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Santa Rita, così antica e così moderna: una compagna di dolore, una sorella, un’alleata

SAINT, RITA, CASCIA
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Una penna spuntata - pubblicato il 28/06/19
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Il suo patire, la sua fallibilità e la sua tempra ne fanno la compagna perfetta in questi tempi di crisi per i matrimoni, la famiglia e l’educazione.Santa Rita è probabilmente una delle sante più amate dei nostri giorni (e, oserei dire, anche una delle poche la cui devozione viene testimoniata in giro per la città da segni tangibili nelle mani dei fedeli: un po’ ovunque, vedrete oggi le pie donne aggirarsi per le vie con le rose benedette in mano).

Se però guardiamo indietro alle tappe che hanno scandito il culto di una santa così popolare, non possiamo che stupirci. Santa Rita è morta nel 1457 e viene canonizzata nel maggio del 1900 (curiosamente, assieme all’ultimo santo di cui ho parlato in queste pagine: Jean-Baptiste de La Salle, il mio mèntore da blogger). Quattrocentocinquant’anni sono un lasso di tempo straordinariamente lungo da far passare, prima di far salire alla gloria degli altari una santa che gode di tale popolarità. Verrebbe da chiedersi cosa diavolo sia successo nel mentre, e perché mai la canonizzazione della casciana sia stata così tardiva.


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Una domanda simile se la è posta, diversi anni fa, Lucetta Scaraffia, autrice di (più) di un libro dedicato a Santa Rita. Nelle librerie potete facilmente trovare il suo La santa degli impossibili, uscito nel 2014 per i tipi di Vita e Pensiero. Io però non l’ho letto: per quanto mi riguarda, mi rifaccio alla prima edizione, stampata nel 1990 da Rosemberg & Sellier (l’unica che sono riuscita a trovare in biblioteca).

Secondo la tesi di Lucetta Scaraffia, il culto di santa Rita ha avuto una diffusione così dirompente ma così tardiva, principalmente per il fatto che la monaca casciana s’è trovata, per un po’ di tempo, ad essere… “la santa sbagliata al momento sbagliato”.
E qui mi spiego.

Santa Rita muore in un’epoca in cui, vivaddio, la Chiesa Cattolica stava cominciando a procedere con maggior cautela per quanto riguardava le canonizzazioni. Avrete probabilmente sentito parlare di come il processo di canonizzazione “moderno” nasca alle soglie della Controriforma; prima di allora, era possibile diventare santi per semplice acclamazione popolare. Se tu vivevi da buon cristiano, e morivi da santo, e attorno alla tua figura si sviluppava un culto locale che riusciva a prosperare nel tempo e magari a diffondersi, “i giochi erano fatti” come si suol dire: presto o tardi, il tuo nome sarebbe comparso nel martirologio.
Un metodo di canonizzazione potenzialmente pericolosissimo, che esponeva al rischio (più volte verificatosi) di trovarsi con comunità locali di svirgolati che veneravano gente più eretica che santa.

SAINT,RITA CASCIA

PD

Santa Rita rientrava dunque nel novero di questi santi equivoci?
No, per carità, poverina: di cose ereticali, lei non ne ha fatte mai.
Di cose strane, però, ne ha fatte a iosa, e questo possiamo ammetterlo serenamente. Andata in sposa in giovane età a un marito crudele e violento, Rita sopporta a denti stretti per diciott’anni, facendo due figli nel mentre.


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La buona notizia è che, a un certo punto, riesce a convertire il marito; la brutta notizia è che il marito viene ucciso di lì a poco, e la pessima notizia è che i due figli giurano vendetta. Rita, disperata, arriva a pregare per la morte dei suoi pargoli (!) pur di evitare che, col loro odio, i due diano il via a una faida tra clan. Dio esaudisce le preghiere di santa Rita (non nel senso che fa ravvedere i figli. Nel senso che li ammazza) e la vedova decide di entrare in convento. Il quale convento le fa sapere che, grazie, ma anche no. Occorrerà un miracolo divino per far sì che Rita riesca a varcare quelle mura: nello specifico, le varca in volo (!). Da quel momento, ha inizio per Rita una vita carica di misticismo, miracoli e (post-mortem) taumaturgia, condita di dettagli anche un po’ inquietanti come la spina della corona di Cristo che va a conficcarsi nella fronte della monaca aprendole piaghe sanguinanti.

…onestamente, un quadro un po’ bizzarro, nell’insieme.
La Chiesa ci va molto molto cauta, prima di propagandare come esempio di vita questa bizzarra madre che prega per la morte dei suoi figli, fa robe strane volando in cielo e si procura piaghe in testa che non son stigmate ma ci si avvicinano. La Controriforma non è il momento giusto per santificarsi a suon di estasi e ferite purulente, soprattutto se sei una donna (e ne sa qualcosa la giovane Lucia la cui penna spuntata seicentesca ha dato il nome a questo blog).

Santa Rita viene beatificata, sì, e ci mancherebbe altro: mica si poteva discriminare una santa solo perché aveva avuto una vita un po’ demodé. Ma intanto son passati gli anni – siamo già nel 1628 – e si procede comunque con cautela e circospezione. Anche l’agiografia composta per l’occasione – un lungo scritto dell’agostiniano Cavallucci di Foligno – si presenta come un testo un po’ asettico che tende a starsene sul generale, e, aderendo allo stile della Controriforma, tralascia accuratamente di calcare la mano su tutti gli aspetti eccessivamente miracolistici (… o, semplicemente, bizzarri).


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E, per un bel po’, il culto della beata Rita lì si arena, e non sarebbe stato ingeneroso, all’epoca, pensare che la venerazione della casciana fosse destinata a scivolare lentamente nel dimenticatoio. Addirittura, un tentativo di riprendere in mano la questione fallisce miseramente nel 1738, quando gli agostiniani riaprono il processo di canonizzazione ma vengono bloccati di lì a poco dal loro stesso superiore generale (!), il quale, per ragioni mai chiarite, lascia capire che proprio non è cosa.

Incredibile davvero, alle orecchie degli eremitani, sarebbe stata l’affermazione per cui, sul finire del secolo XX, Rita sarebbe stata una delle sante più amate al mondo. Quale prodigio miracoloso ha avuto luogo, per ribaltare la situazione da così a così?

In realtà, il prodigio sta in una serie di concause.
Prima, la stesura di una nuova biografia a cura dell’agostiniano Tardi, che mirava a riportare in auge la devozione verso la santa dandole una credibilità storica moderna. Siamo nel 1805, i tempi sono cambiati, i pericoli di un eccesso di sensazionalismo nella devozione popolare sembrano ormai lontani. E dunque, l’avveduto agiografo – pur confezionando un testo serio e convincente, corredato da un ampio apparato di note – si sente ormai libero di insistere anche su quei punti di maggiore impatto emotivo, che i suoi predecessori avevano tralasciato.
E l’impatto emotivo infatti c’è. Ed è uno di quegli impatti così forti che ti lasciano tramortito. La Rita da Cascia 2.0 così come viene presentata dall’agiografia del Tardi ha tutti – ma proprio tutti tutti tutti– gli elementi adatti per conquistare e il popolino e, al tempo stesso, le gerarchie ecclesiastiche.



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Le donne ottocentesche scoprono improvvisamente in Rita una compagna di sventure, una sorella, un’alleata. Rita di Cascia è una donna “proprio come noi”, con le sue difficoltà e i suoi fallimenti quotidiani.
Ha vissuto un matrimonio “proprio come il nostro”, innanzi tutto consumato nella sua interezza (cosa non scontata, in un’epoca in cui andavano ancora di moda certi santi coniugati che avevano scelto l’improbabile strada di un matrimonio virginale).
E – cosa non da poco – ha vissuto un matrimonio infelice, con i suoi alti e bassi. Siamo, del resto, in un’epoca in cui i modelli familiari cambiano. Con il ritorno in auge della famiglia mononucleare, ben poche spose hanno ancora modo di vivere in un grande cascinale affollato di parenti (croce e delizia di ogni giovane sposina, ma pur sempre utile “valvola di sfogo” nonché aiuto pratico al momento del bisogno). Ormai, un crescente numero di coppie dice addio alla casa paterna per trasferirsi in un asfittico appartamentino di città, in cui la donna si trova spesso sola alle prese con una massa di bambini urlanti e in cui la convivenza col marito può davvero farsi pesante, se i rapporti sono tesi.

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Ecco: in quest’epoca, le brave donne cattoliche si sentono improvvisamente legittimate a vivere il loro matrimonio come una fonte di sofferenza e/o insoddisfazione, almeno parziale. “Stai tranquilla”, sembra dire loro santa Rita: “ci sono passata anch’io; lo so, amica mia, può fare veramente tanto schifo. Ci riempiono la testa con la Sacra Famiglia da prendere a modello, ma non tutte le famiglie sono come quella di Maria e Giuseppe. Però dai, stringi i denti. A un certo punto, a noi, le cose hanno cominciato ad andar meglio”.


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Che poi, occielo, “andar meglio” è ‘na parola grossa. Con tutto il rispetto per santa Rita, ma qualcuno potrebbe anche definirla il simbolo del più grande fallimento educativo dell’agiografia. Una madre che arriva a un grado di disperazione tale da invocare in preghiera la morte dei figli pur di non vederli darsi alla criminalità (!): ecco, secondo me, è ‘na madre che qualche seria domanda su se stessa se la sta facendo.
Una donna che sente di aver fallito in quanto di più importante e caro vi era nella sua vita: ecco chi è santa Rita, presumibilmente. Eppure, è diventata santa!

Le donne ottocentesche non possono non innamorarsi di questa santa così debole, così fallibile, e dunque così vicina a loro. Ma se le vicende terrene di santa Rita infiammano il cuore delle casalinghe vittoriane, esse vengono accolte con entusiasmo addirittura maggiore dalle alte sfere dei prelati.

A noi moderni vien difficile crederlo – ché se pensiamo alla data in cui il divorzio è diventato legge in Italia, tendiamo a immaginare l’Ottocento come un’epoca felice in cui niente metteva in discussione la famiglia tradizionale.
Ecco, no: le cose non stanno esattamente così; basti pensare che già nel 1901 era stata presentata alla Camera, qui in Italia, un progetto di legge per istituire il divorzio, che aveva scatenato l’ira funesta del pontefice e ingenerato una seria mobilitazione dal basso in tutta la Chiesa.
Ma, divorzio a parte, lo spettro di una disgregazione della famiglia tradizionale già aleggiava sull’Occidente. Frequentemente, timori immotivati erano ingenerati da quelli che, col senno di poi, andrebbero catalogati alla voce “cambiamenti di costume”: le prime rivendicazioni del movimento femminista, la crescente occupazione femminile nell’industria, la consuetudine sempre più diffusa di abbandonare la terra natia per andare a vivere in una tentacolare città, in cui non esistevano più reti familiari di appoggio e le tentazioni erano dietro l’angolo. Tutto questo faceva trascorrere notti insonni a chi già presagiva che la società sarebbe cambiata fin troppo, di lì a poco.


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Santa Rita, in tutto questo, si presentava come il modello perfetto da porre all’attenzione dei fedeli.
Santa Rita è la santa che, trovandosi in un matrimonio infelice, non si ribella, non scappa, non corre in convento, non si sottrae ai suoi doveri coniugali (ma, al tempo stesso, non viene manco ammazzata, il che è già una notevole miglioria rispetto a tante altre sante la cui agiografia iniziava sulle stesse linee). Santa Rita rimane fedele al marito, persevera, riesce piano piano a cambiarlo, e quando si troverà a vivere la sua sfida più grande (prendere le difese dei figli che vogliono uccidere l’assassino del loro padre, o prendere decisamente le loro distanze?) ha la tempra morale che occorre per prendere la decisione più dolorosa.

È molto significativo, io trovo, che Rita da Cascia – quella che in tutti i santini è rappresentata come una monaca sanguinolenta in preda a visioni mistiche – sia diventata, nell’immaginario collettivo, “la santa del matrimonio” per eccellenza, quella a cui si rivolge per invocare aiuto per una coppia in crisi o che le donne pregano per ottenere il dono d’una gravidanza. O quella nel cui convento si va a donare l’abito da sposa per permettere ad altre spose di riutilizzarlo.
E in tutto ciò, il santino continua a mostrarcela come una monaca sanguinante stretta al crocifisso!

Il fatto è che la beata Rita sanguinolenta e mistica (quella che era stata guardata con tanta tiepidezza ai tempi della Controriforma) perde terreno a favore di questa santa Rita 2.0, proposta alla venerazione dei fedeli innanzi tutto in quanto moglie. “Il processo di canonizzazione ebbe come obiettivo principale quello di aggiustare l’immagine della santa in funzione di questa nuova situazione” scrive, tranchant, Lucetta Scaraffia. Ma già la biografia del Tardi ci aveva messo del suo, ampliando in modo notevole la narrazione dedicata alla vita famigliare di santa Rita e calcando la mano sulle sue sofferenze di sposa.
E in un’epoca in cui la società già nutriva drammatici timori per il futuro della famiglia, ecco che acquisiva un valore altissimo il culto della santa icona della cristiana sopportazione coniugale (e della speranza per un matrimonio che tornerà a fiorire).



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Ho iniziato questo articoletto dicendo che, curiosamente, santa Rita fu canonizzata in contemporanea con un altro santo di cui ho parlato di recente: de La Salle. Vorrei tornare su questo punto, perché, secondo la Scaraffia, si può intravvedere un preciso disegno dietro alla scelta operata dalla Santa Sede.
In uno degli eventi ecclesiastici di massa più sensazionali del periodo post-Unitario (piazza San Pietro era gremita da quarantamila pellegrini; ci furono addirittura dei malori, e alcuni malcapitati finirono pestati dalla folla!), Leone XIII elevava alla gloria degli altari due santi amatissimi, opposti e complementari.
Da un lato, l’austero monsieur de La Salle, un santo gentiluomo figlio dell’aristocrazia, che, con non comune preveggenza, aveva tentato di porre rimedio a quella che, a inizio Novecento, stava cominciando ad essere una seria spina nel fianco. In fin dei conti, fornendo un’istruzione (rigidamente cristiana) (e di alto livello) ai figli dei poveri, de La Salle non aveva forse tracciato una strada che anche la società post-unitaria avrebbe potuto seguire, per arginare sul nascere quel grattacapo della questione operaia?

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Santa Rita gli faceva da contraltare, presentandosi ai fedeli come una moglie, una madre, una donna imperfetta e pure sfortunata, ma che nonostante tutto persevera nella sua missione di sposa giungendo infine alla felicità e alla gloria eterna. Come se non bastasse, la seconda parte della sua vita, tra le mura del convento, offriva alla cattolicità tutti quegli elementi miracolistici ed emotivi che erano così capaci di infiammare, all’epoca, il cuore semplice del popolino. La data scelta per la canonizzazione fu altamente simbolica: 1900, un anno “a cifra tonda” che segnava il passaggio tra il vecchio e il nuovo.
Col senno di poi, papa Leone ci aveva visto giusto, presagendo che, di lì a poco, il mondo come lo si conosceva sarebbe stato completamente stravolto. E forse ci aveva anche visto giusto nel proporre al mondo queste due figure come esempio dell’impegno perfetto da richiedersi ai fedeli – maschi e femmine – chiamati a vivere le nuove sfide della società.

La questione operaia fu gestita in modo non eccellente (e, direi, non molto lasalliano), ma la Rita amica e sostegno di ogni moglie e madre era una immagine, invece, destinata a durare. Sarà che, più scorrevano i decenni, più cresceva il disperato bisogno di avere il proverbiale santo a cui votarsi per salvare matrimoni in crisi.


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Sarà quel che sarà, ma intanto oggi tutto il mondo festeggia la santa casciana, e la rosa benedetta di ordinanza campeggia nelle case di chissà quante migliaia di donne. Un (giusto) successo di culto che ha dell’incredibile. Pensate a quando, solo qualche manciata di decenni fa, il generale degli agostiniani chiudeva in un cassetto le carte approntate per il processo di canonizzazione, scuotendo la testa e pensando “vabbeh. Se mi senti, Rita, fattene una ragione, ma il mondo non è pronto per amarti”.

QUI IL LINK ORIGINALE PUBBLICATO DA UNA PENNA SPUNTATA