È stata avviata un’indagine per capire se all’origine di questo dato allarmante ci sia la pratica dell’aborto selettivo (illegale dal 1994). Le associazioni umanitarie ribadiscono all’unisono che non può essere una coincidenza.La notizia gira sui quotidiani di tutto il mondo, un po’ nascosta ma c’è: è stata aperta un’indagine per verificare cosa ci sia dietro il dato allarmante che arriva dal distretto di Uttarkashi, nel Nord Dell’India, in base a cui negli ultimi 3 mesi sarebbero nati 216 bambini ma nessuna femmina. Lo spettro dell’aborto selettivo si affaccia prepotente. Sono stati incaricati 25 investigatori per verificare se negli ospedali e nei villaggi in questione si sia praticata una selezione di genere, che la legge indiana ha ufficialmente bandito dal 1994.
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In merito alla notizia si sono formati due fronti opposti. Le associazioni umanitarie e le attiviste indiane per i diritti delle donne tengono alta l’allerta sugli infantici e aborti mirati a sopprimere le bambine, ricordando i dati statistici tuttora sconcertanti: nel 2001 nacquero 927 femmine e 1000 maschi, nel 2011 il divario aumentò ancora documentando 918 femmine nate a fronte di 1000 maschi. Per chi sia a digiuno di statistiche in merito, la differenza tra maschi e femmine è una delle più ampie al mondo, segno che qualcosa di non strettamente naturale ha inciso sulle nascite. Commentando questo dato generale e quello più recente dei villaggi di Uttarkashi, l’attivista Kalpana Thakur ha dichiarato:
Non può essere una coincidenza. Il dato indica chiaramente che in quel distretto è in atto il feticidio femminile. Il Governo e l’amministrazione non stanno facendo nulla. (da ANI)
A queste accuse tonanti, replicano i portavoce dell’ammistrazione locale offrendo un punto di vista opposto sulla vicenda. All’origine della notizia ribattuta sulle testate di tutto il mondo ci sarebbe una lettura malinterpretata delle statistiche; gli stessi non negano che di quelle 216 nascite nessuna sia femmina, ma contrappongono il caso di altri 129 villaggi della stessa zona in cui sarebbero nate solo femmine e nessun maschio.
Complessivamente, in tre mesi, sono state registrate 961 bambini nati vivi a Uttarkashi: 479 erano ragazze, mentre 468 erano ragazzi. I funzionari affermano che i media potrebbero aver avuto i dati dagli operatori sanitari volontari che hanno il compito di registrare le gravidanze e le nascite. “Credo che i resoconti dei media sui villaggi senza ragazze sono stati male interpretati. Abbiamo comunque ordinato un’indagine”, ha detto Ashish Chauhan, un funzionario del distretto, spiegando di aver “identificato le aree in cui il numero di parti femminili è pari a zero o a numeri a una cifra. Stiamo monitorando queste zone per scoprire cosa stia accadendo”. (da Adnkronos)
Ma questa non è una mera battaglia sulle statistiche. Il dato numerico ci sprona semmai a invitare chi si fregia della difesa della donna come corona di spostare su questo fronte il vero impegno. Le lotte femministe si guadagnano i titoli dei nostri giornali quando si battono per offrire alle donne sempre più strumenti per evitare gravidanze indesiderate, ma fuori dal nostro recinto dorato il dramma vero si consuma a monte, nella possibilità non scontata che una donna nasca. Nel caso dell’India una vera e terribile discriminazione sessuale è in atto e colpisce all’origine la femminilità, uccide nel grembo o appena nate creature indifese e innocenti.
Femmina, una dote pesante
Ci siamo già occupati della tragedia in atto in India, all’indomani della pubblicazione di uno studio allarmante su The Lancet. Si parlava di 239 mila bambine indiane morte prima di compiere i 5 anni.
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All’origine di questa discriminazione sessuale c’è un dato culturale ancora fortemente radicato, per cui la nascita di una femmina è una maledizione per la famiglia, soprattutto dal punto di vista economico.
In India, le bambine sono sempre state considerate una sorta di maledizione per le famiglie. La tradizione considera i maschi gli eredi dei beni e coloro che mantengono i nuclei familiari “portando il pane a casa”. Le figlie femmine invece sono viste come un fardello finanziario per i genitori in un Paese in cui l’istituto della dote al momento del matrimonio è molto comune. (da Repubblica)
La legge ha cercato di arginare la strage di feti e neonate vietando lo screening sessuale durante la gravidanza; ma è proprio un autorevole giornale indiano a raccontare quanti modi subdoli ci siano per aggirare la legge e tradurre questi esami medici in un business molto redditizio:
Per sottrarsi alle grinfie della legge che proibisce la selezione sessuale e agli occhi vigili delle autorità, i professionisti medici che praticano questi esami diagnostici a scopo di lucro usano le immagini delle divinità per comunicare alle famiglie il sesso del nascituro. (da TNN)
Nessuna parola ufficialmente pronunciata. Se al termine della visita i genitori ricevono la foto di una divinità maschile come Sai Baba, allora è in arrivo un maschietto; se la foto è quella di Kanaka Durga, potente divinità femminile, allora il fiocco è rosa. Un trucchetto semplicissimo e tremendamente efficace.
Ripartire dalle madri
Ma come accade in ogni faccenda umana, a ogni latitudine, l’alternativa della libertà è l’adoperarsi per tradire o per affermare. È molto facile aggirare la legge, è facile sfuggire ai controlli nelle zone rurali di un paese che ha altre gravi priorità all’ordine del giorno. Eppure l’impresa culturale di educare il popolo a giudicare le tradizioni lesive della persona alla luce delle dignità di ogni vita umana è una sfida in crescita. La creatività umana non si risveglia solo per offrire vie di fuga alla malvagità, ma anche per sostenere il bene … che solitamente non trasforma il mondo con uno schiocco di dita, ma fa passi spesso invisibili eppure permanenti.
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Dal 2015 in India il governo ha promosso e finanziato una campagna di consapevolezza chiamata Beti Bachao, Beti Padhao (salviamo le figlie, educhiamo le figlie) con lo scopo di promuovere iniziative educative per eliminare la violenza di genere sulle bambine.
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È un grande contenitore al cui interno si trovano progetti a lungo termine, ma anche efficaci campagne mediatiche. Un’idea di fondo che merita pieno sostegno è la consapevolezza di dover innestare dentro la famiglia il cambio di una mentalità atavica, primo pilastro dell’accoglienza della vita e dell’educazione dei figli. Ogni madre è l’inizio di una voce nuova sulla donna, è lei la prima insegnante da cui ogni figlio impara il suo sguardo sul mondo e cresce con un giudizio morale nutrito da esperienze quotidiane.
Altre iniziative di visibilità immediata e più passeggere sono comunque da applaudire; sappiamo che uno dei social network più frequentato dai giovanissimi è Instagram. Per catturare la loro attenzione e sensibilizzarli al tema, è stata lanciata una challange che ha raccolto migliaia di adesioni: l’hashtag era #selfiewithdaughter, una selfie con la propria figlia. Queste immagini sintetizzano con l’efficacia che l’impattio visivo ha un messaggio altrove scontato, ma in India no: avere una figlia femmina è un dono di cui andar fieri.