In prima linea contro la tratta Suor Gabriella Bottani e la sua Rete mondiale “Talitha Kum” hanno ricevuto il TIP Report Hero da Mike Pompeo
Ha salvato dalla strada tante ragazze, non si ricorda nemmeno più il numero. Molte erano minorenni.
Suor Gabriella Bottani, comboniana italiana, coordinatrice internazionale della Rete mondiale della Vita consacrata contro la tratta (Talitha Kum) ha ricevuto a Washington il premio TIP Report Hero (Eroe contro la tratta di persone).
La cerimonia di premiazione è stata presieduta dal Segretario di Stato americano, Mike Pompeo presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Washington, D.C.
“Difensore anti-tratta”
Era presente l’ambasciatrice degli Stati Uniti presso la Santa Sede, Callista Gingrich, la quale ha sottolineato che suor Gabriella «è un importante difensore anti-tratta all’interno della Chiesa cattolica. La sua dedizione di una vita alla lotta contro la tratta di esseri umani ha salvato innumerevoli vite» (Il Messaggero, 22 giugno).
10 anni di attività
Oggi sono 22 le reti intercongregazionali, nazionali o regionali, che operano in 77 Paesi all’interno di Talitha Kum.
Il premio arriva in un anno molto importante per l’organizzazione, che celebra il suo decimo anniversario organizzando dal 21 al 27 settembre un’assemblea generale.
Le manipolazioni
Nel suo discorso, suor Gabriella con emozione ha ringraziato dell’onorificenza: «Come gli individui e le organizzazioni qui rappresentate oggi, lavoriamo in dialogo e in collaborazione con persone di diverse tradizioni religiose e con persone di buona volontà», ha affermato. «Cerchiamo di superare qualsiasi tipo di manipolazione ideologica, religiosa e di limitazioni imposte da politiche anti-tratta vigenti, promuovendo un approccio olistico con la persona/sopravvissuto, rispettando la dignità intrinseca di ogni essere umano».
Cause della tratta
Bottani ha anche ricordato al pubblico alcune tra le principali cause di vulnerabilità che possono contribuire all’insorgenza della piaga della tratta di esseri umani, come ad esempio: strutture di potere inique nelle nostre società, specialmente per quanto riguarda le donne, i bambini e gli indigeni; politiche di migrazione inadeguate in un mondo sempre più interconnesso; un modello economico che sfrutta gli esseri umani e le risorse ambientali per il profitto di pochi in contrasto con lo sfruttamento di molti (La Stampa, 22 giugno).
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Il ritorno a casa
La sua organizzazione, come raccontava la religiosa a Famiglia Cristiana (6 febbraio 2019), una volta individuate le vittime, le allontana dalla strada e fa in modo che tornino nei loro Paesi di origine, ma a condizioni ragionevoli. «Diversi progetti accompagnano il rimpatrio delle vittime. Il ritorno e il reinserimento sociale nello Stato di origine è un tema complesso, e l’incidenza di chi cade di nuovo nella rete è alta, soprattutto tra coloro che non sono rientrati volontariamente e coloro che non trovano un lavoro con un salario dignitoso. È una delle grandi sfide che la società deve affrontare: che alternativa offriamo a queste persone, una volta che sono state riscattate dalla schiavitù?».
Spesso, prosegue la suora, «le famiglie associano il bisogno di una vita migliore al progetto migratorio di una figlia. Non dimentichiamo che le rimesse dei migranti superano di 3 volte i soldi inviati ai governi per i progetti di sviluppo. Inoltre sono più stabili e arrivano direttamente alle famiglie. Dal punto di vista economico, quindi, la tratta viene spesso vista come un beneficio. Questo, unito a povertà, cultura dello sfruttamento, patriarcato, sostiene la dinamica perversa che l’alimenta».
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“Non basta punire gli sfruttatori”
Sul fronte dei clienti che alimentano la prostituzione, Suor Gabriella è categorica: «Per lo sfruttamento sessuale punire non basta. Le persone e la società devono essere responsabili delle proprie azioni. Bisogna capire perché la domanda del sesso a pagamento è in crescita e dobbiamo rieducarci alle relazioni. Vale anche per le persone trafficate a fini lavorativi. Ripartiamo dalla nostra consapevolezza: i pomodori a un euro al chilo nascondono uno sfruttamento. Il cliente, il consumatore, deve essere responsabilizzato in un contesto ampio di rispetto del lavoro».
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