Gli ultimi dati: la diminuzione di donne in età fertile rappresenta nel nostro Paese una delle maggiori cause del calo delle nascite Il nostro paese è l’ultimo in Europa per nascite ogni mille donne, e ultimo per l’età delle puerpere al primo figlio: circa 32 anni, con un aumento di 2 anni nell’ultimo ventennio. Siamo costretti a registrare una diminuzione di 146.000 nascite rispetto ad 11 anni fa. Nel 2018 sono state appena 449mila, circa 9mila in meno rispetto al precedente minimo del 2017(Corriere.it).
Nel 2019 dovrebbero nascere 8000 bambini in meno rispetto al 2018
La fecondità misurata attraverso le varie generazioni femminili è calata progressivamente: il numero medio di figli risulta invariato rispetto all’anno precedente (1,32 figli), ma l’Istat sottolinea come la fecondità tra le donne nate nel 1940 e quelle del 1968 sia crollata dal 2,16 a 1,53 figli. La provincia di Bolzano si conferma nel 2018 l’area più prolifica (1,76 figli per donna), mentre in Sardegna si assiste al dato più basso (1,06). Il trend della denatalità continua inesorabilmente ad avanzare: l’Istituto di Statistica evidenzia come le nascite continuano a calare di circa il 2%, e nel 2019 dovrebbero nascere ottomila bambini in meno rispetto al2018 (Ibidem).
Strategie (?) per contrastare il fenomeno
Le ricette proposte per contrastare il fenomeno sono le più diverse: dall’incrementare gli asili nido per permettere ai genitori di lasciare i figli per andare al lavoro, a chi avversa il lavoro femminile in quanto scoraggerebbe la riproduzione, anche se poi le scandinave, al primo posto nel Vecchio Continente per tasso di occupazione, fanno anche più figli (Corriere). In Italia l’occupazione femminile, sempre bassa, è cresciuta del 3,9% nell’ultimo decennio, ed esiste una grande variabilità geografica nella presenza di asili nido e nella possibilità per una donna di trovare lavoro. Le differenze in questi due fattori, ritenuti da molti strategici per una politica di inversione del trend della denatalità, spiegano la dinamica delle nascite, per cui un’azione su di essi potrebbe rappresentare la ricetta giusta su cui puntare con decisione?
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In Italia nessuna relazione positiva fra l’offerta di asili nido e l’evoluzione delle nascite
I dati dell’ultimo decennio relativi a 103 province dimostrano che in Italia non vi è alcuna relazione positiva fra l’offerta di asili nido ed evoluzione delle nascite. In 57 province la presenza di queste strutture è superiore alla media nostrana di 24 posti per cento bambini, ma nonostante ciò negli ultimi 10 anni 35 di questi capoluoghi virtuosi hanno registrato un crollo delle nascite ancora più grave della media nazionale di meno 21%. Tra queste province è rappresentata l’Italia più ricca: Ancona, Aosta, Bergamo, Cremona, Lecco, Mantova, Padova, Pavia, Torino, Udine, Venezia, Vicenza. Nemmeno ad un maggior tasso di occupazione femminile si lega, come nel Nord-Europa, un andamento migliore della procreazione: delle 49 province in cui l’occupazione sale più della media del Paese, ben 23 fanno registrare un crollo delle nascite superiore al dato nazionale (Ibidem).
Le 35 aree con più nidi presentano una percentuale di donne in età fertile molto bassa
Dove è la chiave di lettura di questo “mistero” italiano? Esiste un elemento che accomuna queste aree in maggiore discesa demografica, anche se teoricamente più virtuose per presenza di condizioni favorevoli alla natalità? Fra le 35 aree con più nidi, ma diminuzione delle nascite superiore alla media, quasi tutte presentano una percentuale di donne in età fertile – tecnicamente fra i 15 e i 49 anni – crollata più del resto del Paese negli ultimi anni. La stessa situazione si registra nelle 23 province dove il lavoro cresce mediamente di più, contestualmente ad un più spiccato calo delle nascite: in quasi tutte il numero delle donne in età riproduttiva sta diminuendo maggiormente che nel resto d’Italia (Corriere).
Un milione di donne in età procreativa in meno rispetto al 2008
Questo vuol dire che una delle maggiori cause della nostra denatalità risiede “banalmente” nella ridotta percentuale di donne in età di procreare: quasi un milione in meno rispetto al 2008 per cui, anche di fronte a parità di propensione procreativa rispetto a 10 anni fa (tutta da verificare), il risultato non potrebbe essere che quello con cui oggi siamo costretti a confrontarci (Ibidem). La prima recessione di natalità occorsa fra il 1975 e 1995 sta portando ad una diminuzione di donne fertili, e questo accelera una seconda flessione e, in prospettiva, rischia di innescare a catena criticità ancora più gravi.
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“La finestra biologica”
Questa considerazione non significa che non siano necessari più asili nido, maggiori possibilità per le coppie di fare affidamento su un doppio reddito, (sarebbe bello un unico reddito ma molto più sostanzioso per permettere alle donne che lo desiderano di occuparsi esclusivamente dei figli) o migliori forme di sostegno ed assistenza alle famiglie, ma ci mette di fronte al problema della cosiddetta “finestra biologica” con cui dobbiamo e dovremo sempre più fare i conti.