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Temperanza, la virtù della moderazione

L'Echanson - Allegoria della Temperanza

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Jean-François Thomas s.J. - pubblicato il 03/06/19
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San Tommaso diceva che la temperanza è “il cocchiere delle virtù”, ossia che le raccoglie e riunifica, che le indirizza e guida, che le coordina e diversifica. Come si acquisisce però questa eccellentissima virtù?

Ecco una virtù messa parecchio male, nella nostra epoca che incessantemente c’invita a “concederci qualche piacere” e a “brillare”. Eppure per dei secoli, anzi dei millenni!, ben prima del cristianesimo, la temperanza fu riconosciuta e rispettata come un segno di sapienza e di giusta misura. I greci – in particolare Platone e Aristotele – coltivavano con cura questa virtù perché temevano il suo opposto, che è la smodatezza. Quest’ultima era vita a giusto titolo come la causa della decadenza e della caduta delle civiltà e dei regni. Alla temperanza di Sparta o della repubblica romana di Catone risponderà la smodatezza e la decadenza dei costumi dell’impero romano, il quale difatti sarebbe giunto alla propria fossa in poco tempo. Ogni popolo che non è capace di temperanza firma la propria condanna a morte.


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Oggigiorno il dominio di sé, così centrale per la vita interiore cristiana, non gode di buona stampa, perché sono in voga piuttosto i piaceri dei sensi, illimitati e incontrollati, secondo l’umore e il desiderio, secondo la moda del momento. Eppure i popoli francesi sono stati per parecchie generazioni modelli esemplari di temperanza, anche se all’epoca gli uomini erano abitati da passioni identiche alle nostre. Gli eccessi e la dismisura non toccavano che un’infima frangia della popolazione, e sempre in quadri da non trasgredire. I francesi, generalmente inclini a tollerare qualche colpo di testa, lasciarono ad esempio ricordi contrastanti del re Luigi XV – peraltro uomo di fede – il quale da principio era “il [re] amatissimo”.

L’equilibrio della misura

Da molto tempo abbiamo accuratamente relegato questa virtù a un senso molto ristretto e particolare: la moderazione nel consumo di alcool… Se fosse questo, il contenuto della temperanza, sarebbero numerosi i suoi campioni! San Tommaso d’Aquino, riservando a questa virtù uno dei suoi trattati più sviluppati e più ricchi, insegna al contrario che la temperanza riguarda tutti i piaceri sensuali verso i quali l’uomo dirige incessantemente il proprio desiderio per soddisfare i due bisogni essenziali della sua natura: il nutrimento, necessario alla vita individuale, e l’unione carnale dei sessi, necessario alla vita della specie. Egli riprende le riflessioni di Aristotele nell’Etica Nicomachea, pur organizzandole secondo la struttura propria alla Summa Theologiæ ed aggiungendovi le conoscenze della scienza biologica del suo tempo. Evidentemente, questi riferimenti scientifici sono talvolta limitati dalla datazione, ma in nulla ciò inficia la sostanza delle sue dimostrazioni, che al contrario restano sempre attuali.

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Caroline Léna Becker

L'Echanson – Allégorie de la Tempérance – Théodore Rombouts

La temperanza non vi è presentata come la soppressione dei piaceri ma come la loro moderazione, poiché ogni piacere deve corrispondere a un equilibrio nell’utilizzo dei beni creati e al rispetto del fine per il quale essi sono stati donati all’uomo. Ciò esige dunque una costante prudenza, una diuturna verifica, una volontà vigile, un attaccamento all’onestà e alla sobrietà. Non tutto ciò che è possibile è augurabile. Tutto dipende dallo stato di vita, dal momento, dall’orientamento, da ciò che è bene per la persona ma anche per il bene comune. Si tratta di ordinare gli appetiti sensibili facendoli corrispondere a ciò per cui essi sono stati creati. Ai nostri giorni regna un’immensa confusione in questo dominio poiché si tende a considerare permesso tutto ciò che è possibile, e si vive secondo l’adagio per cui tutto è bene se qualcosa riguarda solo me.

Dominare le passioni

Se la prudenza possiede nella ragione la sua sede – poiché si tratta di governare sé stessi – se la giustizia ha la sua sede nella volontà – poiché regola le nostre relazioni con gli altri – la temperanza (come pure la fortezza) ha sede propria nell’appetito sensibile. Avrà allora per compito il regolare le passioni e dirigerle secondo ragione e non in modo istintivo o animale. Con la fortezza, che controlla gli appetiti irascibili, la temperanza opera anch’essa per governare le passioni, ma quelle concupiscibili.

Nelle Sacre Scritture la temperanza è costantemente lodata. Nel Siracide sta scritto:

Non abbandonatevi nella vostra potenza
ai cattivi desiderî del vostro cuore.

Sir 5, 2

e anche:

Non lasciatevi andare a cattivi desiderî, così da dare le spalle alla vostra propria volontà.

Sir 18, 30

San Paolo, scrivendo a Tito, dà questo consiglio:

Insegna ai vegliardi ad essere sobrii, onesti, moderati, e a conservarsi puri nella fede, nella carità e nella pazienza.

Tt 2, 2

Insomma l’età non risolve alcun problema, e se i desiderî dell’uomo cambiano per tutto il corso della sua vita essi sono sempre ugualmente disordinati, senza il lavoro della temperanza, quella moderazione di cui parla l’Apostolo.

Tutte le virtù della moderazione

La moderazione è del resto la parola-chiave in ciò che riguarda la temperanza, poiché per il Dottore angelico la moderazione è ragione, così come egli mostra fin dall’incipit del suo trattato su codesta virtù:

È il proprium della virtù inclinare l’uomo al bene. Ora, il bene dell’uomo è di “essere secondo ragione”, come dice Dionigi [lo Pseudo-Dionigi Aeropagita, N.d.T.]. Ecco perché la virtù umana è quella che inclina a ciò che è secondo ragione. È il caso manifesto della temperanza, perché – lo dice il nome stesso – essa comporta una certa moderazione, un “temperamento” che è, in effetti, della ragione. La temperanza è dunque una virtù.

Tommaso d’Aquino, S.Th., II-IIæ, q. 141, a. 1, respondeo

Tale moderazione non è da intendersi semplicemente nel senso stretto del dominio dei desideri del tatto, del gusto – si tratterebbe “solo” di astinenza e sobrietà – e in quello di ordine nei piaceri sessuali – sarebbe “solo” castità. La temperanza è ancora più vasta, poiché essa abbraccia tutte le virtù che giocano un ruolo di moderazione, cosa che san Tommaso avrebbe chiamato le “parti potenziali della temperanza” (a partire dalla questione 155). Così saranno raccordate alla temperanza la continenza, la clemenza, la dolcezza, la modestia, l’umiltà, l’attenzione, la lotta contro la collera, la crudeltà, l’orgoglio, la curiosità – ed egli ne avrebbe approfittato per parlare anche del peccato del primo uomo, che fu l’orgoglio, e delle pene connesse a siffatto peccato. Prima ancora, nella prima parte del suo trattato, egli espose gli aspetti della temperanza in generale: il pudore, il senso dell’onore, l’astinenza, il digiuno (contro la gola), la sobrietà (contro l’ebbrezza), la castità e la verginità (contro la lussuria).

L’umiltà per guida

In presenza di tutti questi fronti sull’immenso campo di battaglia, la ragione può perdersi e la volontà indebolirsi. Da dove cominciare? Esiste una virtù capace di sostenere le altre perché queste possano tradursi in atto, come in una sorta di domino in cui ogni elemento potrebbe trascinarne un altro e altri? C’è senza dubbio il consiglio di san Paolo ai Colossesi: «Super omnia, caritatem habete» («Al di sopra di tutto, poi, vi sia la carità» Col 3, 14), perché è la carità che guida tutto il resto. Ma come coltivare questa carità, che permette di vivere la temperanza in tutte le cose? Mediante l’umiltà, magnificamente descritta nella quæstio 161.


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Commentando la parabola del fariseo e del pubblicato, un inno all’umiltà, san Giovanni Crisostomo diceva che «essa stessa [l’umiltà, N.d.T.] sarà presente nel tribunale di Dio in mezzo agli angeli». Allo stesso modo, sant’Agostino scriveva: «Vuoi erigere un alto edificio? Pensa prima a dargli l’umiltà come fondamento». Nostro Signore stesso non ha detto: «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (Mt 11, 29)? San Tommaso commenta:

Cristo ci ha principalmente raccomandato l’umiltà perché è quella il grande mezzo con cui si allontana ciò che ostacola la salvezza dell’uomo, che consiste per l’uomo nel tendere verso le cose celesti e spirituali – cosa da cui è impedito quando cerca la gloria nelle cose terrene.

Ivi, 161, a. 5 ad quartum

Essa è dunque un sostegno indefettibile nei nostri sforzi per applicare la temperanza in tutti gli strati della nostra vita.

Senza umiltà, non è possibile raggiungere quel grado di volontà e di ragione che apre la porta alla moderazione. È certo lamentabile che questa virtù, uno dei nodi della temperanza, sia cauda in disgrazia in un mondo che favorisce piuttosto la traduzione in atto di tutti i mezzi possibili per imporsi, per soverchiare il prossimo. Il “ciascuno per sé” è l’opposto dell’umiltà e non conduce alla moderazione. L’umiltà, radicata nell’insegnamento evangelico, è la chiave per vivere un po’ di temperanza… sì, perché quest’ultima non si acquisisce in blocco: essa progredisce ogni giorno se viene rischiarata dall’umiltà.

https://youtu.be/ox5ZMYFRD2Q

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]