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“Il consenso”: vendetta postuma di Cappuccetto Rosso contro il pedofilo Matzneff

Red Riding Hood
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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 03/01/20
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Ieri è uscito in Francia il libro di Vanessa Springora “Le Consentement”, nel quale viene esposto un dettagliato memoriale della circuizione che nel 1986 il rinomato romanziere Gabriel Matzneff operò ai danni di lei (all’epoca quattordicenne). Annunciato la settimana scorsa, il testo scopre le défaillances del sistema socio-culturale occidentale degli ultimi sessant’anni, ne evidenzia le contraddizioni e potrebbe spingere il nostro angolo di mondo a uno stadio inopinatamente maturo del “#MeToo”.

Si vede qui come i ragazzini
– soprattutto le ragazzine
belle, ben fatte e gentili –
fanno malissimo ad ascoltare ogni sorta di gente,
e che non è cosa strana
se ce ne sono tante che il Lupo mangia.

Dico “il Lupo” perché non tutti i Lupi
sono della medesima genia;
ce ne sono di genio accorto
– senza strepito, senza parole ed espressioni aspre –,
che discretamente, con dolcezza e tatto,
seguono le giovani Signorine
fin dentro le case, fin nelle stradine;
ma chi non sa – ahinoi – che quei Lupi deliziosi
sono i più pericolosi fra tutti i Lupi?

Già, chi non lo sa? Se qualcuno non sa rispondere a questa domanda con cui Perrault chiude la morale della sua versione di Cappuccetto Rosso è solo perché la domanda non attende alcuna risposta. Né il suo Cappuccetto Rosso attende salvatori: la bimba è morta, al seguito della nonna. «Fate tesoro della sua disavventura – è il senso della più antica versione scritta e nota del celebre racconto – e imparate a non fidarvi dei pedofili».

L’elogio di un “Lupo delizioso”

Proprio ieri ci è toccato leggere a firma di Giuliano Ferrara, su Il Foglio, uno sperticato elogio delle virtù di Gabriel Matzneff, dalla settimana scorsa tornato nell’occhio del ciclone per la sua lucida e pluridecennale e impunita pedofilia (teorica e pratica):

Ha studiato nei Cinquanta i pagani della Roma antica, i poeti, i filosofi, i saggisti stoici, ha coltivato tra i moderni Byron e Schopenhauer e Nietzsche e Lev Chestov, fu gran lettore e adoratore di Casanova, da sempre legge con passione Venezia, Roma, Napoli, e le altre meglio beltà d’Italia, paese che adora e di cui conosce la lingua, ha fatto il soldato in Algeria e non era un assertore dell’Algerie Française, è romanziere e poeta e geografo del Faubourg Saint Germain, cristiano di confessione ortodossa, beghino direi ma senza illusioni, gli bastano la fede la liturgia e il senso del peccato, frequenta la piccolissima parrocchia della rue Saint Victor a due passi dal buco in cui vive in sobria e elegante povertà sotto un ritratto dello zar Nicola II e a un tiro di schioppo dalla Salle de la Mutualité, ha un carattere gentile, delicato, incline all’amicizia discreta, è uno degli uomini più belli del mondo, ha indossato per Lagerfeld, ci tiene alla sua sveltesse e a una vita pacifica, devotamente timida, dedicata al lusso intellettuale, al giornalismo tribunizio e anche politico mai banale, e al piacere. 

Ritratto a dir poco elogiativo di questo “Lupo delizioso” – un “ritratto alla Dorian Gray” –, dal quale non si è lasciata incantare Costanza Miriano, la quale anzi ha denunciato in un cotanto esprit de finesse un’aggravante, semmai, e non un’attenuante, al vizio che certo mondo misura con due pesi e due misure – stigma virulento se si tratta di un ecclesiastico o di un poveraccio, “aura da spirito libero e ribelle” se si tratta di un intellò –:

Volevo dire che per me la classe e la cultura e la raffinatezza non sono attenuanti, bensì aggravanti. E comunque, se anche fosse la persona migliore del mondo non me ne importerebbe niente, perché non è di lui che stiamo parlando. Quando ci sono di mezzo dei minori, non bisogna parlare dei grandi, dei loro desideri, ma di quello che questi comportano per i piccoli.

La pedofilia è un abuso sempre, anche quando c’è un apparente consenso, perché c’è un’età in cui parlare di consenso è una follia. Puoi manipolare un ragazzino in infiniti modi, e chi ha a che fare con bambini e adolescenti lo sa. È una violenza terribile che lascia tracce profondissime, mai completamente cancellabili. Ci sarà sempre una cicatrice con cui fare i conti.

Non lasciamo cadere anche l’ultimo confine nel sentire comune, dopo questo sarà la barbarie assoluta.

Mi ha molto colpito che Le consentement, il libro-choc di Vanessa Springora (pubblicato appunto ieri da Grasset), prenda il via con un prologo dedicato ai “racconti per bambini”, definiti nella prima riga del libro “fonti di sapienza”: l’autrice (classe 1972) torna dal bel mezzo del suo decimo lustro di vita a confrontarsi con quelle “leggende eterne” nel raccontare la storia della seduzione operata da Gabriel Matzeneff ai propri danni nel 1986:

Dopo tanti anni, giro e rigiro nella mia gabbia, i miei sogni sono popolati di omicidio e di vendetta. Fino al giorno in cui finalmente la soluzione si presenta ai miei occhi in piena evidenza: prendere il cacciatore nella sua stessa trappola – rinchiuderlo in un libro.

Vanessa Springora, Le Consentement, 5

Un’autocritica personale e sociale al tempo del #MeToo

Il libro scorre veloce in circa 150 pagine: già sfogliando l’indice, e trovandolo densissimo, si capisce che la scrittura è stata pianificata perché una prima persona parli a molte prime persone di una e una sola storia personale – la Springora sembra portare a compimento un diario adolescenziale (del quale nel libro effettivamente si parla) che era come rimasto interrotto per lunghi anni. I capitoli sono sei, coi titoli che sembrano in qualche modo richiamarsi due a due:

  1. La bambina
  2. La preda
  3. L’impresa
  4. Mollare la presa
  5. L’impronta
  6. Scrivere

Il tutto seguito da un post scriptum essenziale:

Avvertimento al lettore

Tra le linee, e talvolta nel modo più diretto e più crudo, alcune pagine dei libri di G.M. costituiscono un’apologia esplicita dell’attentato sessuale sul minore. La letteratura si colloca al di sopra di ogni giudizio morale, ma spetta a noi – in quanto editori – ricordare che la sessualità di un adulto con una persona che non ha raggiunto la maggiore età sessuale è un atto perseguibile e punibile secondo la legge.

Ecco, non è difficile: anch’io avrei potuto scrivere queste parole.

Ivi, 136

Stefano Montefiori ha posto sul Corriere il tema “come mai questo pedofilo impenitente e lucido non ha mai subito conseguenze per i suoi atti, mentre sembra che solo oggi tutti si accorgano di lui?”:

A parità di azioni, un sottoproletario di campagna sarebbe stato giudicato criminale e sbattuto in carcere; Matzneff invece, amico di ministri e colleghi scrittori, è stato trattato da inguaribile libertino.

Se quanto all’impunità del pedofilo Montefiori ritiene che sia dunque questione di ceto e di classe, diversa sarebbe la ragione per la eco suscitata dal libro della Springora: «Di nuovo –dice –, c’è il libro post #MeToo». Senza voler affatto sminuire l’importanza della temperie culturale sprigionatasi dal caso Weinstein, mi sembra altrettanto doveroso sottolineare che il profilo assunto dall’autrice non si è conformato a quello delle attrici abusate da potenti patriarchi dello showbiz: il titolo stesso del libro, anzi, pone al centro del dibattito un tema molto più vasto e trasversale – il consenso –, che gioca un ruolo cardinale nell’etica della laicissima Francia e (mutatis mutandis) in tutto l’Occidente liberale.

Una violenza fisica lascia un ricordo contro il quale ribellarsi. È atroce, ma solido.

L’abuso sessuale, al contrario, si presenta in modo insidioso e sfumato, senza che se ne abbia chiara coscienza. Del resto, non si parla mai di “abuso sessuale” tra adulti: di abuso di “debolezza” sì, ad esempio verso una persona anziana, una persona detta vulnerabile. La vulnerabilità è precisamente quell’infimo interstizio mediante il quale profili psicologici come quello di G. [l’autrice non nomina mai per intero il nome dell’aguzzino] possono insinuarsi. È l’elemento che rende così sfuggente la nozione di consenso. Molto spesso, nei casi di abuso sessuale o di abuso di debolezza si ha a che fare con una medesima negazione della realtà: il rifiuto di considerarsi come una vittima. E in effetti come si può ammettere di essere stati abusati, quando non si può negare di essere stati consenzienti? Quando, nella fattispecie, si è sentito del desiderio per quell’adulto che s’è affrettato ad approfittarne? Anch’io mi sarei dibattuta per anni con la categoria di vittima, incapace di riconoscermi tale.

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Non posso fare a meno di ricordare come l’obiezione costituisca il cuore teoretico del fortunato libro di Thérèse Hargot (Una gioventù sessualmente liberata – o quasi…), autrice agevolata dalla formazione filosofica personalista nell’argomentare come la capacità di porre liberamente un atto umano abbia dei prerequisiti (e neppure banali): se questi debbono presumersi dati nell’età adulta (pena l’invalidazione virtuale di tutta intera la vita civile), gli stessi debbono tuzioristicamente presumersi assenti in ogni tappa della formazione che precede quell’età, tanto più considerando che ogni declinazione di quella delicata fase della vita è cruciale per l’impostazione della personalità. Così Jean Duchestne ha sinteticamente riassunto quello che invece è il quadro francese:

L’età di accesso alla maturità sembrerebbe una cosa difficile da fissare uniformemente per tutti. In Francia essa è stata recentemente abbassata a quindici anni (cosa che potrà sollevare Matzneff da buona parte delle sue responsabilità), e l’egualitarismo dominante la applica invariabilmente ai ragazzi come alle ragazze – a prescindere che il “partner” maggiore sia di un sesso differente [da quello del minore, N.d.R.] o meno. Nessuna età minima, invece, è richiesta se i due individui sono entrambi minori. La legge prevede inoltre che la soglia sia portata a diciott’anni se l’adulto è una «persona avente autorità» sull’adolescente: familiare o educatore (sappiamo che la stragrande maggioranza dei crimini di pedofilia è commessa nelle famiglie, e che parroci e religiosi/e sono divenuti rarissimi nella formazione dei giovani).

Le Consentement ha questo pregio, fra gli altri: ricostruisce (con tutta la franca onestà che uno psicanalista auspicherebbe in una paziente) il prologo che ha preparato lo svolgimento del dramma. Senza pose autoassolutorie né fronzoli vittimistici, Vanessa Springora ripercorre la propria vita infantile «nell’appartamento in cui ho brevemente conosciuto l’illusione di un’unità famigliare» (p. 8) e i traumi lasciati in quel tratto di vita dal padre, «uomo detto “caratteriale”» che sistematicamente scagliava insulti e stoviglie sulla madre – non solo per gelosia, ma pure per vera e propria mania legata alla disposizione degli oggetti.

L’autrice ricorda cosa seguì alla fuga della madre da quell’uomo violento e assente:

Lei e io formavamo ormai una coppia fusionale. Nessun uomo sarebbe più venuto a immischiarsi nella nostra intimità.

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L’illusione della libertà e della sussistenza del “consenso”

C’è poi lo spazio per la menzione dell’incontro col depravato esibizionista (mentre lei stava pattinando con un’amichetta) e – molto più devastante – il racconto delle cene col padre, in costosi ristoranti, durante le quali sotto gli occhi della bimba il genitore infilava banconote di grosso taglio nel discinto costume delle immancabili danzatrici del ventre («il momento che mi riempiva gli occhi di vergogna» [p. 16]). E poi le curiosità sessuali precoci con gli amici, in quei giochi «ancora abbastanza casti» (p. 19), prima della sintesi:

Un padre peggio che assente che ha lasciato nella mia esistenza un vuoto insondabile. Un gusto pronunciato per la lettura. Una certa precocità sessuale. E soprattutto, un immenso bisogno di essere guardata.

Tutte le condizioni si trovano ora riunite.

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Il primo incontro col “Lupo delizioso” è descritto con una dovizia di dettagli che non tracima nel pruriginoso ma è composta con un fraseggio sensuale e inquietante al contempo:

La sua voce leggermente sibilante, né maschile né femminile, s’insinua in me come un incantesimo, un sortilegio.

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La ragazzina dal vuoto siderale nel cuore, che nessun ragazzo guardava, si trovava all’improvviso bella e desiderabile: il grande scrittore le dava del voi, sembrava aver ben individuato le tare affettive della giovanissima preda, la quale sentiva montare in sé l’imperativo di «non avere l’aria di un’idiota – soprattutto non di una mocciosa che non sa niente della vita» (p. 28). Quando per la prima volta il Lupo la portò nella sua tana, egli ebbe perfino l’accortezza di non stare dietro di lei sulle lunghe rampe verso il sesto piano, ma di passarle davanti:

senza dubbio perché non mi sentissi in trappola, perché potessi ancora credere che mi fosse possibile tornare indietro.

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Da un giorno all’altro, il brutto anatroccolo s’era trasformato «in una dea» (p. 32), e mano a mano che la descrizione avanza verso gli atti di vera e propria pedofilia fisica il linguaggio della Springora si ammanta (pudore? sublimazione? …?) di riferimenti religiosi. Punto d’onore del pedofilo (così signorile da vantarsene con ogni preda) era che mai una fanciulla aveva avvertito dolore durante la deflorazione, e poiché la verginità della bambina opponeva resistenza fisica laddove quella psichica era stata disinnescata, a Gabriel Matzneff bastò (gli sarebbe bastato per un bel po’) violarla prima contro natura:

Come prima di varcare la soglia di una chiesa ci si deve segnare a colpi d’acqua benedetta, possedere corpo e anima una bambina non è cosa che si faccia senza un certo senso del sacro, vale a dire senza un immutabile rituale. Una sodomia ha le sue regole, si prepara con applicazione, religiosamente.

[…]

Ecco come perdo una prima parte della mia verginità. «Come un ragazzino», mormora lui nel mio orecchio.

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AAA: aspirante Cacciatore cercasi

Di lì a poco un’infezione da streptococco avrebbe costretto la ragazzina a una dolorante immobilità (i sintomi erano quelli di un reumatismo articolare acuto), e su quel palcoscenico clinico si sarebbe avvicendata una sfilza di possibili candidati a interpretare il ruolo del cacciatore nel racconto. Ecco come andarono i loro “provini”:

  • Primo venne lo psicanalista, che gongolò nello sciorinare alla sventurata un’improbabile etimologia psicosomatica della parola “ginocchia” (genoux in francese) dal quale il professorone avrebbe ricavato «un problema di “articolazione” tra l’“io” e il “noi”» (p. 44).
  • Poi venne l’amante della madre, che si scusò per essere stato assente nei suoi confronti e propose un nuovo inizio; incidentalmente le disse che comunque stava per lasciare la madre e le stampò un bacio sulla bocca, prima di sparire nel nulla (p. 46).
  • Poi venne il padre, che dopo aver appreso della relazione della figlia con Matzeneff scaraventò mobili contro le pareti della stanza, gridando che non c’era da stupirsi che fosse venuta su così, essendo figlia di sua madre (p. 47). Commentando quel momento a distanza di anni, la scrittrice chiosa:

Se quella dichiarazione non è quel che gli psicanalisti chiamano una “richiesta d’aiuto”, allora io non so che cosa lo sia. Inutile dire che mio padre non avrebbe mai denunciato G., e che io non avrei più sentito parlare di lui.

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  • Infine venne il ginecologo, che chiese i dettagli della sua vita sessuale e – constatato previo esame medico di trovarsi a fronte della «Vergine incarnata» [sic!], da quanto era intatto il suo imene – non trovò di meglio che sostituirsi al pedofilo:

Non so se in questo caso si possa parlare di stupro medico o di atto barbaro. Sia come sia, è stato sotto il colpo (abile e indolore) di un bisturi in acciaio inox che sono finalmente diventata una donna.

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Niente cacciatori in vista, dunque: del resto nella versione di Perrault gli agenti venatorî non sono evocati se non genericamente e in modo ipotetico. Aveva almeno una madre, questa Cappuccetto?

Da principio, le circostanze erano lungi dall’incantare mia madre. Passata la sorpresa, lo choc, consultò le sue amiche e si consigliò con loro. C’è da credere che nessuna si sia mostrata particolarmente preoccupata. Poco a poco, davanti alla mia determinazione, ella finì per accettare i fatti così come si presentavano. Forse mi credeva più forte, più matura di quanto fossi. Forse era troppo sola per reagire altrimenti. Forse anch’ella avrebbe avuto bisogno di un uomo al suo fianco, un padre per sua figlia, che si ergesse contro quest’anomalia, quest’aberrazione, questa… cosa. Qualcuno che prendesse in mano la situazione.

Ci sarebbero voluti anche un ambiente culturale e un’epoca meno compiacenti.

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Pedofilia e intelligencija: un rapporto indecidibilmente ambiguo

A tal proposito, Vanessa Springora ha compilato un serrato compendio degli appelli allo sdoganamento della pedofilia intercorsi in Francia mentre lei viveva i primi anni della sua vita:

Nel 1977, una lettera aperta a favore della depenalizzazione delle relazioni sessuali tra minori e adulti, intitolata À propos d’un proces”, fu pubblicata su Le Monde, firmata e sostenuta da eminenti intellettuali, psicanalisti e filosofi di fama. Tra gli altri vi si leggono i nomi di Roland Barthes, Gilles Deleuze, Simone de Beauvoir, Jean-Paul Sartre, André Glucksmann, Louis Aragon… […] | La petizione era firmata anche da G.M. Si sarebbe dovuto attendere il 2013 perché lo stesso rivelasse di esserne stato l’iniziatore (ne è pure il redattore), e di non aver ricevuto all’epoca se non pochissimi rifiuti nella richiesta di firme (tra cui quelli, notevoli, di Marguerite Duras, Hélène Cixous e… Michel Foucault, che pure non passa inosservato quando c’è da denunciare una qualche forma di repressione. […] Un’altra petizione sarebbe comparsa, stavolta su Libération, nel 1979, in sostegno a un certo Gérard R., accusato di vivere con delle ragazzine dai sei ai dodici anni: firmata anch’essa da importanti personalità del mondo letterario.

Trent’anni più tardi, tutti i giornali che avevano accettato di divulgare quelle più che discutibili posizioni pubblicarono, uno dopo l’altro, il loro mea culpa. Un media non è mai se non il riflesso della sua epoca – avrebbero argomentato.

Perché tutti quegli intellettuali di sinistra hanno difeso con tanto ardore delle posizioni che oggi destano tanto scalpore, in particolare l’alleggerimento del Codice Penale in merito alle relazioni sessuali tra adulti e minori, così come l’abolizione della maggiore età sessuale?

Il fatto è che negli anni Settanta, nel nome della liberazione dei costumi e della rivoluzione sessuale, ci si sentiva in dovere di difendere il libero godimento di tutti i corpi. Impedire la sessualità giovanile rilevava dunque di oppressione sociale blindare la sessualità tra individui della medesima classe d’età costituirebbe una forma di segregazione.

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Jacques Dugué s'explique, in Libération 21/01/1979

Insomma, visto che di cacciatori o aspiranti tali non si vedeva neanche l’ombra (aveva torto, Benedetto XVI, quanto al concorso culturale del Sessantotto?), la madre di Cappuccetto andò a patteggiare col Lupo:

[…] il suo intervento si limitò a stringere un patto con G. Egli doveva prestare giuramento di non farmi mai soffrire. Fu lui a raccontarmelo un giorno. M’immagino la scena! Gli occhi negli occhi, una cosa solenne: «Dite “lo giuro!”».

Talvolta, lo invitava a cena nel nostro appartamentino nel sottotetto. A tavola, tutti e tre attorno a un cosciotto d’agnello su letto di fagiolini, sembravamo quasi una bella famigliola papà-mamma-figlia, finalmente riunita, con me splendente al centro – la santa trinità – di nuovo insieme.

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E la nonna? Non c’era almeno una nonna, nella storia?

«I tuoi nonni non dovranno mai sapere, tesoro. Non potrebbero comprendere»: me la buttò lì mia madre, un giorno, in mezzo a una conversazione.

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Due domande e un augurio per rafforzare la coscienza

Cappuccetto Rosso doveva morire, insomma, ed è pura vanità sperare in un riscatto, in una redenzione: del resto non ci sono pochi antropologi a ritenere che l’intervento salvifico del Cacciatore sarebbe stata un’invenzione posteriore dei Grimm sulla cruda radice di Perrault (a mio avviso si sbagliano, ma questa è un’altra storia…), e questa è la Francia della liberté, certo non la Germania del Recht. Giuliano Ferrara ha chiesto che non ci si abbandoni all’isteria, nel condannare Matzeneff. Sta bene, l’isteria giova a poco in ogni caso (e poi è sintomatica di ambienti in cui scarseggiano i cacciatori, cioè i padri – come in effetti è la nostra società). Sarebbe tanto meglio invece porsi seriamente a giudicare tutta la nostra epoca, che per quarant’anni almeno ha lasciato che un Lupo delizioso menasse strage e vanto d’innocenze rapite, impunito e anzi celebrato. Perché?

  1. La colpa di criminali come Bernard Preynat o Theodore McCarrick sarebbe quella di essere preti? O di «non aver saputo raccontare» (come con giusto sarcasmo è stato scritto)?
  2. E più fondamentalmente, è davvero così fatale e ineluttabile, lo “spirito dei tempi”? Le Monde e Libération possono aver propagandato la pedofilia e aver successivamente ritrattato quelle posizioni senza trarne una lezione generale (utile magari a giudicare, che so…, il c.d. “mariage pour tous” e l’utero in affitto)? Veramente allo Zeitgeist non si potrebbe opporre la resistenza della coscienza retta?

Mi sembra adatta a terminare questa pagina (nella quale ho dovuto riportare cose orrende, appena stemperate) la parte finale dell’articolo di Erwan Le Morhedec con cui La Vie augurava un buon 2020 ai suoi lettori:

La coscienza bussa alle nostre porte in modo insistente e importuno, come un segno dei tempi, attraverso molte testimonianze. Lo scorso 24 dicembre, nella trasmissione “28 Minuti” di Élisabeth Quin, su Arte, è risuonata la parola di Marthe Hoffnung Cohn, spia ebrea nella Germania nazista, la quale non aveva che un consiglio da dare ai giovani: «Non accettate mai un ordine che non corrisponda alla vostra coscienza». Questa parola colpisce tanto più fortemente in quanto il 2019 è stato un anno passato a scoprire in seno alla Chiesa cattolica [specialmente in Francia, N.d.R.] il calpestio delle coscienze delle vittime e l’assopimento di quelle degli altri, nell’accecamento, nella negazione. Eppure, nel nome della coscienza, essa sa canonizzare Thomas More e John Henry Newman, nonché beatificare Jägerstätter – la Chiesa!

E allora continuiamo a leggere, ad ascoltare, a discernere, a formarci – anche quando ciò sembrerebbe vano – per rischiarare la coscienza. Armiamoci. Perché il giorno in cui il dilemma verrà a trovarci – nelle nostre vite, nelle strade, alle urne o durante una trasmissione radiotelevisiva – abbiamo una chance di offrire la testimonianza di offrire la testimonianza di coscienze pacifiche e risolute.

Che questo 2020 sia dunque l’anno della libertà: libertà interiore, libertà di coscienza!

Si parla ai francesi e ai cattolici, ma sono argomenti che potrebbero dire qualcosa pure ai Giuliano Ferrara.