Le prime contrazioni dolorose al cimitero, l’arrivo in ospedale, la cena di nascosto a base di Big Mac e patatine (no dottore, non ho mangiato!) e l’ultima spinta come se dovessi fare meta. Benvenuta, mia prediletta! Erano passati neanche otto mesi dalla morte della Nonna Grazia. Morte che aveva traumatizzato tutti e che, a tutt’oggi, ci lascia strascichi. Il suo cuore smise di battere mentre quello di Lannina iniziava e questo era l’unica luce in fondo al tunnel. Tutti impazzirono di dolore, ma il Mari più di altri poiché quando nasci da una donna giovane – avevano neppure diciotto anni di differenza – non ne concepisci la morte per un incidente cretino.
Lannina è stata il filo di Arianna che ha permesso al mio adorato sposo di sopravvivere a pelo d’acqua nei giorni di sofferenza che hanno separato la perdita di una vita dalla nascita di una nuova. Per ripararlo di tutta la sua sofferenza, il Signore ha donato al Mari una bambina uguale alla sua mamma: occhi quasi verdi, capelli quasi biondi, caratterone spigoloso, caparbietà da vendere, gioia di esserci, lealtà verso le amiche, capacità di essere servizievole e tante bellissime cose…
Come sempre mi trovavo ben oltre il termine di gravidanza. Non ho ancora capito come mai, ma i miei figli (Piccinaccolo a parte), godono moltissimo nel loro liquido amniotico. Sguazzano. Fanno bracciate e tuffi. E di nascere non ci pensano proprio. Pur tuttavia in qualche modo lo sfratto va dato, poiché – se pur con amore di mamma – dopo un po’ siamo tutte stanche di avere questo pancione enorme. Ne parlai un po’ con le mie colleghe e si convenne che dare una stimolatina non sarebbe stato male. Così, giusto per dire a Lannina: “Guarda, ci sono i saldi, spicciati che si va a fare shopping” (giusto per sollecitarne l’animo femminile).
Qualche doloretto accennava a crescere in serata, ma nulla si mosse con chiarezza fino alla mattina successiva. Ora, la scena non era delle più edificanti: come spesso accadeva, accompagnammo (la Figlia G, Lillo e io) il Mari al cimitero e fu lì che, in modo che poteva apparire quasi miracoloso, le prime contrazioni apparirono ben più poderose. Mi aggiravo tra le tombe appoggiandomi a ogni statua che, con aria pensosa, mi guardava un po’ stupita. Nel mentre che il Mari puliva il marmo e dava acqua alle piante, le Madonne parevano compatirmi con materno sostegno.
Il fatto è che non sono mai stata particolarmente organizzata, per cui non avevo preparato nulla per recarmi all’ospedale, così, tornati a casa e godendomi lo sguardo preoccupato del Mari, mi beccai una rimbrottata dalla Figlia G che, mostrando assai più pragmaticità della madre, ammucchiava sul letto camicie da notte e mutande usa e getta (beccherò poi l’inventore di cotanta biancheria sexy e gli chiederò se le misure le ha prese alla Barbie della figlia). Grazie alla sua capacità di organizzare viaggi (avremmo scoperto poi che la Figlia G è nata per viaggiare), la borsa fu pronta in poco tempo. Ma ovviamente, come ogni ostetrica che si rispetti, la sottoscritta – riottosa come un rottweiler dal veterinario – col cavolo che era intenzionata a recarsi all’ospedale! Così accettammo di andare a pranzo con amici in un ristorantino nei pressi dell’ospedale, anche se la Nobis, al tempo molto in gamba, rimase con i bambini a casa. Fu a una curva che il Mari, molto preoccupato del mio enorme ventre che si induriva e del mio soffiare come una lottatrice di sumo (la stazza c’era), decise di portarmi dalle colleghe.
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Mi accolse Elisa, molto carina e dolce, che mi disse che avevamo iniziato le manovre di atterraggio, ma che ci mancava ancora un po’. Le chiesi chi fosse la collega in sala parto e, alla sua risposta, scesi dal lettino e feci il gesto di fuggire… No, la cicciona che fa solo episiotomie no, grazie. Elisa mi capì. Decidemmo, fu un contratto a tempo indeterminato, che io avrei passato le ore del turno della collega cattiva nel giardino adiacente all’ospedale. Povera Elisa, ogni tanto si affacciava per vedere se tutto stava procedendo bene… Il piano era il seguente: avrei dovuto stringere i denti e le gambe per 6 ore, dopo di che la collega diabolica sarebbe smontata e io sarei caduta in mani migliori. In caso di parto un po’ veloce, avremmo avuto a disposizione lo stanzino delle scope al piano terra. Non era un piano perfetto, ma era un piano.
Verso le 20 i miei amici mi portarono un Happy Meal pieno di patatine e Coca-Cola e io, attaccata al monitoraggio, mi ingozzai prima dell’arrivo del dottore. “Non ha mica mangiato, vero?” , mi chiese il malcapitato. Ovviamente no, dottore. L’odore di Big Mac dipende dai condotti di areazione vecchi…
Poi giunge lei, Claudia. Un’amica e una collega superlativa. Controlliamo la situazione che è un po’ ferma e decidiamo di stare insieme per ossitocinarci con calma. Il Mari semi abbioccato e quattro chiacchiere con un’amica rilassano molto. Ora, però, sarà stata l’ossitocina prodotta da me, sarà stato che ero stanca, fatto sta che io e Claudia iniziamo a scherzare sul fatto che nella discoteca vicino, giusto perché era l’8 marzo, ci sarebbe stato ospite Rocco Siffredi. Tra risatine e battute spinte, il povero dottore non sapeva più dove guardare. E più lui faceva quello in imbarazzo, più noi ridevamo (ricordi Claudina?)…
Giunti al momento del travaglio più forte, ovviamente ci dedicammo a quello e il protocollo, essendo io una pre-cesarizzata, prevedeva che io partorissi in una stanza adeguata per un intervento d’urgenza. Nulla da fare. Mi piantai sul mio letto nella mia saletta da parto favorita e il dottore desistette: mancava ancora un po’ e lui non ne poteva più di stare a sentire i discorsi di due ostetriche pazzerelle che bofonchiavano tra una contrazione e l’altra…
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La Claudina era intenzionata ad assistermi lì, così preparò tutto è mi strizzò l’occhio. Ahinoi il dottore – poveraccio – se ne accorse e, alle 1.20 di notte, essendo io recalcitrante modello puledro, mi proiettò nella sala ove il protocollo prevedeva “lo sgancio della bomba”. Fece gesto delle forbici per dare una mano alla fuoriuscita della bambina, ma la mia collega finse di non sentire: mi guardò e io diedi una spinta come se avessi dovuto fare meta.
Nacque così la mia prediletta e coronò uno dei miei sogni: partorire una femmina che fosse stata molto desiderata. La chiamammo anche come la sua nonna che, sghignazzando, la protegge dal Cielo.
Auguri Lannina, sei una femmina meravigliosa…
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