Nel febbraio del 590, Roma passa di calamità in calamità. Tutto ha inizio con una piena del Tevere, così forte che ha distrutto numerosi monumenti antichi, fin allora risparmiati pure dai Barbari. I granai pubblici sono crollati, annientando le riserve di grano e facendo temere la fame. Interi quartieri della Città sono sotto l’acqua del fiume. Ancor più grave, l’inondazione ha sorpreso molti animali, che sono annegati.
Il fiume deposita sulla riva numerose carogne in putrefazione : pecore, capre, vacche, ma, soprattutto, serpenti, ed anche una specie di lucertola gigante o di coccodrillo uscito non si sa da dove e la cui vista ha gettato un sacro terrore nel popolino sofferente e superstizioso. La calata delle acque coincide con i primi calori primaverili e tutte queste carcasse restano ad imputridire al sole. Quello che fatalmente deve arrivare, alla fine giunge: queste immondizie putrefatte scatenano una epidemia di peste. Le vittime si contano ben presto a centinaia, ad iniziare dal papa stesso, Pelagio II.
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I Romani, disperati, si rivolgono allora ad uno dei più vicini collaboratori del defunto pontefice, l’abate di Sant’Andrea al Celio, Gregorio. Essi lo supplicano di accettare la sede di San Pietro, cosa che a Gregorio, uomo di grandi capacità ma di immensa modestia, ripugna fortemente. Quello che interessa di più Roma, in quell’istante, è che l’abate di Sant’Andrea ha la reputazione ben salda di essere un santo, un visionario ed un taumaturgo in contatto permanente col Cielo: l’uomo della situazione in questo periodo di crisi che mitiga con le sue indiscusse virtùla collera celeste per i peccati della città.
Gregorio, sperando ancora di sfuggire alla tiara pontificia, chiede che la sua elezione sia ratificata dal Basileus Maurizio; Costantinopoli è lontana, è del tempo guadagnato. Ma egli non può restare sordo alle suppliche ed alle angosce della popolazione. Così decide un digiuno espiatorio, un triduo di preghiere, ed una grande processione di riparazione alla quale sono invitati tutti i Romani validi in salute, come pure gli ammalati poiché ottanta fedeli che partecipano alla processione, già colpiti dal flagello, crolleranno in piena strada…Gregorio cammina in testa al corteo, che si ingrossa di fedeli oranti mentre passa di quartiere in quartiere e si dirige verso la basilica della Madonna della Neve (Oggi Santa Maria Maggiore).
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Il futuro papa brandisce al di sopra delle teste dei fedeli una delle reliquie più venerate di Roma: una immagine della Verginedi cui la tradizione dice che sia stata dipinta da San Luca (E’ la ragione per la quale il Medio Evo onorava l’evangelista come patrono dei pittori). La folla, dolente e raccolta in preghiera, avanza cantando attraverso le strade sporche, evitando i cadaveri pestiferi abbandonati sulla soglia delle case deserte. Ora, la processione costeggia il fiume, causa di ogni male, e ormai quasi a secco, da dove sale un nauseabondo odoredi bestie crepate per la peste.
Sulla riva di fronte, tra il Vaticano dove Costantino fece innalzare una basilica al posto del circo di Nerone, luogo del martirio di San Pietro, ed il quartiere popoloso di Trastevere, si drizza un monumento funebre pagano antico ancora intatto: il mausoleo dell’imperatore Adriano. Certo, i bassorilievi ed i marmi sono spariti, ma l’essenziale dell’edificio, un’alta torre massiccia, sfida il tempo. Nel calore che sale con il giorno, la processione avanza. I canti si fanno più deboli mentre la fatica dell’incedere della processione aumenta.