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“Mi vuoi sposare?” Lo ha chiesto il sindaco eroe di Rocca di Papa prima di morire

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Annalisa Teggi - pubblicato il 25/06/19
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Emanuele Crestini è morto dopo aver soccorso i suoi colleghi nel Municipio colpito da un’esplosione. Prima di aggravarsi ha chiesto la mano della compagna Veronica: così a un passo dalla morte, l’uomo mette a fuoco il bisogno di vincoli duraturi, magari eterni. Avrebbe compiuto ieri 47 anni, quello che ora è conosciuto come il sindaco eroe di Rocca di Papa e che era semplicemente Emanuele Crestini. Giovedì si svolgeranno i suoi funerali, al termine delle indagini autoptiche che potranno confermare solo gli aspetti medici più tecnici di un evento tragico che ha toccato le corde emotive di tutti.


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Una dedizione che non si improvvisa

Erano le 11.30 della mattina del 10 giugno quando il boato di un’esplosione ha squarciato il Municipio di Rocca di Papa, comune dei castelli romani: una fuga di gas all’origine della tragedia che ha ferito 16 persone, tra cui alcuni bambini. L’apprensione per l’accaduto era altissima anche perché l’edificio comunale comunicava con una scuola dell’infanzia. Ma col passare dei giorni il bilancio ha annoverato anche due vittime: il delegato del sindaco Vincenzo Eleuteri e il sindaco stesso, Emanuele Crestini.

Entrambi si erano indaffarati nei soccorsi, aiutando chi era rimasto dentro il palazzo squarciato. Crestini è stato immediatamente soprannominato l’anti-Schettino perché è uscito dal Municipio per ultimo. Questa una sommaria ricostruzione:

Emanuele Crestini era uscito per ultimo dal comune, si era preoccupato prima di tutti i dipendenti e poi ha pensato a mettersi in salvo. Invece di cercare l’uscita, aveva cercato le persone all’interno dell’edifico per metterle in salvo con gli abiti ed il viso sporchi di polvere delle macerie. (da Roma Today)

ROCCA DI PAPA, ESPLOSIONE, COMUNE

TG 2000 | Youtube

Le ustioni e l’inalazione di gas tossici lo hanno condannato a un’agonia di dieci giorni, e poi è sopraggiunta la morte. Il soccorso prolungato alle vittime intrappolate ha segnato la sorte di Eleuteri e Crestini. Quest’ultimo era stato eletto come primo cittadino soltanto un anno fa, ma non era la prima volta che in situazioni di emergenza dava prova di coraggio: in una precedente circostanza, soccorse un uomo con l’auto in fiamme prendendo l’estintore per spegnere l’incendio.



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Durante la Santa Messa del Corpus Domini lo ha ricordato con parole di sincera commozione il vescovo di Frascati, monsignor Martinelli:

Un gesto che crea positiva meraviglia e che gli ha provocato le intossicazioni più gravi. Ha testimoniato una dedizione che non si improvvisa e che il Signore accoglierà come dono{. (da Il Messaggero)

Eroe è una parola facile da pronunciare in questi casi, e sicuramente sincera. Ma cosa significa? A posteriori si guarda la condotta di uomo, si rimane colpiti da un coraggio che fiorisce senza preavviso, senza paracaduti e poi si encomia il suo valore. Le più alte cariche dello Stato, tra cui il Presidente Mattarella e il ministro dell’Interno Salvini, hanno proposto per il sindaco di Rocca di Papa il riconoscimento della Medaglia d’oro al valore civile.

Eppure quella mattina di poche settimane fa Crestini non è uscito di casa con lo stato d’animo del soldato in guerra, consapevole di rischiare la vita. O forse sì? Cosa rende eroe un uomo? Chesterton disse che “il soldato non odia ciò che ha di fronte, ma ama ciò che ha alle spalle“. Questa consapevolezza può essere anche solo un barlume sottocutaneo di coscienza, ma se c’è nel quotidiano ci rende eroi con o senza epiloghi tragici e clamorosi. Cosa spinge un uomo a non sottrarsi al pericolo, a sentire più urgente il soccorso degli altri piuttosto che l’incolumità personale? Se è coraggio, deve esserlo in virtù non solo una dote individuale stra-ordinaria, ma anche una spinta che viene da uno sguardo “plurale”. Amare ciò che si ha alle spalle significa innanzitutto muoversi dentro la realtà in virtù di uno scoglio di bene irriducibilmente chiaro e visibile, sia per entrare in ufficio ogni benedetta mattina, sia per lanciarsi in un incendio.


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L’eroismo vero, insomma, ha qualcosa a che fare con la difesa del bene; il vero eroe mette in primo piano ciò che vale più della sua persona. Curioso che, poi, venga venerato e messo al centro della scena; si potrebbe quasi dire che l’eroe non è individuale, ma l’eroismo a posteriori riduce tutto a un personalismo falsato. Il sindaco Crestini, colto di sprovvista dalla realtà, non è stato colto in fallo dalla sua coscienza che lo ha guidato ad affermare un bene plurale anche in un frangente dove l’egoismo sarebbe stato giustificato.

Se oggi, giustamente, lo si addita come vero esempio politico lo si dovrebbe fare a ragione veduta, oltre il sensazionalismo sentimentale: ci ha ricordato che la politica non è il parcheggio delle fazioni, ma il campo degli ideali. Di fronte a noi sta l’odio e tutti i suoi derivati, ed è perciò facile guardare innanzi e vedere nemici in ogni direzione. Meno istintivo è il gesto di chi si ferma, si volta e chiede: qual è il recinto di vita che voglio custodire?


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Un matrimonio in vista

Alle spalle di Emanuele Crestini c’era una figlia e una compagna, amate caramente. Le quattro mura di casa hanno una porta d’ingresso, lo sappiamo; ma spesso ne dimentichiamo il senso profondo. La casa, gli affetti, sono il trampolino migliore per lanciarsi nelle imprese quotidiane con un progetto positivo e non solo votato allo scontro. Dentro il recinto domestico si alimenta la brace, ma poi quella luce la si porta nel mondo. Fuor di metafora: occorre sempre un luogo piccolo e affettivamente radicato per mettere a fuoco un ideale positivo, poi non lo si tiene per sé e lo si condivide. Il primo e grande ideale che s’impara in famiglia è che ogni anima vale.

Ieri, in occasione del compleanno del defunto sindaco, la sua compagna Veronica Cetroni lo ha ricordato con queste parole:

“Come era premuroso con gli altri lo era anche con me […] passava la domenica a curare il grande orto nel terreno di casa, diceva che avrebbe voluto fare anche il contadino. Adorava le rose che coltivava con attenzione e ogni mattina, insieme con la colazione, me ne portava una”. (da Il Messaggero)

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L’amore per gli altri non è mai generico, si deve amare un volto preciso per poi usare la misura dell’incontro anche con gli estranei. Gli affetti domestici ci educano a una misura generosa che è difficile portare oltre la porta di casa, eppure è quella più sensata perché si oppone al sussurro diabolico della separazione, dell’isolamento, del “contro”.



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Lascia perciò commossi, ma non del tutto stupiti che in ospedale, prima di aggravarsi e morire, Crestini abbia compiuto un altro gesto importante. Lo racconta sempre Veronica:

Quando Emanuele mi è passato davanti in barella all’ospedale subito dopo l’esplosione in Comune – ha raccontato la ragazza – mi ha chiesto “Quando esco da qui, mi sposi?”. Era convinto di farcela.

Certo, ora c’è il rammarico per questa promessa interrotta. Ma la morte non cancella i vincoli, anzi è solo capace di rendere più necessaria la loro presenza. Quante volte ce ne siamo resi conto? È accaduto quando crollò il ponte Morandi: una coppia di sopravvissuti decise di sposarsi. È accaduto durante il sequestro dell’autobus a San Donato milanese: i giovanissimi ragazzi rapiti e a un passo dalla morte hanno dichiarato il loro amore alle compagne.


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Capiterà ancora, perché l’uomo è fatto così, è fatto per mettersi in relazione, per fare promesse che costruiscono legami. L’abbaglio dell’amore libero vale solo nelle giornate che si trascinano pigre e indolenti, quando siamo in un dormiveglia che ha poco di autentico. Da svegli, di fronte al fuoco e al buio, sappiamo bene cosa vogliamo: e c’è di mezzo un tu e un per sempre.

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