza (Perugia) la Comunità della famiglia dell’Amore misericordioso ha una casa con 25 posti letto destinati a preti in crisi.
La comunità Monte Tabor di Pomezia (Roma) è stata visitata da Papa Francesco il 17 giugno dell’anno scorso nell’ambito dei Venerdì della misericordia durante il giubileo straordinario. Al santuario di Caravaggio (Bergamo) è aperto un «consultorio» per consacrati accanto al più tradizionale consultorio familiare, che è punto di riferimento per i preti in crisi delle diocesi di Milano, Crema, Cremona, Bergamo, Lodi, Brescia.
Anche in questo caso l’attività non si limita a fornire sostegno ai religiosi in difficoltà ma anche a formare laici, catechisti, direttori spirituali, psico-pedagogisti (Il Giornale, 2017).
18 anni fa
Accanto alle comunità, c’è una rete in costituzione formata dalle diocesi. Dopo 18 anni dalla proposta lanciata da don Fortunato Di Noto, fondatore e presidente dell’Associazione Meter Onlus di uno sportello per segnalare gli abusi in ogni diocesi italiana e del mondo, la Conferenza Episcopale Italiana ha deciso di varare uno sportello per le denunce di abusi in tutte le diocesi italiane.
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Un referente per ogni diocesi
La notizia è stata data da monsignor Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio nazionale della Cei per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Grazie a questo provvedimento ogni diocesi avrà un referente diocesano e collaboratore del vescovo che si occuperà di far crescere il servizio per la tutela del minore e le persone vulnerabili.
Secondo monsignor Ghizzoni, il responsabile di sportello dovrebbe essere: «meglio se laico e meglio se donna». Il servizio sarà attivo da maggio 2020.
La proposta di Don Fortunato
Meter, si legge in una nota, non può che dirsi soddisfatta di questo provvedimento adottato dai vescovi italiani; tuttavia vuole rammentare che l’intuizione profetica relativa all’istituzione di questi sportelli è datata luglio 2002, ossia diciotto anni fa. A quel tempo don Fortunato propose: «uno sportello o un servizio nelle diocesi e nelle parrocchie a disposizione dei fedeli per informarsi sul cosa fare e a chi segnalare un eventuale caso di abuso sessuale».
L’idea era proprio quella attuale: avviare con discrezione e oculatezza un intervento di tutela secondo necessità (Vita.it, 23 gennaio).
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