Una mamma che si sente la figlia più fortunata del mondo, quando al mattino rassettando casa affida tutto di sé a Dio.Di solito la situazione è la seguente.
Ore 6,30: la mia sveglia suona rimbombando nel corridoio. La Figlia G è la prima che si alza, si lava, rifà il letto e scende a farsi il caffè. Tra una cosa e l’altra sveglia Cigols e Lannina che dormono come ghiri. Checcolens dorme random per cui dove si sveglia è un po’ una sorpresa. La maggior parte delle volte è appiccicato al suo papo. Io agguanto un abbigliamento consono e ciò che accade dalle 7,00 alle 7,45 è, sostanzialmente, un miracolo di coordinazione, ricerca e ritrova oggetti, firma e compila avvisi, e denti lavati e scarpe slacciate. Poi, improvvisamente tutto si calma.
Quando il Piccinaccolo era mignon stava con me a casa e, chiusasi la porta di casa, cadeva in un sonno profondo della durata di un caffè per mamma. Adesso che accompagnamo Cigols a scuola, si rilassa appena torniamo a casa.
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Ma alle 8,00 (otto-zero-zero direbbero nell’unico programma che guardiamo periodicamente in tv che racconta le imprese di un agente speciale ex marines), accade un miracolo: il silenzio. E mentre io e il Piccinaccolo condividiamo un po’ di musica e le faccende (tazze-letti-panni-aspirapolvere), io racconto a Dio quello che mi fa paura. O desidero. O spero. Girovago qua e là per la cucina e racconto al Padre buono, cosa mi succede. Poi mi giro, lo guardo e dico sempre: “Ah già, tu lo sai”. Ma continuo comunque. E lui mi ascolta. E come se mi ascolta. Tant’è che spesso mi interrompo nelle mie chiacchiere e magari faccio una richiesta o un ragionamento, e lo guardo con aria di chi sa che a un Papà puoi chiedere tutto, perché Lui si entusiasma tantissimo e se tu gli chiedi -quando hai vent’anni e hai passato gli ultimi dieci sotto lo schiacciasassi di una famiglia sfasciata- che ti aiuti a trovare un bravo ragazzo col quale sposarti, Lui ti trova un uomo che cerca una brava donna e che ha proprio voglia di famiglia. E lo fa suggellando l’unione con 6 figli, giusto per incollarvi un po’.
Poi capitano tante cose nella vita. Belle e brutte. E quando accadono quelle brutte non è che Lui ti molla lì. Sta a fianco a te. Ti sostiene. Non ti molla un attimo, così che il dolore, quello brutto e dilaniante che nulla e nessuno ti può evitare, tu lo viva sapendo che non sei solo neanche quando sei a piangere da sola in uno scompartimento dei treni quelli vecchi a sei posti che puzzavano sempre un po’.
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Sei lì che piangi perché hai capito che la libertà che ti è stata data di fare tutto ciò che vuoi è una immensa bidonata. Lo capisci perché hai detto così tante volte “Chissenefrega io faccio quello che mi pare” che adesso che hai fatto quello che ti pare, sei più triste di prima. È l'”inquilino del piano di sotto”: ti imbambola con quella che è la strada più semplice e, quando ti rinvieni di cos’hai combinato, ti getta nella Disperazione. Quella brutta.
Ma il Padre è lì. Ti accarezza la testa. Non ti dice sciocchezze del tipo te-l’avevo-detto perché sa che tu lo sai. E la tua Disperazione non la cancella. Anzi: ce l’hai lì. Di fronte. E Lui ti fa capire che, quando hai capito che hai fallito, sei già sulla via del perdono. No, non del Suo perché Lui ti ha già perdonato (ti manca solo la Riconciliazione). Del tuo verso di te.
Ecco: la mattina sono lì che gli chiedo varie cose. E gliele chiedo tutti i giorni. E Lui, di giorno in giorno, mi ascolta. Piano piano. Prende quello che a mio parere è la cosa giusta e, con garbo, toglie, da ciò che voglio io per me, il pezzo di “me” che pretendo solo per me. E ci mette un frammento del mio vero Bene, ovvero quello che Lui sa che è giusto per me, alla mia portata. E, immancabilmente io mi ritrovo lì davanti a Lui a dirGli: “Sapevi che quello che chiedevo non era ciò che poi mi avrebbe fatto bene davvero e mi hai aiutato a vedere quale fosse la mia strada… Ma come facevi a saperlo? Ah già: sei mio Padre!”. E rimango lì. Dicendo solo un “Grazie” sommesso. Perché noi figli siamo così: mamma o papà ci dicono di fidarci di loro. Ma noi siamo quelli grandi. Lo sappiamo cosa dobbiamo fare. E splash… la scivolata. O bump… l’inghippo. Allora i genitori ci fanno capire che magari, se ci fidassimo… cioè, ci vogliono bene: lo sanno cos’è meglio.
E io chiedo. Ragiono. Commento. Penso e ripenso. Ringrazio. Chiedo scusa (mammamia com’è difficile!). E poi mi giro, in cucina. E Lui è lì: sopra la porta. Non si muove. Sta dove sto io.
E mi sento la figlia più fortunata del mondo.