Proprio a cavallo tra il mese di giugno e quello di luglio ci hanno chiesto ragguagli su due particolari devozioni. Di una illustriamo l’origine e la portata teologica, dell’altra la fumosa inconsistenza dogmatica e i rischi spirituali. Cerchiamo però di offrire anche qualche criterio generale per valutare quali siano le pratiche religiose da adottare e quali quelle da evitare.
Cujus una stilla salvum facere
totum mundum quit ab omni scelere.…del quale una sola goccia basta a
salvare tutto il mondo da ogni crimine.(Dall’Adoro Te devote, di san Tommaso d’Aquino)
Giugno, “mese del Sacro Cuore”, è concluso. Si apre oggi luglio, “mese del Preziosissimo Sangue”. E prima avevamo avuto maggio, “mese mariano” insieme con ottobre, più specificamente dedicato al Rosario. Tutte occasioni di grazia che formano una sorta di “calendario paraliturgico popolare”, più semplice di quello liturgico vero e proprio (prodotto dal ciclico intreccio di Temporale, e Santorale, da date fisse, date ebdomadarie, date mensili e date annuali) ma che nei limiti del possibile questo volentieri adotta e colloca in opportuni spazi pastorali. Lo scopo e il criterio è sempre il medesimo: «La salvezza delle anime è la legge suprema», quindi ciò che la agevola e favorisce è benvenuto, il resto no.
Le linee-guida della Scrittura
«Il regno di Dio – spiegava infatti Paolo ai Romani – non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rom 14, 17). E ben più ruvidamente l’Apostolo aveva già rimbrottato i Galati per questioni analoghe:
Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, eravate sottomessi a divinità, che in realtà non lo sono; ora invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire? Voi infatti osservate giorni, mesi, stagioni e anni! Temo per voi che io mi sia affaticato invano a vostro riguardo.
Gal 4, 8-11
Il fatto è che l’idolatria – il vero nemico pubblico accusato dalle Scritture – è una tentazione dura a morire, nel cuore dell’uomo: la vicenda del vitello d’oro ha eternato nei secoli la tendenza dell’uomo a “regolamentare il divino” rendendolo visibile, palpabile, programmabile, controllabile. Così, con lo stesso criterio di fondo con cui la Chiesa giudica le devozioni, invece – “salus animarum suprema lex” – ciascuno dovrebbe esaminare il proprio rapporto con le stesse: mi fa bene? Mi fa crescere nella vita spirituale (e secondo parametri esterni alla devozione in questione)? E quest’ultima cosa significa che non posso giudicare se la tale coroncina mi stia facendo crescere in base, per esempio, al numero di volte che la recito…
Una lettera pervenuta in Redazione
In questi giorni ci hanno scritto in redazione chiedendoci lumi su due devozioni trovate in rete: la prima è la “Coroncina alla Madre di Dio” invocata col titolo di “Corredentrice del mondo” (si segnala poi la variante, a seconda dei siti: “per liberare 1.000 anime dal Purgatorio” o “per liberare 50.000 anime dal Purgatorio”); la seconda è la “Devozione al Sacro Capo di Gesù”, corredata di dodici “promesse”.
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La seconda delle due devozioni è più perspicua della prima: essa risale a una rivelazione privata di Gesù alla Serva di Dio Teresa Helena Higginson, datata 2 giugno 1880. Come si evince dalla data della rivelazione, la “devozione al sacro capo” si propone come complemento e integrazione di quella al Sacro Cuore. E soffermiamoci per un istante a fare questo esercizio: ascoltiamoci con orecchio di non credente mentre diciamo queste cose… tornano a mente gli ammonimenti di Paolo ai Corinzi:
Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi; siate come bambini quanto a malizia, ma uomini maturi quanto ai giudizi. […] Quindi le lingue non sono un segno per i credenti ma per i non credenti, mentre la profezia non è per i non credenti ma per i credenti. Se, per esempio, quando si raduna tutta la comunità, tutti parlassero con il dono delle lingue e sopraggiungessero dei non iniziati o non credenti, non direbbero forse che siete pazzi?
1Cor 14, 20.22-23
Esistono discorsi esoterici, cioè da fare “ad intra”, tra credenti, e discorsi essoterici, cioè da fare davanti a tutti: le devozioni, in generale, stanno alla testimonianza evangelica come il parlare in lingue sta alla profezia di cui parla Paolo.
La “devozione al Sacro Capo di Gesù”
Torniamo dunque alla serva di Dio inglese del XIX secolo, che sembrò raccogliere in qualche modo il testimone della tedesca Anna Katharina Emmerick: dell’una e dell’altra si tramandano fenomeni mistici straordinari, quali stigmate e levitazioni; dell’una e dell’altra si predicano rivelazioni particolari legate alla Passione di Cristo. La “devozione al Sacro Capo di Gesù” trova in alcune delle parole della serva di Dio al suo padre spirituale:
Nostro Signore mi mostrava questa Divina Sapienza come potenza direttrice che regola moti ed affetti del Sacro Cuore. Mi ha fatto capire che al Sacro Capo di nostro Signore devono essere riservate adorazioni e venerazioni speciali, in quanto Tempio della Divina Sapienza e potenza direttrice dei sentimenti del Sacro Cuore.
E ancora:
Questa devozione non è assolutamente destinata a sostituire quella del Sacro Cuore, deve solo completarla e farla progredire. E di nuovo Nostro Signore ha impresso in me che spanderà al centuplo, su quelli che praticheranno la devozione al Tempio della Divina Sapienza, tutte le grazie promesse a coloro che onoreranno il suo Sacro Cuore
Si tratta dunque del correttivo di una deformazione della devozione al Sacro Cuore, che ne aveva fatto qualcosa di intimistico e di sentimentalistico – laddove anche il rinnovamento liturgico ed esegetico del XX secolo ci avrebbe ricordato che il cuore, nella rivelazione cristiana, è la sede non tanto dei sentimenti (per i quali ci sono le viscere) quanto della volontà! Amare il Sacro Cuore non significa sciogliersi in sdolcinatezze su “quanto è buono Gesù”: certo che lo è!, ma proprio per capirlo meglio occorre adorare in quel cuore il prodigio dell’Incarnazione – “admirabile commercium”! – che ha reso un cuore umano, quale è quello della natura creata di Cristo, capace di contenere «tutta la pienezza della divinità» (Col 2, 9) e dunque la sua infinita e onnipotente volontà salvifica.
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Viceversa, il contenuto “sentimentale” della devozione al Sacro Capo rimanda al “dolorismo” tardo-medievale e moderno, sublimemente espresso nell’inno “O caput cruentatum” attribuito a Bernardo e nella versione tedesca inarrivabilmente musicata da Bach.
Nostro Signore e la sua Santa Madre considerano questa devozione come un potente mezzo per riparare l’oltraggio che fu fatto a Dio Sapientissimo e Santissimo quando fu coronato di spine, preso in derisione, disprezzato e rivestito come un folle. Sembrerebbe ora che queste spine stiano per fiorire, voglio dire che Egli desidererebbe attualmente essere coronato e riconosciuto come la Sapienza del Padre, vero Re dei re. E come nel passato la Stella condusse i Magi da Gesù e Maria, in questi ultimi tempi il Sole di Giustizia deve condurci al Trono della Trinità Divina.
Il contenuto dogmatico è limpido, la sua utilità è patente: non stupisce che l’imprimatur ecclesiastico sia arrivato già nel 1937. Intendiamoci, ci sono cose buone che non hanno ricevuto (almeno, non ancora) l’imprimatur ecclesiastico, ma nessuno sarà mai accusato di “troppa prudenza” nell’attenersi alle vie conosciute, testate e autorizzate, soprattutto se tale esercizio lo trattiene dal «prurito di sentire qualcosa» di nuovo (2Tim 4, 3), che tanto fermamente il corrispondente di Timoteo castiga.
L’altra devozione: confusione e fragilità
A proposito di “qualcosa di nuovo”, devo confessare di non essere riuscito a trovare granché sulla “coroncina alla Madre di Dio corredentrice del mondo”: non più di qualche pagina ricavata da altre pagine tramite copia e incolla. Su una delle suddette pagine ho trovato il riferimento a tale “Anna”, che sembrerebbe essere la veggente a cui si deve tale formula di preghiera: Fulda (in Germania) sarebbe il posto in cui vive, nel nascondimento, e le rivelazioni risalirebbero al 1998 o giù di lì. Non sono riuscito ad andare oltre, neppure cercando su siti tedeschi. Diverse difficoltà derivano recta via da questa aporia: anzitutto l’incertezza del testo. Se di una preghiera circolano diverse versioni e non si riesce a capire quale sia quella autentica, su cosa si esercita il giudizio critico della Chiesa? C’è poi la questione delle “anime liberate dal Purgatorio”: mille, cinquantamila… il punto non è tanto stabilire un numero, ma capire donde sorga l’improcrastinabile necessità di stabilire un numero. E sopraggiunge la dogmatica a rischiarare la situazione: le anime del Purgatorio sono già “spiriti eletti” e “anime certe di vedere l’alto Lume” (Dante), considerarle persone “da salvare” non è semplicemente impreciso, bensì è gravemente erroneo. Se a questo punto si pensa alla delicatezza del discusso titolo di “corredentrice” – che dovrebbe essere spiegato con molta finezza per non risultare eterodosso e che in ogni caso non aggiungerebbe sostanza all’ineffabile dignità della Madre di Dio – appare assai difficile che il tutto si possa sostenere su di un’impalcatura dottrinale tanto fragile.
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Pregare fa sempre bene, capiamoci, e più si prega meglio è: illudersi però di “acquistare diritti davanti a Dio” «a forza di parole» (Mt 6, 7) è un terribile cancro della vita spirituale. L’essenza della preghiera è lode e supplica, ringraziamento e dono: «ogni giorno mendichiamo, ogni giorno c’indebitiamo» (Agostino). Come si può pensare di praticare una qualsiasi forma di preghiera che – date condizioni di tempo e spazio, di numero e forma – ci metta in condizione di ottenere senz’altro da Dio qualcosa che Egli non potrebbe rifiutarci? O supponiamo che Dio si sia dimenticato delle anime purganti? E questa vorremmo chiamare “preghiera”?
Attenzione al fisicismo, porta al feticismo!
Avevo cominciato questo scritto citando un sublime distico dall’Adoro Te devote scritto da San Tommaso per la festa del Corpus Domini: ho scelto quelle parole in ossequio all’inizio del mese di luglio, dedicato – come ricordavamo sopra – al preziosissimo Sangue di Cristo. Queste devozioni sono belle e utili… finché non sconfinano nel fisicismo, gemello siamese del feticismo: ricordate la storia del Santissimo Prepuzio di N.S.G.C., che il povero Leone III mise nel tesoro vaticano dopo averlo ricevuto da Carlo Magno (il quale forse l’aveva ricevuto da Irene di Bisanzio!)? Tutti questi santi papi e re e imperatrici a passarsi di mano in mano la pelle morta dei genitali di chissà chi… E poi nacquero gli ordini delle “Adoratrici del Santissimo Prepuzio…” – monache che facevano voto di castità con promessa di passare svariate ore al giorno a contemplare quella… cosa! La “cosa” poi fu così trendy che divenne un must, e ben presto i prepuzi (chissà di chi!) fioccarono nell’ecumene cristiana come quando Davide portò a Saul la dote per Mical! Toccò al buon Innocenzo III, già nel XII secolo, frenare gli entusiasmi dei “devoti”, e nel 1900 Leone XIII impose sotto pena di scomunica di non parlare più di prepuzi: da allora (ma molti erano stati distrutti nell’ondata iconoclasta post-1789) chi ne ha ancora in qualche reliquiario si guarda dal tirarli fuori.
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Ecco, questa è una vicenda-limite, ma la pretesa di aver conservati da qualche parte i capelli e perfino il latte della Madonna sono sempre il sintomo dell’ansia di controllo nei confronti del divino, oltre che della credenza che la vicenda cristiana “funzioni” in forza di una prossimità fisica ai suoi agenti. Qui il confine si fa sottile: Ignazio di Loyola potè adorare lungamente quella che gli dissero essere la pietra dalla quale Cristo ascese al cielo (è tuttora visibile a Gerusalemme), ma dal racconto che fece dell’episodio si capisce benissimo che il santo spagnolo adorava il mistero dell’ascensione e soprattutto il Mistero di Cristo, non un sasso. Così la Chiesa tollera che si conservino qua e là le urne col “latte della Madonna” a patto che in esse si veneri il mistero della vera carne umana del Salvatore, evitando tutto ciò che farebbe assomigliare il cristianesimo a un fenomeno da baraccone.
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Dicevo del Preziosissimo Sangue e della possibilità del fisicismo: pensate se uno trovasse un pezzo di legno visibilmente antico e lo aspergesse con una o qualche goccia di sangue, affermando poi di aver trovato un frammento (l’ennesimo) della Vera Croce o addirittura uno scarto della bottega di san Giuseppe, che con una scheggia ferì il giovane Gesù. Ebbene, certamente se uno imbastisse un simile teatrino si porterebbe dietro molte persone ingenue e altrettante bisognose di darsi “un vitello d’oro” da vedere mentre il vero Dio impone i suoi tempi misteriosi… ma credete che costui farebbe bene, in un modo qualunque, ad altro che alle sue tasche? Naturalmente no. E se uno – stavolta davvero – trovasse il ceppetto di legno su cui cadde magari una goccia del sangue di Gesù mentre lavorava, insieme con il suo sudore e forse con le sue lacrime… ecco, tutti questi umori corporei conferirebbero un qualche interesse religioso al pezzetto di legno? Neppure il più piccolo, questa è la verità: il Sangue di Cristo noi lo adoriamo perché fu sparso per la nostra salvezza, non perché speriamo di osservarne promanare qualche originalità; e il luogo in cui ogni giorno si ri-presenta l’unico sacrificio redentore del mondo è la divina eucaristia.
La fede è una cosa semplice
La vera fede, il cristianesimo, è malgrado tutto cosa molto semplice, perfino intuitiva per chi non si faccia disorientare da qualche immancabile «mercante di luce» (De André): i misteri fondamentali sono due, le verità della fede relativamente contenute e composte in un tutto armonico, i comandamenti restano quei dieci, comodamente sintetizzati in due precetti evangelici. Tutto il resto – a partire dai “consigli” e per finire con le “devozioni” – ha valore se ci aiuta e non ne ha (anzi va evitato) se ci intralcia. Tutto qui.