Visioni, locuzioni interiori, dialoghi con Gesù hanno generato una produzione di 13mila pagine. Ma il Sant’Uffizio le ha creato diversi problemi. Nonostante il giudizio positivo del Papa
Oltre 13.000 pagine, decine di testi tra cui l’Autobiografia e l’Evangelo, ben 11.000 pagine dedicate a raccontare la vita di Gesù, così come le era stata dettata da una voce interiore che solo lei percepiva.
Eppure ad oggi la mistica di origini casertane Maria Valtorta non ha ottenuto alcun riconoscimento ufficiale dalla Chiesa, né per lei si è aperta una causa di beatificazione o un’inchiesta diocesana che porti in quella direzione.
La lettera alla amica monaca
Non si sa con precisione quando nacque la necessità dell’approvazione da parte della Chiesa o di un vescovo, ma è certo che questa tensione turbò almeno gli ultimi 16 anni della vita di Valtorta, con un continuo tormento.
Il primo avviso registrato è in una lettera a madre Teresa Maria di San Giuseppe (1900-1985) una monaca carmelitana di clausura, a amica della mistca: “Guarisca presto!… E presto io possa dirle: ‘Sorella, la parola del Signore può essere letta perché approvata’”.
La locuzione interiore
Anche il Cielo intervenne con decisione, dettandole il 2 giugno 1946: “Cercate una approvazione che difenda e assicuri l’Opera. Cercate subito e non desistete finché trovate”.
Intanto Padre Romualdo M. Migliorini (1884-1953) dell’Ordine dei Servi di Maria, direttore spirituale di Maria Valtorta dal 1942 al 1946, pensava anche lui a contattare qualcuno importante per la Chiesa.
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L’incontro con Pio XII
Con lui, anche Padre Corrado Berti, sempre dello stesso ordine, di cui faceva parte come terziaria anche la mistica, continuò a operare per arrivare al papa, fino ad avere successo:
“Era il 26 febbraio 1948 quando Pio XII ricevette in udienza P. Romualdo M. Migliorini e P. Corrado M. Berti accompagnati dal loro Priore, il P. Andrea M. Cecchin. Sarebbe toccato a Padre Migliorini esporre la petizione, ma l’emozione lo costrinse a cedere la parola al giovane e spigliato confratello. Il Papa mostrò di aver preso conoscenza dell’Opera e dette un consiglio lapidario: ‘Pubblicatela così come è’. Gli venne sottoposto il testo di una prefazione che parlava di fenomeno soprannaturale, ma Egli lo disapprovò aggiungendo: ‘Chi legge quest’opera capirà’. Il suo parere, autorevole al sommo, era tuttavia ufficioso e privato”.
Assenza di documenti ufficiali
Purtroppo questo è tutto quello che si sa. A voce si dice che papa Pacelli fu raggiunto su una scala del palazzo vaticano, dove avvenne il breve dialogo sopra riportato. Pio XII era probabilmente favorevole, ma da esperto conoscitore della Curia sapeva di doversi muovere in modo molto delicato e rispettoso dei vari incarichi: per questo non poté fare di più. Purtroppo nessuna relazione scritta fu fatta di quell’incontro dai tre che vi parteciparono.
Il vescovo
Maria Valtorta comunque continuò a chiedere un imprimatur su quanto era già stato scritto. E l’imprimatur arrivò! Una nota redazionale informa che: “Barneschi Costantino M. Attilio, sacerdote dell’Ordine dei Servi di Maria […] Nel 1948, quando era Vescovo titolare di Tagaste e Vicario Apostolico del Swaziland, concesse l’imprimatur all’Opera di Maria Valtorta, che la costituenda casa editrice ‘Parole di Vita’ avrebbe dovuto pubblicare in Italia a nome di quel Vicariato Apostolico”.
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Il Sant’Uffizio
Ma era troppo facile. Maria Valtorta ha raccontato:
“Come già si sa, il 25 ottobre [1948] il Santo Padre seguendo la via gerarchica aveva consigliato una più sicura approvazione per salvaguardare l’opera da insidie future. Rivoltisi perciò a S. E. il Vescovo di Sora costui esaminò e si disse disposto ad approvare. Ma il 29 Novembre [1948], quando le rotative stavano per mettersi in moto, il Sant’Uffizio fece chiamare il P. Procuratore Generale dell’Ordine Servi di Maria e gli intimò di dire a P. B. e P. M. [Padre Berti e Padre Migliorini] di non occuparsi più dell’opera se non volevano essere colpiti dai decreti del Sant’Uffizio per avere abusivamente carpito (?) l’approvazione di Monsignor Barneschi contrariamente alle norme del Diritto Canonico, perché detto monsignore non è il vescovo della casa editrice né dell’Autore, e soprattutto perché: ‘È il vescovo degli zulù’ (O che non hanno l’anima gli zulù? e un vescovo italiano, solo perché è in Africa, è meno vescovo di uno che dimora in Italia?). P. B. [Padre Berti] si precipitò da P. Bea e dai Monsignori Carinci e Fontevecchia, nonché da altri monsignori e da altri P. Gesuiti, ed essi risposero concordemente: ‘An- date avanti lo stesso. Non possono farvi nulla’”.
Il piano di Padre Berti
Verranno fatti tentativi con i vescovi di Como, Varese e Vicenza, ma niente andò a buon fine.
Il 6 aprile 1949 scrivendo a madre Teresa Maria in veste di sua strettissima confidente – oltretutto riservatissima, dunque con totale fiducia – Maria le fece sapere di una iniziativa di padre Berti:
Il piano sarebbe stato quello di stampare in Italia senza dare nell’occhio con una casa editrice nuova, poi andare dal card. Francis Joseph Spellman (1889-1967), evidentemente percepito come favorevole e capace di imporsi in Vaticano, quindi riportare in Italia l’imprimatur e iniziare una nuova stampa e la vendita.
La prima stampa
Ci si accordò con una tipografia nota in Vaticano perché, tra le altre cose, stampava “un voluminoso periodico semestrale, intitolato Archivum historicum Societatis Jesu”, per conto dell’Istituto Storico della Compagnia di Gesù.
Tra il 1956 e il 1959 furono quindi editi i quattro voluminosi libri, con il solo intoppo nel titolo del primo volume. Il nome scelto per l’opera fu Il Poema di Gesù.
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La “condanna” de L’Osservatore
Il 16 dicembre 1959 i due primi titoli di Maria Valtorta, pubblicati anonimi, furono messi all’indice dei libri proibiti; il 5 gennaio 1960 sull’Osservatore Romano fu pubblicata la notifica e un articolo non firmato che ne spiegava il perché; l’articolo cade sotto la responsabilità del direttore del giornale vaticano, esprimendo in una colonna a destra della prima pagina le accuse principali:
“Una vita di Gesù malamente romanzata […] una lunga e prolissa vita di Gesù […] Alcune pagine, poi, sono piuttosto scabrose.
[…] potrebbe facilmente pervenire nelle mani delle religiose e delle alunne dei loro collegi […] gli specialisti di studi biblici vi troveranno certamente molti svarioni storici, geografici e simili […] avrebbe meritato una condanna anche se si fosse trattato soltanto di un romanzo, se non altro per motivi di irriverenza”.
L’indice dei libri proibiti
Il passo della Santa Sede fu molto grave e sembrò tarpare le ali agli scritti valtortiani. Ancora oggi che l’indice dei libri proibiti non esiste più, essendo stato abolito il 4 febbraio 1966, c’è ancora chi ripete l’errato mantra: “Maria Valtorta è stata condannata”. La frase e il concetto che esprime sono sbagliati per vari motivi; anzitutto, solo le prime due edizioni (1956-1959 e 1961) sono state inserite nell’indice dei libri proibiti, ma la scrittrice Maria Valtorta non è stata mai condannata. A rigor di giustizia poi, gli altri testi non sono mai stati messi all’indice.
https://www.youtube.com/watch?v=jcdZ_c0FkL0
Gli errori
Il vero motivo per cui Il Poema dell’Uomo-Dio è stato messo all’indice non è spiegato nei dettagli nel decreto. L’articolo anonimo suppone che esistano “molti svarioni storici, geografici e simili”, ma nessun addebito dottrinale viene contestato. In più, oggi sappiamo che di errori non ce ne sono: né storici, né geografici e neppure archeologici.
Sono passati decenni da quel gennaio 1960, ma ora, a partire dal 2012, è stato dimostrato che nessuna delle accuse mosse dall’articolo sono consistenti. Quindi Maria Valtorta non ha sbagliato, a differenza del giudizio sommario dell’anonimo articolista dell’“Osservatore Romano”.
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