Ecco la storia della prima apparizione sul monte dove è stato costruito il più importante santuario dedicato all’arcangelo
Siponto (Nel 1251, Sipontium – Sipontini nelle Puglie, desiderando compiacere l’imperatore romano germanico di nome Manfred, prederà il suo nome e diverrà Manfredonia, la città di Manfredi) è una diocesi dell’Italia meridionale qualsiasi, nel cuore della Puglia, tra il mare e la montagna, avente per punto culminante, a 1056 metri di altitudine, il monte Gargano, da dove, si dice, è possibile vedere il golfo di Napoli.
La regione non si è mai resa nota nella Storia se non per un breve passaggio delle bande di Spartacus, cinquecento anni prima. E’ primavera, nell’anno 492 della Redenzione. E siccome è primavera, che la natura è in fiore, gli animali sono assai irrequieti. Un giovane toro, mal trattenuto nel suo pascolo, rompe i suoi legami, salta la chiusura, e si mette in cerca di un pascolo a suo piacimento.
Questo torello, il più bel toro dell’armento, appartiene ad un signore dei dintorni di Sipontium, Elvio Emmanuele che taluni cronisti chiamano Garganus, perché possiede delle terre sul famoso monte omonimo. Quando, il mattino seguente, Garganus constata la sparizione del suo miglior riproduttore, la primavera, i fiori e gli uccelli non bastano a calmare il suo furore. Egli passa la sua collera sui suoi bovari e, giudicandoli decisamente buoni a nulla ed inefficaci, decide di prendere la testa delle ricerche. Il povero Garganus ed i suoi uomini passano tutta la giornata, che comincia ad essere calda in maggio, in Puglia, a correre dietro al toro che ha, decisamente, trottato molto lontano. Dopo ore di ricerche, le tracce li conducono, infine, sulle pendici del monte.
Gli sforzi di Garganus
Esso è colmo di grotte e di anfratti, e Garganus trema al pensiero che il suo bel toro si sia ferito. Eccolo infine, ma in quale curiosa posizione e quale curioso posto ! Il toro è coricato, inginocchiato piuttosto, nell’entrata di una caverna. Tutti gli sforzi di Garganus e dei suoi bovari per farlo alzare sono vani. Già cala la notte e l’animale resta immobile, limitandosi a muggire tristemente quando gli uomini lo spintonano e lo spingono per farlo alzare, ed anche, perché il nervosismo li assale, cominciando a colpirlo. Il signore del monte e la sua gente non hanno nessuna voglia di essere sorpresi dalle tenebre sulle pendici brute del monte. Occorre lasciare in pace il toro.
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Il vescovo
A questa prospettiva, Garganus si adira. Egli è così fortemente in collera che prende il suo arco e tira una freccia contro il suo toro. A questa distanza, mancarlo è impossibile, e, d’altronde, Garganus non manca il suo colpo. Solamente, per incredibile che sia, la freccia, anziché uccidere l’animale, si curva e ritorna verso il tiratore, che ferisce al braccio. Addolorato, sanguinante, e molto spaventato, Garganus scappa senza chiedersi il motivo. Poi ci riflette, nessuna cosa di questo incidente gli sembra normale. Da parte loro, i servi, stupefatti, raccontano, in tutta Sipontium, lo stravagante avvenimento di cui sono stati testimoni. Il racconto arriva all’orecchio del vescovo Lorenzo, che se lo fa confermare dal principale protagonista. Avendo sentito Garganus, il prelato non esita nell’attribuire una origine soprannaturale all’incidente. Ma buona o cattiva? E che significa? L’epoca non fa le cose a metà: tre giorni di digiuno e di preghiere sono subito decretate.
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Il terzo giorno, Lorenzo vede un magnifico cavaliere bianco apparirgli. San Michele, poiché è lui, dice al vescovo: “Io sono l’autore del prodigio della grotta. Oramai, essa sarà il mio santuario su questa terra”. Ma ecco che il vescovo Lorenzo, ieri così pressato di conoscere le volontà celesti, prende il suo tempo per obbedire all’Arcangelo. Il castigo del recalcitrante non tarda: i Barbari mettono l’assedio a Sipontium. Subito, Lorenzo fa pregare e digiunare i suoi fedeli; subito san Michele appare di nuovo e promette al vescovo una brillante vittoria sui pagani. L’indomani, allorché gli assediati tentano una sortita, una pioggia di una rara violenza scoppia e disperde il nemico. Questa volta, pieno di gratitudine, l’episcopo Lorenzo non tergiversa più: egli scrive al papa Gelasio I, al fine di domandargli l’autorizzazione di consacrare la grotta a San Michele.
L’Arcangelo sarà infine soddisfatto? Non ancora. Una terza volta, il Principe dei Serafini appare, per spiegare al vescovo che egli non deve complicarsi la vita: lui, Michele, quando ha eletto il monte Gargano per santuario privilegiato, ha consacrato la grotta. La risposta di papa Gelasio, comunque, sarà favorevole e, molto presto, sul monte Gargano divenuto Monte Sant’Angelo (la montagna del Santo Angelo) comincia ad innalzarsi, al di sopra della grotta, la Basilica celeste.
La chiesa di San Michele
Tutta la cristianità, anche il Basileus Zenone, che invia i più bei marmi di Costantinopoli, va a contribuire ad edificare e decorare la chiesa di san Michele. Senza mettere minimamente in dubbio la storicità delle apparizioni del monte Gargano, la storia, così come la Tradizione e la leggenda aurea l’hanno trasmessa, richiama alcune osservazioni. La grotta dove il personaggio conosciuto sotto il nome di Garganus ritrova il suo toro fuggito non era certamente un sito neutro, ma un luogo di culto pagano estremamente antico che il vescovo di Sipontium aveva ogni interesse a cristianizzare. Poiché è una divinità pagana, ed anche probabilmente due idoli pagani, il cui culto e gli attributi sono identici a quelli di Michele. Si tratta in entrambi i casi di un dio solare e guerriero: Mitra ed Apollo.
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Il successo del santuario
Il santuario del monte Gargano è promesso ad un futuro trionfale. Lungo tutto il Medio Evo, i pellegrini illustri si succedono nella Basilica celeste. Sono i papi, Gelasio I, Agapito I (morto nel 536), San Gregorio Magno, San Celestino V, fino ad Urbano VI (morto nel 1389, bisogna poi aspettare il pontificato di san Giovanni Paolo II per rivedere un papa al monte Gargano). I principi, dagli imperatori germanici fino a Carlo I d’Angiò e Ferdinando il Cattolico; i Santi, Bernardo di Chiaravalle, Francesco d’Assisi, Tommaso d’Aquino, Brigida di Svezia, Francesco da Paola... Al momento del suo pellegrinaggio nel 1221, il Poverello di Assisi non si giudicherà degno di entrare nel santuario e passerà la notte in preghiera sulla soglia.
L’apparizione del 1656
Ma sono soprattutto i re Longobardi, poi i Normanni d’Italia, ed i Crociati che daranno a monte Sant’Angelo tutta la sua gloria, e renderanno popolare san Michele attraverso l’Europa. Nell’anno 1656 la peste nera miete numerose vittime nel Regno di Napoli e anche sul Gargano. L’arcivescovo Alfonso Puccinelli indice preghiere e digiuni e invoca l’aiuto dell’Arcangelo, che gli appare il 25 settembre 1656 e gli dice: “Io sono l’Arcangelo Michele! Chiunque adopererà i sassi di questa Grotta, sarà liberato dalla peste”. Il vescovo grida al miracolo. Il popolo prende i sassolini e la peste scompare.
Dal 25 giugno 2011 il Santuario garganico di San Michele a Monte Sant’Angelo nelle Puglie che il principe degli Angeli scelse e consacrò di sua mano perché fosse per tutti luogo di pace e di perdono, “Casa di Dio e Porta del cielo”, per decisione dell’apposito Comitato è divenuto patrimonio Mondiale dell’UNESCO.
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